DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

La guerra dei cristeros in Messico. Pio XI e i Cristeros

Pio XI e i Cristeros

Esasperato da un potere anticristiano insopportabile, il popolo messicano insorge per liberare la propria patria. Un sacrificio che non trova il consenso di molti vescovi e finisce tragicamente. Le encicliche di Pio XI che accompagnano il calvario del Messico nel secolo scorso.

di Alberto Leoni,
da Il Timone (05/2009)


Se l'obiettivo è quello di comprendere, possiamo almeno tentare, nei limiti del possibile, di "fare storia": tentare, cioè, di ricreare il momento culturale e politico del tempo in cui altre persone, non diverse da noi, più o meno dotate di coraggio e intelligenza, dovettero compiere scelte decisive e difficili. E questo non per tout comprendre et tout pardonner, non per essere indulgenti ad ogni costo ma per chiederci cosa avremmo fatto alloro posto, in modo da capire e prevedere come a potremmo essere giudicati noi, a nostra volo; ta, fra settant'anni.

Il pontificato di Pio XII (1939-1958) è fortemente legato a quello del suo predecessore, di cui fu il segretario di Stato e il collaboratore più stretto e capace. Di conseguenza, per comprendere le scelte di Pio XII è inevitabile guardare all'opera di Pio XI (1922-1939), e alla sua lunga battaglia contro le ideologie del tempo. Solitamente si dà risalto al conflitto contro fascismo, nazionalsocialismo e comunismo, al prezzo, però, di dimenticare la lotta di papa Ratti contro nazionalismo, laicismo e massoneria. La visione eurocentrica degli storici e dei pubblicisti finisce per restringere il campo d'indagine e a non valutare nella sua importanza l'evento che diede più dolore a Pio XI e che lo vide impegnato per dieci anni, ossia la guerra dei "cristeros" in Messico. Non è un caso, infatti, che le encicliche su questo argomento siano ben tre ed esaminarne lo sviluppo può offrire più di una chiave interpretativa per gli avvenimenti degli anni '40.

L'esperienza diplomatica del futuro papa Pio XI, Achille Ratti, ebbe un debutto infuocato come nunzio apostolico in Polonia nel 1918.

Coraggioso come sempre, Ratti non fuggì dalla Varsavia assediata dai bolscevichi ma vi rimase per vederne la disfatta nell'agosto del 1920, con il cosiddetto "miracolo della Vistola", quando le truppe polacche fermarono alle porte della capitale l'Armata rossa, ben più numerosa del loro esercito. Eppure, per quanto gioisse di una vittoria così straordinaria e decisiva per le sorti dell'Occidente, Ratti non mancò di sottolineare come il nazionalismo polacco fosse dannoso e contagiasse anche il clero, distruggendo le possibilità di una pace duratura con la Germania. Un giusto patriottismo è sicuramente un bene morale da perseguire, ma non quando l'amore per la patria diventa "spirito di separazione". «Un nazionalismo esagerato - dirà papa Ratti nel 1938 - non è cristiano, non è religioso e finisce col non essere neppure umano». E l'altro grave male morale è il laicismo, «la peste dell'età nostra", come afferma nell'enciclica Quas primas (11 dicembre 1925). "Si cominciò a negare l'impero di Cristo su tutte le genti: si negò alla Chiesa il diritto - che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo - di ammaestrare, cioè, le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli alla eterna felicità. E a poco a poco la religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste; quindi la si sottomise al potere civile e fu lasciata quasi all'arbitrio dei principi e dei magistrati. Si andò più innanzi ancora: vi furono di quelli che pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell'irreligione e nel disprezzo di Dio stesso». In questa visione profetica dello scontro fra Chiesa e ideologie ha un valore fondamentale la festa di Cristo Re, istituita proprio con l'enciclica Quas primas.

La persecuzione
In Messico, la massoneria e il laicismo avevano sferrato un attacco alla Chiesa di straordinaria violenza quale di rado si è visto nella storia. Dopo la rivoluzione che aveva abbattuto la dittatura di Porfirio Diaz (1876-1911), nel 1917 era stata promulgata una nuova Costituzione che, in buona sostanza, legalizzava la persecuzione contro la Chiesa, impedendone la libertà. Vi erano stati poi atti clamorosi, come l'attentato dinamitardo del 1921 alla reliquia della vergine di Guadalupe, fallito in modo inspiegabile. Nel 1924 salì al potere Plutarco Elias Calles (1877-1945), così feroce da autonominarsi "nemico personale di Dio". Il 12 febbraio 1925 Calles istituì una chiesa messicana che, tra le tante bestialità, sostituì il vino con l'acqua di mezquite per la Consacrazione. I cattolici protestarono civilmente e pacificamente mentre le violenze si estendevano e iniziavano a cadere i primi cattolici militanti. Il 2 luglio 1926 fu emanata una modifica della legge penale (Legge Calles) con cui si disponeva la consegna delle chiese a laici nominati dai sindaci. Il 25 luglio, l'episcopato rispose disponendo la sospensione del culto in tutte le chiese del Messico a partire dal 10 agosto. Ormai era la guerra e non soltanto di parole. Come reazione agli assassini di laici e religiosi scoppiarono ben 64 rivolte armate fra agosto e dicembre 1926 e Pio XI, che già aveva protestato con forza presso il governo messicano, diffuse l'enciclica Iniquis afflictisque il 18 novembre 1926. In essa il Papa paragonava i martiri messicani a quelli uccisi dalla Francia rivoluzionaria e lodava il loro eroismo indomito.

L'episcopato e la resistenza armata
Va notato come Pio XI non esprimesse parole di condanna o di approvazione per la resistenza armata. Da parte dei vescovi, invece, vi furono atteggiamenti contrastanti e, si badi, tutti basati sulla dottrina della Chiesa in materia di "guerra giusta". Dei quattro requisiti previsti dalla Chiesa, era indubbio che sussistessero sia 1) la causa grave che 2) l'esaurimento di mezzi pacifici tesi a scongiurare lo scontro. Era assai dubbio, però, 3) un possibile esito positivo ed era quasi certo che 4) la lotta armata avrebbe portato più danni di quanti non intendeva evitarne.

In ogni caso, i vescovi appoggiarono la protesta, ma non la ribellione armata e furono pochi i sacerdoti che seguirono i Cristeros nella guerriglia. Il governo, dal canto suo, aveva pensato di poter avere la meglio con facilità sugli insorti ma, nel corso del 1927, apparve chiaro che il terrore scatenato dai federali non portava al controllo delle province ribelli. Nel 1928, grazie a una sempre migliore organizzazione, dovuta al comando del generale Enrique Gorostieta Y Velarde (1891-1929), le forze governative erano in crescenti difficoltà e, all'inizio del 1929, la stessa città di Guadalajara, una delle più importanti del paese, rischiava di cadere in mano ai Cristeros.

Le sofferenze inflitte alla popolazione dai governativi erano state, però, spaventose e i morti si contavano a centinaia di migliaia. Questa strategia del terrore, alla fine, pagò, e la Chiesa, per evitare ulteriori sofferenze, si dispose alla trattativa mentre i Cristeros erano vittoriosi in campo militare.

In effetti fu la stessa notizia della negoziazione in corso a demoralizzare gli insorti e Gorostieta protestò con veemenza contro l'episcopato: «Ogni volta - scrisse ai vescovi il 16 maggio 1929 - che la stampa ci dice che un vescovo fa da parlamentare coi "callisti", sentiamo come uno schiaffo in piena faccia, tanto più doloroso in quanto viene da coloro nei quali speriamo di trovare conforto, una parola che dia respiro alla nostra lotta: una parola che, con rare eccezioni, non abbiamo mai ricevuto. Fino a quando (i vescovi) si sentiranno più vicini ai carnefici che alle vittime? Se i vescovi ritengono che la nostra Guardia Nazionale fosse l'unica strada che ci lasciava il despota dovranno consultarci... Se i vescovi ci disapprovano e non terranno conto di noi, se dimenticano i nostri morti... allora respingeremo tale atteggiamento come indegno e traditore».

Il 2 giugno 1929 il generale Gorostieta rimaneva ucciso in un agguato. Le trattative venivano concluse il 21 giugno 1929 e i monsignori delegati, Ruiz Flores e Pascual Diaz Barreto, furono isolati dal mondo esterno e raggirati, così che il governo messicano ottenne la riapertura delle chiese senza abrogare la legislazione antiecclesiastica. Men che meno si tenne conto dei Cristeros, per i quali non venne ottenuta la minima garanzia. Il generale Jesùs Degollado Guizar († 1957), che aveva preso il posto di Gorostieta, diffuse il seguente messaggio con cui veniva smobilitata la Guardia nazionale cristera: «La Guardia Nazionale scompare, non tanto perché vinta dai nostri nemici, quanto perché abbandonata, in realtà, da coloro che dovevano beneficiare, per primi, del frutto prezioso dei suoi sacrifici e della sua abnegazione. Ave Cristo! Per te andiamo verso l'umiliazione, l'esilio, forse a una morte gloriosa, vittime dei nostri nemici, con il nostro amore più fervente, ti salutiamo e ti acclamiamo ancora una volta, re della patria nostra. Viva Cristo Re! Viva Santa Maria de Guadalupe! Dio, Patria e Libertà!». Negli anni successivi centinaia di ufficiali Cristeros vennero sistematicamente assassinati.

La fine della guerra civile
A migliaia di chilometri di distanza il testo degli arreglos fu sottoposto all'attenzione del Papa quando ormai non era più possibile tornare indietro. Il cardinal Tommaso Boggiani, già nunzio in Messico, dal quale era stato espulso, disse di aver visto piangere il Pontefice di fronte a quella sconfitta così dolorosa: una sconfitta perché lasciava totalmente indifeso chi aveva lottato con tanta abnegazione e continuava a morire gridando "Viva Cristo Re!". Il prezzo della libertà, o del suo fantasma, era stato altissimo: 250.000 morti, dei quali 30.000 erano federali e 15.000 Cristeros. Era una guerra che non si poteva continuare.

Da allora la politica dei Concordati con le diverse nazioni si accentuò, tanto che, nel pontificato di papa Ratti, ne furono stipulati ben ventinove con regimi di ogni...
tendenza politica. Ma l'opposizione al totalitarismo, di qualunque segno o colore, divenne ancora più incrollabile, sempre mediata dalla diplomazia del cardinal Pacelli, al fine di non provocare altri martiri.

Così il 29 giugno 1931 il Papa diffondeva l'enciclica Non abbiamo bisogno contro i soprusi del governo fascista e il 29 settembre 1932 tornava a occuparsi del Messico con la Acerba animi. Era un'enciclica amara e commovente, in cui si sentiva tutta la delusione per i patti che erano stati violati dal governo ma nella quale, con carità pari all'energia si ammoniva chi «spinto più dall'ardore della difesa della propria fede che non dalla prudenza, necessaria soprattutto in momenti così delicati... avesse supposto nei Vescovi intendimenti contraddittori» affinché «si persuada ora che tale accusa è del tutto infondata»: e se l'attuazione di tali direttive dovesse riuscire di scandalo ad alcuni fedeli essi sarebbero stati ritenuti «disobbedienti ed ostinati».

Il 13 giugno del 1933 viene pubblicata l'enciclica Dilectissima nobis sull'oppressione della Chiesa in Spagna, ben tre anni prima dell'inizio della guerra civile. Ma è nel marzo del 1937 che la combattività di un Papa già molto malato arriva al culmine quando vengono scritte e diffuse ben tre encicliche, la Mit brennender sorge (14 marzo) in cui «con viva ansia e stupore.. si denuncia il nazionalsocialismo come intrinsecamente malvagio; la Divini Redemptoris (19 marzo) contro il comunismo ateo e infine, ancora una volta, il Messico con la Firmissimam Constantiam del 28 marzo 1937 dove si auspica una partecipazione del laicato per risolvere gli immensi problemi nazionali.

Ciò che stupisce, in questo Magistero, è la costanza incrollabile, tesa a salvare la Chiesa da pericoli quali mai aveva dovuto affrontare in tutta la sua storia. La prudenza di Pio XI, continuata dal suo successore, dovette arrivare al punto di non poter impedire il martirio di chi aveva difeso la Chiesa con coraggio insuperato.

Ed è questa prudenza che, spesso, non viene compresa dai fedeli che non hanno le responsabilità dei vescovi.


RICORDA
«Lo giuro solennemente per Cristo e per la Santissima Vergine di Guadalupe Regina del Messico, per la salvezza della mia anima: 1) mantenere assoluto segreto su tutto quello che può compromettere la santa causa che abbraccio; 2) difendere con le armi in mano la completa libertà religiosa del Messico. Se osserverò questo giuramento, che Dio mi premi, se mancherò, che Dio mi punisca» (Giuramento dei Cristeros).


BIBLIOGRAFIA
Le encicliche di Pio XI in Enchiridion delle encicliche, voI. 5, Pio XI 1922-1939, EDB, 1999, 3 ed.
Emma Fattorini, Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa, Einaudi, 2007.
Achille Ratti - Papa Pio XI nel 1500 anniversario della nascita, a cura di Franco Cajani, I Quaderni della Brianza, gennaio-aprile 2008.
Si ringrazia per l'aiuto l'ing. Agostino Gavazzi di Desio, presidente del Comitato esecutivo de "I Quaderni della Brianza".
Dossier L'insurrezione dei Cristeros messicani (1926-1929) in Nova Historica, n.25/2008.
Paolo Gulisano, Viva Cristo Re! Cristeros: il martirio del Messico 1926-1929, Il Cerchio, 1999.
Associazione Culturale "Identità Europea" [a cura di], "Viva Cristo Re!". Il Martirio del Messico, Mostra presentata al Meeting per l'amicizia fra i popoli (Rimini 1999), Itaca, 1999.