DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

In America Latina c'è un popolo. Si è visto in Honduras, in faccia al mondo

A lato: Manifestaciones en Nueva Orleans, considerada la tercera ciudad de Honduras, por la libertad y la democracia y en rechazo al regreso de Zelaya. Alrededor de 5 mil manifestantes se plantaron frente al consulado de Honduras en Nueva Orleans y entonaton el himno nacional. Piden a los organismos internacionales y en especial a la OEA que escuchen al pueblo hondureño que allí no hay golpe de estado sino un gran respeto a la Constitución.
Dal blog cubaout

Da Tempi

¡Que viva Honduras!

L’America latina ha un nuovo eroe. Il popolo che ha salvato la propria democrazia dal chavismo dilagante. Lottando contro il mondo intero

di Juan Ramón Martínez

Tegucigalpa Normalmente gli honduregni non hanno l’arroganza dei venezuelani, e nemmeno il senso di pretesa superiorità degli argentini. Sono più taciturni dei cubani e dei nicaraguensi, e quanto a educazione sono più vicini ai costaricani o ai guatemaltechi, ai panamensi o agli argentini. Però nel modo di trattare le persone si destreggiano con uno spagnolo limpido, privo di suoni stridenti e di ermetiche espressioni idiomatiche, e in questo si avvicinano ai colombiani; come loro, parlano una lingua soave, dal sapore di cose stagionate, come spagnoli del XIX secolo appena arrivati nel continente americano.
Tuttavia, nonostante queste virtù, gli honduregni non godono del rispetto dei loro fratelli latinoamericani. Hanno poco territorio e la loro popolazione è povera, non hanno nemmeno petrolio o gas nel sottosuolo. Ma le cose hanno cominciato a cambiare, perché adesso gli honduregni camminano a testa alta, col sorriso a fior di labbra; e ogni volta che nasce una conversazione opinano e pontificano su quello che si deve fare quando si deve difendere il sistema politico democratico. Un guatemalteco mi diceva la settimana scorsa che gli honduregni sono cambiati molto, e il cambiamento si deve al fatto che hanno realizzato un’impresa che nessuno aveva tentato finora: arrestare il totalitarismo chavista, frenare le orde del “socialismo del XXI secolo” e seppellire i resti del moribondo castrismo cubano. È ciò che gli honduregni hanno fatto a partire dal 28 giugno scorso.
In quella data il popolo si è sollevato contro un governo autoritario che voleva cambiare l’ordine legale e modificare il modello dell’economia di mercato. Senza che fosse necessario sparare un solo colpo, con la semplice e ordinata mobilitazione delle donne e dei giovani, i giudici hanno emesso l’ordine di cattura. E l’ex presidente Zelaya, che aveva voluto agire fuori della legge, è stato collocato fuori del potere. All’estero, grazie all’influenza del discorso chavista, contro gli honduregni si è scatenato il cielo. Sono stati accusati di aver compiuto un golpe, perciò dovevano essere bruciati sulla pubblica piazza. Gli ambasciatori, compreso quello italiano, furono ritirati, l’Organizzazione degli Stati americani (Osa) ha condannato ed espulso l’Honduras senza nemmeno ascoltarlo; e l’Onu, sotto la spinta di Chávez e dei suoi discepoli nicaraguensi, ha negato all’Honduras l’elementare diritto alla difesa. L’apparato mediatico chavista si è scatenato contro un paese che, in quel momento, si era ritrovato sulle spalle, nonostante le sue limitate possibilità, la responsabilità della difesa della democrazia occidentale.
E lo ha fatto molto bene. Il popolo si è raccolto intorno ai comandamenti della Costituzione, ha sostenuto la successione presidenziale e ha detto “no” alla comunità internazionale che pretendeva che annullassimo le decisioni legali del 28 giugno e perdonassimo l’ex governante che ci aveva offesi, usando la legge per burlarsi di tutti. E quando le minacce di sospensione degli aiuti internazionali si sono trasformate in meschina realtà – fatto che ha danneggiato i più poveri fra i poveri – e hanno manifestato dolorosamente i loro effetti, nessuno è sceso per strada. E se qualcuno ha pianto, l’ha fatto di nascosto perché nessuno all’estero se ne accorgesse e ci mancasse di rispetto.

«Micheletti? Un padre della patria»
Il 29 novembre il popolo ha eletto i nuovi governanti. Gli elettori hanno votato per il candidato dell’opposizione, sia per dare una lezione al partito di governo (i liberali), sia per investire la loro fiducia in un uomo politicamente più a destra, certi che non avrebbe continuato sulle orme del predecessore deposto: cioè cercare di indebolire la democrazia riempiendola di abusivi contenuti autoritari. Il 27 gennaio il nuovo presidente Porfirio Lobo Sosa ha assunto la titolarità dell’esecutivo per un periodo di quattro anni. Qui non è ammessa la rielezione, perciò questa sarà l’unica opportunità che avrà di servire il suo paese. Mentre si compiva il trapasso dei poteri (sotto l’incomprensibile “guida” degli Stati Uniti) ci sono state pressioni perché il presidente uscente Roberto Micheletti si dimettesse o non assistesse all’investitura, lui che gode di un’immensa popolarità, dal momento che è una specie di salvatore della patria e della democrazia. Il popolo, che queste cose le capisce, rende omaggio in molti modi a colui che, nel nome di tutti, ha sconfitto il chavismo nel continente utilizzando le regole della democrazia e senza ricorrere alla violenza.
Perciò mentre i governi del continente, capeggiati da Venezuela, Ecuador, Bolivia e Argentina, tengono il broncio e non hanno inviato i loro ambasciatori agli atti ufficiali di investitura delle nostre autorità nazionali, i popoli del continente hanno celebrato in ogni paese, con enorme allegria, la capacità degli honduregni di frenare il populismo di Chávez, parare gli effetti sulle masse delle donazioni di denaro e ridurre le paure delle élite, che normalmente in queste circostanze perdono ogni coraggio.
«Siamo pronti a farlo di nuovo»
Questi popoli ci chiedono dove abbiamo trovato la forza per difendere la democrazia e mettere al loro posto i governanti abusivi. La risposta è semplice: noi honduregni non abbiamo paura dei nostri governanti, disponiamo di un sistema giuridico di fiducia e i nostri media non sono soggetti a un potere monopolistico né stanno al servizio del governo. Perciò li scegliamo nelle elezioni, e quando non fanno il loro dovere e non rispettano la legge, la Costituzione prevede dei meccanismi per sostituirli. Cosa che abbiamo fatto il 28 giugno per la prima volta. Ma che siamo pronti a fare di nuovo, se si rendesse un’altra volta necessario, come mi ha detto una distinta casalinga.
Oggi noi honduregni siamo più popolari dei venezuelani, più rispettati degli argentini e più ammirati dei cileni e dei colombiani, mi ha detto un gruppo di studenti universitari. Siamo un esempio di quello che possono fare i democratici semplicemente scendendo in strada a difendere i propri diritti e recandosi alle urne per votare quelli che sembrano i migliori governanti. I popoli vicini ci vedono con più simpatia, perché abbiamo scoperto la formula per difendere la democrazia in un continente dove non sempre i governanti coltivano le sue virtù. Alcuni di questi governanti credono che gli honduregni siano un cattivo esempio, perciò combattono la loro libertà, il loro modo di vedere il mondo e la loro capacità di tenere i governanti al loro posto. I cattivi devono scegliere i loro amici. Noi honduregni lo abbiamo già fatto; e sappiamo qual è la strada per proteggere il nostro futuro e il nostro sistema.
*giornalista e analista politico