Nell'arco di una settimana Benedetto XVI ha incontrato i seminaristi e il clero di Roma e ha voluto meditare con loro, lungamente, la Scrittura, scegliendo l'antico metodo della lectio divina. Significativamente, intorno all'inizio della quaresima, il tempo che maggiormente segna l'anno liturgico e la vita cristiana, e poco prima di dedicare alcuni giorni - come è consuetudine - agli esercizi spirituali, insieme ai suoi collaboratori più stretti, che quotidianamente servono la Santa Sede e il Romano Pontefice.
Nel frastuono mediatico a cui si è ormai abituati questa notizia è trascorsa quasi inavvertita, e invece essa merita attenzione. La scelta del Papa, vescovo di Roma, di stare con i suoi preti e di dedicare loro la sua riflessione illumina bene la sua personalità e il suo modo di governare la Chiesa, del resto delineato dallo stesso Benedetto XVI nella messa d'inizio del pontificato: "Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia".
Soprattutto dalle omelie è trasparente la cura che il Papa pone, in coerenza con una lunga e rigorosa disciplina di studi e di riflessione, all'approfondimento e alla meditazione della Parola di Dio, per spiegarla in profondità, e senza fare violenza al testo. Ben consapevole - secondo l'ininterrotta tradizione cristiana, confermata dall'ultima assemblea sinodale - che questa Parola è contenuta nella Bibbia ma prima ancora in Cristo, il Lògos divino creatore di cui parlano tutte le Scritture e che a sua volta parla a chi voglia ascoltarlo, come fece il viandante in cammino verso Emmaus.
Proprio l'episodio narrato nel ventiquattresimo capitolo del vangelo di Luca - considerato all'origine dell'usanza monastica della lettura meditata della Bibbia - è alla radice di quella attualizzazione della Parola di Dio che Benedetto XVI va svolgendo con mite costanza. Così, come sulla strada Gesù spiegò ai due discepoli "in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui", il Papa ha spiegato ai seminaristi il significato del rimanere in Cristo e quello di un essere cristiani che precede l'agire ed è abitato dalla presenza dello Spirito, secondo la definizione di san Tommaso. Mentre ai suoi preti il vescovo di Roma ha ricordato, secondo la tradizione patristica e medievale, che Gesù è il vero soggetto dei Salmi. Per sottolineare che il sacerdote deve essere immerso nella passione di questo mondo al fine di poterlo davvero trasformare.
In età contemporanea, in diverso modo i successori di Pietro sono stati pastori: si possono così ricordare, per esempio, Pio X che spiegava di persona il catechismo ai bambini e ai giovani di Roma nel cortile di San Damaso, Pio XI che avviò l'uso di incontrare innumerevoli fedeli e pellegrini, al punto di tenere continue e interminabili udienze che nel Palazzo apostolico si protraevano sino a sera inoltrata, e Paolo vi che utilizzava con straordinaria felicità le udienze generali. Mentre moltissimi hanno ancora nel cuore la figura di Giovanni Paolo ii grazie a una presenza planetaria dispensata sino allo stremo.
Oggi il loro successore viene di frequente raffigurato, e il più delle volte senza benevolenza, come "il Papa teologo", a sottolinearne l'aspetto più intellettuale (e, si vorrebbe insinuare, lontano dalla gente). Certo Benedetto XVI è teologo, e tra i più importanti del nostro tempo. Ma è altrettanto certo che è teologo nel senso del pastore che parla di Dio, con ragionevolezza e speranza, perché a Dio si torni oggi a guardare.g. m. v.
(©L'Osservatore Romano - 20 febbraio 2010)