DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

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Due cose a Obama sulla (vera) storia delle Crociate


Marco Respinti


Barack Obama, il presidente del Paese più potente del mondo, non è esattamente un campione di conoscenze storiche e anche sul piano della morale pubblica non si lascia sfuggire nemmeno un happy hour per schierarsi costantemente dalla parte sbagliata (su omosessualismo, aborto, divorzio, famiglia, etc.). Ma che adesso pretende di dirottare uno degli appuntamenti più belli e intelligenti della vita politica degli Stati Uniti, il National Prayer Breakfast cioè il convegno ecumenico di preghiera che si tiene ogni anno da anni nella capitale federale Washington alla presenza del titolare della Casa Bianca, per trasformarlo in unbudoir dei propri vizi culturali e ammannire così impunemente agli attoniti astanti un bigino di storia riveduto e politicamente corretto è davvero il colmo. Obama ha infatti detto che «prima di ritenerci superiori e pensare che solo altri commettono crimini, ricordiamoci che durante le crociate e l’Inquisizione i cristiani hanno commesso crimini terribili nel nome di Cristo mentre negli Stati Uniti la schiavitù e il linciaggio dei neri molto spesso sono stati giustificati nel nome di Cristo». Tra chi polemizza ora con Obama vi è la commentatrice televisiva Star Parker, che è nera come il carbone anche lei come il presidente e che durante un programma tv, ha definito le parole di Obama «uno stupro verbale». Obama, ha aggiunto la Parker, oltre a insultare tutti i presenti, ha in quel modo mandato un messaggio di approvazione agli estremisti islamici, dicendo loro che il passato non va dimenticato e che perciò sono autorizzati a fare quello che stanno facendo.
Ora, a beneficio del presidente Obama, che andrebbe rimandato agli esami di riparazione in storia, ricordiamo che sulla Crociata si può utilmente leggere almeno
  • Bernard Hamilton, Le crociate, trad. it., San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2003
  • Jean Flori, Le crociate, trad. it., Il Mulino, Bologna 2003
  • Jean Flori, La guerra santa. La formazione dell’idea di crociata nell’Occidente cristiano,
    trad. it., Il Mulino, Bologna 2003
  • Thomas F. Madden, Le crociate. Una storia nuova, trad. it., Lindau, Torino 2005
  • Robert Spencer, Guida (politicamente scorretta) all’islām e alle crociatetrad. it., Lindau, Torino 2008
  • Rodney Stark, Gli eserciti di Dio. Le vere ragioni delle crociate, trad. it., Lindau, Torino 2010.
Mentre sull’Inquisizione ci si può confrontare altrettanto utilmente almeno con:
  • Gustav Henningsen, L’avvocato delle streghe. Stregoneria basca e Inquisizione spagnola, trad. it., Garzanti, Milano 1990.
  • Jean-Baptiste Guiraud (1866-1953), Elogio della Inquisizione, trad. it., Leonardo, Milano 1994, a cura di Rino Cammilleri, con un invito alla lettura di Vittorio Messori e Integrazioni bibliografiche di Marco Invernizzi e Oscar Sanguinetti
  • Bartolomé Bennassar, Storia dell’Inquisizione spagnola.
    Fatti e misfatti della “Suprema” dal XV al XIX secolo
    , trad. it. Rizzoli, Milano 2000
  • Franco Cardini e Marina Montesano, La lunga storia dell’inquisizione.
    Luci e ombre della «leggenda nera»
    , Città Nuova, Roma 2005
  • Rino Cammilleri, La vera storia dell’Inquisizione. Luci e ombre della “leggenda nera”, Prefazione di Franco Cardini, Piemme, Milano 2006
CrociataIl presidente Obama potrà trarre enorme giovamento soprattutto dalla prima lista (quella sulla Crociata) perché i libri citati sono tutti disponibili nella sua lingua (alcuni sono anzi tradotti proprio dall’inglese). E se relativamente al secondo elenco qui fornito (quello sull’Inquisizione) abbondano i testi non disponibili in inglese, Obama ha però il vantaggio enorme di poter contare sul libro migliore di tutti, opera proprio di uno storico anglofono, lo storico inglese di formazione marxista Henry Kamen che nel 1965 pubblicò un libro di forte critica, The Spanish Inquisition, ma che poi per una vita non ha fatto altro che pentirsene e riscriverlo, giungendo a pubblicare, pochi mesi fa, la quarta edizione riveduta, e interamente rifatta, e diversissima nel giudizio di valore,The Spanish Inquisition: A Historical Revision (Yale University Press, New Haven [Connecticut] 2014) (in italiano c’è comunque solo e sempre solo la prima, obsoleta edizione, pubblicata da Feltrinelli nel 1973 con il titolo L’Inquisizione spagnola).
Infine c’è da sottolineare che il cap. 3, «Ignoranza» occidentale contro «cultura» orientale (pp. 81-111) del succitato libro di Stark, a cui si possono aggiungere almeno il cap. 14, Smascherare le falsità islamiche (pp. 433-464), del nuovo libro sempre di Stark, La vittoria dell’occidente. La negletta storia del trionfo della modernità (trad. it., Lindau, Torino 2014) e il volume Aristotele contro Averroè.Come cristianesimo e Islam salvarono il pensiero greco (trad. it., Rizzoli, Milano 2009) dello storico francese Sylvain Gouguenheim, sono poi di grandi andito contro le mille fole della presunta “superiorità” della civiltà arabo-islamica.
Potremmo fare così: prendere tutti carta e penna per scrivere una bella letterina all’Ambasciata degli Stati Uniti in Italia ripiena di consigli per gli acquisti presidenziali alternative alle orecchie da asino…

Come la Croce ha dissolto la schiavitù


di Francesco Agnoli

Nell’antica Roma la schiavitù non è
vista come un istituto di diritto naturale,
ma di diritto positivo. L’uomo
cioè non è schiavo per natura, ma lo può
diventare. E poiché non nasce schiavo, a
differenza che in Grecia, può essere liberato
ed ottenere la cittadinanza, e addirittura
accedere alle magistrature… Ciò non toglie
il fatto che gli «schiavi erano tra le persona e
alieno iure subiectae [persone soggette
a diritto altrui], e questo, come ricorda Gaio
(Dig. I, 6, 1, 1), non solo presso i romani, ma
“apud omnes peraeque gentes” [allo stesso
modo presso tutti i popoli], comportava che
i padroni avessero diritto di vita e di morte
sugli schiavi”. Diritto, vale la pena di ripeterlo,
di vita o di morte, “presso tutte le genti”
antiche.
Lo storico pagano Tacito ci racconta che
quando uno schiavo assassina il padrone,
tutti gli schiavi vengono uccisi. Un padrone
ucciso può significare 300 o 400 persone
massacrate. Perché? Per scongiurare le rivolte,
così probabili in una civiltà in cui gli
schiavi costituiscono un’altissima percentuale
della popolazione. Accanto alla possibilità
dell’emancipazione lo schiavo romano
corre però anche il pericolo di pene
draconiane: l’ergastulum, l’essere legato
con catene alla ruota del mulino, la fustigazione
sino al sangue, l’ustione mediante
lamine di metalli incandescenti, la mutilazione,
la frattura violenta degli stinchi (crurifragium),
il marchio a fuoco sulla fronte, la
crocifissione (previa tortura), la condanna
ad bestias (cioè alle bestie feroci del circo),
ad essere arso vivo con indosso una tunica
cosparsa di pece, ad metalla (cioè ai lavori
forzati nelle miniere)…
Migliaia e migliaia di prigionieri ridotti in
schiavitù vengono decapitati, strangolati
o sacrificati, in cerimonie in onore dei generali
vincitori di una guerra, attraverso riti
sanguinari in cui il potere celebra se stesso,
mentre in occasione di ribellioni di schiavi,
come quella di Spartaco, seimila di loro,
catturati, sono crocifissi a monito per gli altri
loro “colleghi” lungo la strada da Capua
a Roma…
Questa è la situazione dunque dell’Impero
romano, allorché il cristianesimo comincia a
diffondersi. Dobbiamo dunque immaginare
che per tutti, o quasi, la schiavitù sia un dato
di fatto, una ovvietà con cui convivere.
Eppure, il messaggio cristiano, avrebbe a
poco a poco contribuito enormemente a
ribaltare questa terribile realtà, riuscendo,
nel corso di alcuni secoli a cambiare drasticamente
le cose, a modificare una mentalità
presente da sempre…
Scrive san Paolo: «Tutti siamo stati battezzati
in uno spirito; per formare un medesimo
corpo, Giudei o Gentili, schiavi o liberi»
(1Cor 12,13); «Tutti voi infatti siete figli di
Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti
siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti
di Cristo. Non c’è più Giudeo né Greco;
non c’è più schiavo né libero; non c’è più
uomo né donna, poiché tutti voi siete uno
in Cristo Gesù» (Gal 3,26-28); «Qui non c’è
più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione,
barbaro o Scita, schiavo o libero,
ma Cristo è tutto in tutti» (Col 3,11).
Non è difficile capire che queste idee sono
la vera base di un cambiamento di mentalità
epocale, che però ha bisogno, come ogni
mutamento che voglia essere duraturo e
fondato, dei suoi tempi… È noto che papa
Callisto I portava le stimmate di schiavo
fuggitivo; molti schiavi e schiave convertirono
alla fede i loro padroni e contribuirono
alla propagazione del Vangelo; molti incontrarono
il martirio (per esempio le sante
Felicita e Blandina, Potamiena..., i santi Teodulo,
Agricola e Vitale, Proto e Giacinto).
Ma la Chiesa cercò anche di risolvere gradualmente
sul piano civile e politico il
problema della schiavitù. Così si adoperò
in tutti i tempi per emancipare coloro che
per diritto di guerra o per altri motivi erano
divenuti schiavi, alienando e vendendo
per tale scopo anche i vasi e le suppellettili
sacre, adoperandosi come poteva perché i
padroni lo facessero spontaneamente. Non
meno efficace fu l’influsso della morale e
della spiritualità cristiane sulle cause prossime
della schiavitù condannando la cupidigia
dei piaceri e delle ricchezze, nobilitando
gli affetti familiari per impedire l’esposizione
dei bambini e soprattutto nobilitando il
lavoro con l’esempio di Gesù Cristo e degli
apostoli…
Se stiamo ai primi secoli dunque notiamo
anzitutto due fatti.
Il primo: il pagano Celso, attaccando i cristiani,
dice che costoro convertono solo
“donnette”, “ragazzini”, e “schiavi”. Ciò significa
che per il pagano Celso e per il suo
pubblico, queste tre categorie di persone
sono evidentemente inferiori; cosa che non
è affatto per cristiani che invece, se ne deduce,
li convertono, e quindi parlano con
loro, da pari a pari, partecipano agli stessi
riti, frequentano le stesse mense.
Il secondo fatto è la decisione di Costantino,
una volta convertito, di vietare il marchio a
fuoco, e poi scoraggiare due pene tipiche
per gli schiavi: la crocifissione e i giochi del
circo.
Inoltre Costantino, sempre in ossequio alle
nuove idee evangeliche, comincia ad ostacolare,
tramite leggi contro l’infanticidio e
l’abbandono ed aiuti fiscali alle famiglie bisognose,
nel 315 e nel 318, l’antica usanza
dei padri romani di esporre i propri figli o
di venderli, trasformandoli così, sovente, in
schiavi. Infatti i figli abbandonati, quando
non erano lasciati morire, scrive P. Veyne,
«erano la fonte ordinaria della schiavitù».
Aggiungono J. Andreau e R. Descat: «In
definitiva secondo noi all’interno dell’impero
l’esposizione dei neonati costituiva in
questa epoca la fonte più importante della
schiavitù... la pratica dell’esposizione contribuisce
a confermare la presenza di numerose
ragazze e donne tra gli schiavi perché,
a quanto sembra, si esponevano maggiormente
le bambine». Però «la diffusione del
cristianesimo ha certamente causato una
forte diminuzione delle esposizioni di bambini.
I cristiani si mostravano risolutamente
contrari all’esposizione dei neonati: Lattanzio
la condanna in modo vigoroso (Istituzioni
divine 6,20,18-25)…”.
Vi sono Concili che vietano la mutilazione
degli schiavi, altri che si incaricano di assicurare
la libertà dei manomessi e dei liberti,
altri in cui si proclama la libertà degli schiavi
divenuti monaci o preti, altri in cui si impone
a chi diventa monaco, di emancipare i
suoi schiavi, altri in cui si vieta di requisire
agli schiavi i loro risparmi, altri in cui si condanna
l’uso di usare le schiave come concubine
(condanna questa già presente nel
divieto ai rapporti con donne che non siano
la moglie)…
Il Concilio di Elvira del 305, prescrive una
penitenza per il padrone o la padrona che
abbiano battuto la propria schiava provocandole
un danno: i cristiani non solo non
possono gettare alle murene i loro servi, e
neppure rompergli gli stinchi o bruciarli, ma
neppure possono maltrattarli! Il concilio di
Orleans del 549 ed altri concili stabiliscono
che se uno schiavo si rifugia in chiesa
il padrone lo riavrà solo se giurerà di non
fargli del male; alla schiavo la chiesa offre
un diritto d’asilo, che varia a seconda delle
circostanze. Al Concilio Aghatense del 506
e in quello Matisconense del 585, e in svariati
altri concili, si dispongono la vendita di
vasi sacri e di beni della Chiesa per la redenzione
e il riscatto di alcuni schiavi… Nel
concilio Lugdunense del 566 si scomunicano
coloro che attentano alla libertà delle
persone…
La Chiesa, dunque, «non ha sconvolto ogni
cosa…ma ha attenuato alcuni degli aspetti
più negativi della schiavitù, ha combattuto
gli abusi più palesi. Si è interessata particolarmente
al riscatto dei prigionieri e si è opposta
alla riduzione in schiavitù, con l’inganno
o con la forza, di uomini e donne liberi».
Per comprendere
cosa avvenga
poi nella realtà
di quegli anni riporto
alcuni fatti
che possono essere
considerati
paradigmatici.
Il primo riguarda
due coniugi
romani ricchissimi
vissuti nel
V secolo: santa
Melania, “l’ereditiera
più ricca
del mondo romano”,
andata in
sposa a quattordici
anni a tale
Piniano, anch’egli
erede di una
grossa fortuna.
Costoro hanno
proprietà sparse
in tutto l’impero,
in Britannia, in
Gallia, in Italia e
nel Nord Africa. Convertiti al cristianesimo
vendono prima tutti i beni immobili, devolvendo
il ricavato ai poveri, ad opere di
beneficenza e ad istituzioni religiose. Il loro
palazzo sul Celio, ricorda Adalbert G. Hamman,
è «di una tale sontuosità che nessuno
poteva permettersi di comperarlo, neppure
l’imperatrice. Si incaricarono i barbari di
saccheggiarlo e distruggerlo». Melania e
Piniano hanno ben ottomila schiavi, un’intera
cittadina! Prima di partire pellegrini per
Gerusalemme li emancipano tutti, provvedendo
in parte anche ai loro bisogni futuri!
Il secondo fatto riguarda sant’Agostino. Nella
sua Africa solo parzialmente cristianizzata
la schiavitù è ancora in vigore: vi sono
padri che vendono un figlio per far fronte
ai loro debiti; le tribù della Mauritania subiscono
razzie e forniscono schiavi particolarmente
difficili da domare. Non mancano
rivolte e tentativi di fuga. Lascio la parola
ad Adalbert Hamman: «Rivolte e fughe sono
punite con castighi corporali e scontate con
la prigione a vita. Agostino, durante un sermone,
enumera alcuni di questi trattamenti
disumani; botte, ferri ai piedi, prigione. Uno
schiavo è stritolato mentre gira la mola, e
grida verso la mano che lo colpisce: “Pietà,
pietà”. Sono stati ritrovati collari da schiavi
con l’iscrizione: “prendimi, sono scappato”…
La donna schiava naturalmente per
il padrone è una tentazione alla quale egli
cede facilmente. Altri padroni, autentici ruffiani,
avviano la schiava alla prostituzione. È
stato ritrovato lo scheletro di una donna di
una quarantina d’anni con al collo un collare
di piombo sul quale è inciso il nome e la
professione: “Adultera, meretrix. Tene quia
fugivi de Bulla Regia” [Adultera e prostituta.
Prendimi, sono scappata da Bulla Regia].
Agostino di fronte a questi fatti, agli uomini
venduti e comperati come cose, invita i padroni
a trattare gli schiavi come dei figli, pur
non imponendo direttamente ai cristiani di
affrancare del tutto gli schiavi (che in verità,
visto il nuovo trattamento avuto nelle
case dei credenti, non possono più essere
definiti tali). Nel suo De Civitate Dei, nel libro
19 (par. 14-15), dopo aver ricordato a
chi comanda i suoi obblighi verso i sottoposti;
dopo aver sostenuto che i giusti non comandano
né per capriccio né per superbia;
che i padroni devono comportarsi coi servi
come i genitori fanno coi propri figli, perché
coloro che guidano, in verità, «sono a servizio
di coloro ai quali apparentemente comandano
», afferma: «Lo prescrive l’ordine
naturale perché in questa forma Dio ha creato
l’uomo. Infatti Egli disse: “Sia il padrone
dei pesci del mare e degli uccelli del cielo
e di tutti i rettili che strisciano sulla terra”.
Volle che l’essere ragionevole, creato a Sua
immagine, fosse il padrone soltanto degli
esseri irragionevoli, non l’uomo dell’uomo,
ma l’uomo del bestiame».
E poco più avanti aggiunge che nella Bibbia si
usa il termine “schiavo” per colui che è vittima
del peccato: se dunque vi sono nel mondo
degli schiavi, conclude, ciò avviene per la
“colpa” originaria, cioè la cattiveria dell’uomo,
“non per la natura”, cioè non perché,
come volevano ad esempio i greci, vi siano veramente
uomini inferiori, schiavi per nascita.
In una sua lettera Agostino testimonia di
una ragazza rapita ai suoi genitori, fatta
schiava e riscattata dalla Chiesa, mentre
in un altro sermone ci tramanda il cerimoniale
di affrancamento, reso più facile dal
solito Costantino: «Tu vuoi affrancare il tuo
schiavo. Conducilo per mano in chiesa. Si fa
silenzio. Viene letto il tuo atto di affrancamento
oppure tu esprimi la tua intenzione
in altro modo. Tu affermi di dare la libertà
perché si è dimostrato fedele in tutto nei
tuoi confronti. Egli poi straccia l’atto d’acquisto

».

La Croce 7 febbraio 2015


Quei laicissimi roghi che il Corriere dimentica. Rino Cammilleri


Il Corsera, omaggiando il politicamente corretto, affianca il rogo del pilota giordano a quelli dell’Inquisizione, tanto per ricordare che a rosolare gli avversari ideologici hanno pensato prima i cristiani. Certo, un commento è un commento e il commentatore, anche se esperto, deve fare i conti con lo spazio che gli viene concesso. Cito: «Furono bruciati per primi gli eretici, cristiani che avevano idee un po’ diverse».

Queste «idee un po’ diverse» erano, per esempio, quelle dei catari. Che cristiani non erano affatto. E vediamole, queste “idee”. Secondo i catari la materia era stata creata da una divinità malvagia, perciò occorreva evitare che le anime (create dalla divinità buona) finissero prigioniere nei corpi (creati da quella cattiva). E come? Smettendo di procreare. Il catarismo fu un problema talmente serio che ad accendere i roghi furono prima la gente comune e poi le autorità, tanto che la Chiesa dovette intervenire per avocare a sé il problema. Cioè: in tema di religione solo la Chiesa ha la competenza necessaria nonché la misericordia occorrente affinché sul rogo non ci finisca qualche sprovveduto. Perciò creò l’Inquisizione, un tribunale di esperti teologi con tanto di garanzie che accertava che l’”eretico” fosse veramente tale e non un poveraccio tratto al catarismo da ignoranza (o paura, perché in certi luoghi i catari erano potenti e privi di scrupoli). Se l’imputato persisteva nelle sue “idee”, la Chiesa non poteva fare più nulla per lui e passava la mano all’autorità civile. La quale non intendeva permettere che, a furia di vietare la procreazione, l’umanità si estinguesse (tra l’altro, i catari proibivano il giuramento, che era la base della società feudale).

Proprio contro le “idee” dei catari san Francesco intonò il suo Cantico delle creature e a contrastarli mandò il francescano più colto e santo: sant’Antonio di Padova. Non a caso l’Inquisizione fu affidata ai nuovissimi ordini mendicanti, francescani e domenicani, i più amati dalla gente. Naturalmente, è buona norma politicamente corretta non menzionare mai gli inquisitori a cui gli eretici fecero la pelle. Andiamo avanti col commento del Corrierone. Cito ancora: «dal Duecento fino a metà del Settecento (…) una stima approssimativa calcola che i roghi delle Inquisizioni cattoliche fossero circa 20mila, mentre le condanne capitali per eresia in Inghilterra e Svizzera furono molto minori». Prendiamo per buona la cifra approssimata e ricordiamo che va spalmata su seicento anni e su Spagna, Francia, Italia, Portogallo. In Inghilterra, però, gli «eretici» erano i cattolici, e bastò un solo paio di secoli per giustiziarne sui 70mila. É vero, non erano roghi ma forca con squartamento. Quanto alla Svizzera, era meglio non avvicinarsi: lo stesso Giordano Bruno scappò.

Il commento del Corsera, bontà sua, ammette che, per quanto riguarda le streghe, i protestanti ne eliminarono molte di più dei cattolici; anzi, questi ultimi molto poche. E che il loro numero complessivo va ridimensionato di parecchio. Cose note, certo, però una stoccatina finale alle «sentenze» emanate «in nome di Gesù Cristo» riequilibra le cose, non sia mai che la Chiesa cattolica passi per buona e giusta. Aggiungiamo, noi, a beneficio dei nostri lettori, che la pena del rogo non fu un’invenzione medievale, ma era stata presa pari pari dal diritto romano (che ancora oggi si studia nelle università) e risaliva a un decreto di Diocleziano. Veniva comminata per «lesa maestà» e fu inaugurata contro i manichei. Per quanto riguarda le sentenze emanate in nome di Cristo, infine, una buona volta bisogna prendere il toro per le corna e chiedere: avete mai visto una civiltà, una sola, senza inquisizione? Socrate fu inquisito e fatto fuori dai civilissimi greci. Dei romani sappiamo (v. le persecuzioni anticristiane). Sappiamo dei Paesi musulmani di ieri e di oggi. Paesi buddhisti come la Thailandia e Myanmar salvaguardano le basi religiose (un “laico” direbbe ideologiche) delle loro società. L’India ha leggi anticonversione e tribunali appositi. Dei Paesi comunisti come Cina e Vietnam e Cuba e Corea del Nord non è il caso di parlare, perché abbiamo già visto all’opera l’impero sovietico. La Germania hitleriana e l’Italia fascista avevano, com’è noto, le loro inquisizioni. Ma ne aveva una anche il Messico del XX secolo e scusate se abbiamo dimenticato qualcuno.

Ai laicisti odierni che si rifanno ai loro antenati Illuministi ricordiamo il Comitato di Salute Pubblica e la ghigliottina per quelli che avevano «idee un po’ diverse». Oggi, a Terzo Millennio inoltrato, abbiamo leggi che sbattono in galera chi professa «idee un po’ diverse» su omosessualità e minoranze (anche animali) che l’odierno Stato ideologico ha dichiarato sacre. Morale: non esiste, né può esistere, una società che non si basi su un corpus strutturato di idee (chiamateli, se volete, valori, princìpi, religione civile) e che non lo difenda se vuole continuare a sussistere. Chi dissente può essere tollerato, ma se insiste diventa sovversivo. La nostra liberalissima Italia prevede quelli che sono a tutti gli effetti reati di opinione (legge Mancino, divieto di apologia del fascismo etc.), ma non fa altro che difendere quel famoso corpus di idee su cui si fonda. Nei secoli cristiani tale corpus era la dottrina cristiana, tutto qui. Sotto quale inquisizione sia meglio vivere lo sa chi conosce la storia. 

http://www.lanuovabq.it/


Cagliostro, vittima della "crudeltà della Chiesa"? di Angela Pellicciari



Poche sono le certezze che ci accompagnano. Fra le poche ce n’è una che spicca per il grado dell’assoluta ovvietà: l’Inquisizione è un’istituzione ecclesiastica di cui c’è solo da vergognarsi. Siccome a suo tempo l’Inquisizione ha condannato al carcere a vita Giuseppe Balsamo - detto conte di Cagliostro -, la conclusione ovvia è che certamente Cagliostro è un martire dell’oscurantismo cattolico.

E’ sufficiente la notizia della condanna dell’Inquisizione per osannare Cagliostro?

Qualche anno fa’, mentre scrivevo I papi e la massoneria (Ares2007), ho passato parecchio tempo all’archivio del Sant’Uffizio dove, fra gli altri, ho avuto fra le mani un interessante fascicolo riguardante proprio Cagliostro, capo incontrastato della massoneria “egiziaca” da lui fondata. Questo l’obiettivo dell’ordine: “ringiovanire e recuperare lo stato della perduta innocenza, ed un pieno dominio sopra degli Angeli”. Come fare per ottenere la perfezione spirituale e l’immortalità? Se ne parla nel manuale della “Promozione De’ Compagni al grado di Maestri” in cui si prevedono due quarantene. Alla fine della prima si raggiunge un potere immenso che permette ai maestri di dire: “Ego sum qui sum”, mentre alla fine della seconda si vince la morte. Per farlo bisogna aspettare il plenilunio di maggio e andare in campagna in compagnia di un amico: qui bisogna sottoporsi ad una “dieta estenuante” che porta alla caduta della pelle e alla perdita dei denti, ma che, alla fine, permette di ringiovanire e di diventare fisicamente perfetti. Vale a dire immortali. Viene da domandarsi: Cagliostro ha fatto su qualcuno qualche esperimento per verificare la bontà della propria dottrina?

Con un simile bagaglio concettuale, gli affiliati alla massoneria egiziaca sono comprensibilmente vincolati ad un segreto impenetrabile e ad una rigidissima obbedienza. Al momento dell’ingresso in loggia, per esempio, gli uomini giurano tenendo una mano sopra un braciere e pronunciano la formula: “Io prometto, mi impegno e giuro di non rivelare mai li segreti, li quali mi saranno comunicati in questo tempio, e di obbedire ciecamente ai miei superiori”.

L’obbedienza cieca che la massoneria ha sempre condannato imputandola ai fedeli cattolici, è esigita alla lettera all’interno della loggia. Così, per esempio, quando Cagliostro vuole che un affiliato del suo ordine sia nominato “Ambasciatore dell’Ordine rispettabile di Malta presso la Corte di Roma”, si rivolge in questi termini al cardinale di Rohan: “se voi non volete nuocere a voi stesso, ed anche camminare per la vostra rovina contro il vostro modo di pensare, ed agire nella guisa, che noi ve ne abbiamo tracciata la regola, noi vi ordiniamo di risponderci ipso facto. Il che ci metterà nel caso, in virtù dell’autorità, di cui siamo rivestiti, di darvi dei regolamenti saggi, e perfetti, di farvi sapere le nostre intenzioni, e li voleri della Provvidenza Divina”.

E se un principe di Santa Romana Chiesa non obbedisce ad un ordine dato, all’apparenza, da un signor nessuno? “E se voi disobbedirete alli nostri ordini, non tarderete a riceverne il castigo. Sarete sottoposto alla pena, che soffrirono li nostri nemici. In una parola ve ne pentirete per sempre”. Detto in parole povere: se Rohan disobbedisce, Rohan è un uomo morto. Proprio come, ricorda Cagliostro, è successo a quanti si sono opposti alla “nostra” volontà.

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* Articolo pubblicato sul quotidiano Il Tempo del 23-08-2013 con il titolo Una lezione di CagliostroQuesta e altre utili lezioni di disincanto dalla sirene anticattoliche che vanno per la maggiore è colmo il nuovo libro di Angela Pellicciari, La gnosi al potere. Perché la storia sembra una congiura contro la verità (Fede & Cultura, Verona 2014


Come il medioevo chi ha regalato gli ospedali

Dal sito Recensioni & Storia.it 12 aprile 2011

“E’ ancora materia di dibattito se si possa dire che nell’antica Grecia e nell’antica Roma siano esistite istituzioni che somigliassero agli ospedali come li intende l’età moderna… Tutto fa pensare che sia stata la Chiesa ad aprire la strada alla fondazione di istituzioni fornite di medici che facessero diagnosi e prescrivessero rimedi, e dove fossero presenti anche mezzi di cura.” A tali conclusioni giunge lo storico americano Thomas E. Woods Jr. nel suo volume “Come la Chiesa cattolica ha costruito la civiltà occidentale”, tradotto e pubblicato in Italia da Cantagalli (Siena, 2007, pagg. 270).


Secondo Woods già nel IV secolo la Chiesa iniziò a promuovere la costituzione di ospedali su larga scala, al punto che quasi ogni città principale si trovò ad averne uno. In origine questi ospedali offrivano ospitalità agli stranieri, ma all’occasione si prendevano cura dei malati, delle vedove, degli orfani e dei poveri in genere.

Woods nel suo libro cita lo storico della medicina Fielding Garrison, il quale osserva che prima della nascita di Cristo l’atteggiamento degli uomini verso la malattia e le situazioni difficili della vita non era ispirato alla compassione: il merito di aver dato sollievo su vasta scala alla sofferenza umana è proprio del cristianesimo.

Uomini e donne dei primi secoli (spesso annoverati fra i Santi che la Chiesa venera) istituirono centri di accoglienza assimilabili ai nostri ospedali; ma come al solito furono i monasteri a svolgere un ruolo importante nella cura dei malati. L’Autore ricorda che in seguito alla caduta dell’Impero romano i monasteri gradualmente diventarono luoghi in cui si offrivano cure mediche organizzate che per molti secoli in Europa non furono disponibili altrove.

Per migliorare l’assistenza sanitaria e specialistica, tra il V e il X secolo i monasteri diventarono anche sedi di studio di dottrina medica. Oltre ai monasteri, nel corso del Medio Evo si distinsero per la cura degli ammalati anche i grandi ordini cavallereschi e militari impegnati nelle crociate. Uno di questi ordini, i Cavalieri di San Giovanni, non a caso noti come “gli Spedalieri” e più tardi divenuti Cavalieri di Malta, lasciarono un’impronta significativa nella storia degli ospedali europei.

La loro sede principale fu fondata a Gerusalemme intorno al 1080 in funzione dei pellegrini poveri ed ammalati. Quando Gerusalemme fu riconquistata dai Crociati nel 1099, l’ospedale di San Giovanni grazie alle donazioni dei fedeli crebbe fino a diventare un centro di assistenza di prim’ordine.

Lo stesso Goffredo di Buglione, appena entrato in Gerusalemme, volle visitare l’ ospedale e ne restò tanto edificato che fece ad essi copiose donazioni. I cronisti del tempo riferiscono che la struttura disponeva di un migliaio di letti per la degenza, ma molti di più erano i sofferenti e i poveri che vi potevano trovare cure ed accoglienza. L’articolo 16 di un codice che riguardava l’amministrazione dell’ospedale recitava: “Come i nostri signori ammalati dovrebbero essere ricevuti e serviti”…

Thomas E Woods, Come la Chiesa cattolica ha costruito la civiltà occidentale - Cantagalli, Siena 2007, pagg. 270


Giovanni XXIII non perseguitò Padre Pio


Padre Pio da Pietrelcina, il santo del Gargano, non fu «perseguitato» da Giovanni XXIII. Il beato Roncalli, infatti non diede credito alle presunte notizie raccolte da alcuni collaboratori, ma decise alla fine di affidarsi al più equilibrato e fondato giudizio del vescovo di Manfredonia evitando sanzioni pesanti verso il cappuccino con le stimmate acclamato come un santo mentre era ancora in vita e viveva a San Giovanni Rotondo.

È quanto emerge dal bel libro Oboedientia et Pax. La vera storia di una falsa persecuzione (edizioni Padre Pio e Libreria Editrice Vaticana), scritto dal giornalista Stefano Campanella. Il volume, che porta la prefazione del cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone, è stato presentato questo pomeriggio a Roma. Oggetto del volume sono quelle che Bertone definisce «vicende fatte oggetto di surrettizie interpretazioni storiche», vale a dire il mito di un santo «persecutore», il Papa buono, e di un santo «perseguitato», Padre Pio.

L’opera di Campanella si avvale di diversi documenti inediti, provenienti dagli atti della causa di beatificazione, e smentisce ricostruzioni giornalistiche ma anche la versione proposta nella recente biografia di Padre Pio pubblicata dallo storico Sergio Luzzatto. E documenta come le pesanti e autorevoli accuse rivolte al frate non trovarono credito nel Papa.

All’origine di quella che sarà chiamata la «seconda persecuzione» di Padre Pio, avvenuta tra il 1960 e il 1961 c’è il parroco romano del Divino Amore, don Umberto Terenzi, il quale voleva proteggere il santo frate e la sua opera, Casa Sollievo della Sofferenza, dalle indebite ingerenze di un persone troppo interessate ai soldi. Don Terenzi ottenne dal Sant’Uffizio l’incarico verbale di indagare, ma esagerò presentandosi a San Giovanni Rotondo come rappresentante papale e lasciando intendere di dover riferire personalmente a Giovanni XXIII, cosa che non avvenne mai. Vennero posizionati dei microfoni e un registratore nella foresteria, dove Padre Pio incontrava le persone (non nel confessionale) e in un colloquio con la già attempata Cleonice Morcaldi i curiosi precursori delle nostre intercettazioni credettero di ascoltare «un bacio».

La bobine, confuse e poco utilizzabili, vennero mandate al Sant’Uffizio. Il Papa, venuto a sapere, ordinà che i microfoni fossero tolti e non volle più trovarsi davanti don Terenzi, neanche nelle pubbliche udienze. Venne quindi nominato il visitatore apostolico Carlo Maccari, del vicariato di Roma. Anche lui si sentì un rappresentante del Papa, che parlava in suo nome, quando invece aveva solo il compito di raccogliere informazioni per poi riferire ai superiori. La visita non ebbe inizio nel migliore dei modi, a causa di qualche disguido, e Maccari accreditò le false accuse contro Padre Pio.

Ma la vera notizia contenuta nel libro, inedita, è la visita apostolica di un solo giorno compiuta nel febbraio 1961 dal domenicano padre Paolo Philippe, futuro cardinale e consultore del Sant’Uffizio. Venne a San Giovanni Rotondo e interrogò Padre Pio. Scrisse una relazione, citata nel volume di Campanella, dai toni durissimi contro il santo del Gargano, certamente peggiore di quella già negativa redatta da monsignor Maccari.

Scrisse: «P. Pio mi è apparso come un uomo di intelligenza limitata, ma molto astuto e ostinato, un contadino furbo che cammina per la sua strada senza urtare i Superiori di fronte, ma che non ha alcuna voglia di cambiare […] egli non è e non può essere un santo […] e neppure un degno sacerdote. […] P. Pio è passato insensibilmente da manifestazioni minori di affettuosità ad atti sempre più gravi, fino all’atto carnale. E, adesso, dopo tanti anni di vita sacrilega, forse non si accorge più della gravità del male. Questa è la storia di tutti i falsi mistici che sono caduti nell’erotismo […]»

«P. Pio non è solo un falso mistico, che è consapevole che le sue stigmate non sono da dio, e ciò nonostante lascia costruire tutta la sua “fama sanctitatis”su di esse, ma, peggio ancora, egli è un disgraziato sacerdote, che approfitta della sua reputazione di santo per ingannare le sue vittime», per cui, da «ex professore di storia della mistica», definiva «il caso di P. Pio la più colossale truffa che si possa trovare nella storia della chiesa».

Insomma, una requisitoria terribilmente negativa, anzi distruttiva. Frutto di un solo giorno di indagine e basata esclusivamente sulle relazioni precedenti. Una requisitoria fino ad oggi mai pubblicata. Papa Giovanni lesse, ne rimase impressionato. Ma volle consultare ancora una volta l’arcivescovo di Mafredonia, suo antico amico. Il colloquio, eloquentissimo, è riportato nel volume di Campanella. Giovanni XXIII capì che le accuse contro Padre Pio erano false, costruite ad arte, fondate sul nulla. E diede ordine ai cardinali del Sant’Uffizio di non inasprire le sanzioni verso Padre Pio. Se il santo del Gargano fu «perseguitato», il Papa buono e oggi beato, non fu mai il suo «persecutore».


GP II. Il Papa che liberò l’Europa dal comunismo


Intervista a don Mariusz Frukacz, redattore del settimanale “Niedziela”
di Antonio Gaspari
Tratto da La Stampa del 9 febbraio 2011

Il primo maggio Bendetto XVI beatificherà a Roma il suo predecessore, Karol Wojtyla.

Per cercare di comprendere meglio le virtù e la santità di Giovanni Paolo II, ZENIT ha deciso di pubblicare diverse testimonianze di persone che lo hanno conosciuto e frequentato.

Iniziamo con l’intervista a don Mariusz Frukacz, sacerdote dell’arcidiocesi di Cze;stochowa nonchè redattore del settimanale cattolico “Niedziela” e corrispondente diocesiano della Agenzia Cattolica d’Informazione.

La Polonia era duramente sottomessa al regime sovietico. Che cosa significò per il popolo l’elezione a Pontefice di Giovanni Paolo II?
Don Frukacz: Nel 1978 quando il Cardinale Karol Wojty?a è stato eletto Pontefice con il nome di Giovanni Paolo II la Polonia era schiacciata dal regime comunista. L’elezione di Giovanni Paolo II, il primo Pontefice polacco e il primo Pontefice slavo, ha avuto una grande rilevanza non soltanto per la Polonia, ma anche per tutta l’Europa centrale e orientale. Il popolo in Polonia, ma anche negli altri paesi sottomessi al regime sovietico, ha avvertito non soltanto la gioia, ma anche lo spirito di libertà. Giovanni Paolo II ha portato con sè la fedeltà al Vangelo e il coraggio della fede nella verità. Penso che le parole “Non abbiate paura, anzi spalancate le porte a Cristo” abbiano dato il via ai cambiamenti epocali in Polonia e in tutta l’Europa. L’elezione di Giovanni Paolo II significò l’inizio della primavera della libertà. L’elezione di quel Pontefice ha dato al popolo polacco la forza spirituale e morale per passare dalla resistenza all’ingiustizia, alla vittoria del bene sul male. Giovanni Paolo II ha dato il via alla rivoluzione spirituale e morale in Polonia e negli altri paesi dell’Europa centrale e orientale.

È vero che i russi non invasero la Polonia perchè Wojtyla era Papa?
Don Frukacz: A questa domanda non si può dare una risposta semplice. In questo momento non conosciamo tutti i documenti del regime comunista, e soprattutto poco si sa del periodo in cui il generale Wojciech Jaruzelski instaurò lo stato di guerra in cui vennero sospesi i diritti civili e gli attivisti di "Solidarnos'c'" furono arrestati e imprigionati. Io penso che alcuni storici hanno ragione quando scrivono che i russi non invasero la Polonia perchè non volevano ripetere la situazione del 1968, quando invasero la Cecoslovacchia. Il generale Wojciech Jaruzelski sostiene che il 13 dicembre 1981 dovette instaurare lo stato di guerra in Polonia altrimenti i russi avrebbero invaso la Polonia. Oggi sappiamo che quanto detto da Jaruzelski non è vero. Dal punto di vista di alcuni documenti e in base alle testimonianze gli storici in Polonia sostengono che il regime comunista, in modo speciale Leonid Brezniev, il primo segretario del partito comunista dell’Unione Sovietica, voleva che il generale Jaruzelski e il regime comunista in Polonia risolvessero il problema di “Solidarnos'c'” con le proprie forze. Sappiamo oggi che durante lo stato di guerra in Polonia, Giovanni Paolo II teneva stretti contatti diplomatici con il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan e che scrisse una lettera a Leonid Brez. niev per convincerlo a non invadere la Polonia. Ciò nonostante non possiamo dire in modo sufficiente e sicuro che i russi non invasero la Polonia perchè il Cardinale Wojtyla era Papa.

Il nazismo prima e il comunismo poi hanno cercato di tagliare le radici cristiane e cancellare la fede cattolica del popolo polacco. Per quali ragioni non ci riuscirono?
Don Frukacz: È vero che il nazismo prima ed il comunismo poi hanno cercato di tagliare le radici cristiane e cancellare la fede cattolica del popolo polacco. Ma non ci sono riusciti. Penso che la risorsa decisiva che ha salvato la fede cattolica sia stata quella delle famiglie polacche, le quali hanno rispettato e trasmesso ai figli il patrimonio spirituale delle generazioni precedenti. Nelle famiglie cristiane polacche durante il regime nazista e poi comunista era vivo e forte il legame della fede con la cultura cristiana e la cultura nazionale. Per il popolo polacco la fede ha la sua importanza anche nella vita sociale. Non è una cosa privata. La fede ha una sua dimensione sociale e nazionale. Per i polacchi la fede è collegata con il vero patriottismo, cioè l'amore per Dio e per la Patria.

Penso anche che un grande ruolo nel mantenere forti le radici cristiane nella società polacca lo abbiano svolto i movimenti e le associazione cristiane, come per esempio il “Movimento Luce-Vita” del Servo di Dio don Franciszek Blachnicki. Un ruolo importante lo hanno svolto i Club dell’Intelligenza Cattolica, la pastorale accademica e le settimane della cultura cristiana, quando nelle chiese gli artisti hanno presentato e trasmesso la cultura e la letteratura nazionale ai fedeli.

Penso che un grande ruolo lo abbia svolto anche il Cardinale Stefan Wyszyn'ski, Primate del Millennio. È stato lui ad organizzare i "Voti di Jasna Góra" nel 1956, la Novena in occasione dei mille anni del Cristianesimo in Polonia (1957-1966). È stato lo stesso Cardinale Wyszyn'ski ad approfondire e diffondere la cosiddetta "Teologia della Nazione" per rafforzare l'identità cattolica dei polacchi. Anche Giovanni Paolo II ha testimoniato la rilevanza e la grandezza della figura di Wyszyn'ski quando ha detto: “ Non ci sarebbe stato un Pontefice polacco sul trono di Pietro se non ci fosse stata la fede del Cardinale Wyszyn'ski, e la sua prigionia e Jasna Góra”.

Prima la beatificazione di Jerzy Popieluszko, adesso quella di Karol Wojtyla, due eroi moderni. Ci sono molti elementi comuni nel coraggio e nella testimonianza eroica di entrambi. Può illustrarceli?
Don Frukacz: Certo, sono molti gli elementi comuni nel coraggio e nella testimonianza eroica del beato don Jerzy Popie?uszko e di Giovanni Paolo II. Il primo elemento secondo me è la forte fede. Il Beato don Jerzy Popie?uszko e Giovanni Paolo II sono uomini di fede nel senso di totale obbedienza a Dio. Poi entrambi sono uomini che hanno realizzato nella vita la vera fedeltà al Vangelo e ai valori cristiani. In nome del Vangelo e in nome del rispetto dei valori cristiani nella sfera della vita pubblica, entrambi hanno difeso i diritti umani e la dignità della persona umana. Entrambi hanno dato vera e coraggiosa testimonianza a Cristo fino all’effusione del sangue. Il Beato don Jerzy Popie?uszko è stato ucciso dai servizi segreti del regime comunista. Mentre il Pontefice Giovanni Paolo II ha subito un attentato in Piazza San Pietro il 13 maggio 1981.

Don Popie?uszko e Giovanni Paolo II hanno promosso il rispetto dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori e della dignità delle persone umane, tutto alla luce del Vangelo. Per la Polonia e per il mondo intero hanno praticato e testimoniato le virtù del coraggio, della fedeltà a Dio, alla Croce di Cristo e al Vangelo, amore per Dio e per la Patria. Entrambi hanno rappresentato il patriottismo in senso cristiano, come virtù culturale e sociale. Penso che un elemento comune a tutti e due sia la spiritualità mariana e il totale affidamento a Maria. Per don Popie?uszko l’esempio era san Massimiliano Kolbe mentre per Giovanni Paolo II era san Luigi Maria Grignion de Montfort.

Lei ha conosciuto e frequentato Karol Wojtyla. Quale sono, secondo il suo punto di vista, le qualità singolari di Giovanni Paolo II?
Don Frukacz: Il mio primo incontro con Giovanni Paolo II è stato durante il viaggio apostolico in Polonia, nel giugno 1979. Avevo otto anni. Ricordo bene la sua figura bianca con le braccia aperte. Ricordo l’atmosfera gioiosa di quegli storici giorni. Ricordo anche le lacrime dei miei genitori, soprattutto di mio padre Marian che faceva parte del movimento di “Solidarnos'c'”. Poi negli anni successivi ho partecipato con i miei familiari agli incontri con Giovanni Paolo II a Jasna Góra e in Cze;stochowa durante i viaggi del 1983, 1987, 1991, 1997, 1999.

Molto importante anche per la mia spiritualità è stato l’incontro nell’agosto del 1991, quando Giovanni Paolo II è venuto a benedire il nostro Seminario Maggiore in Cze;stochowa. Ero in quel periodo al secondo anno dei miei studi al Seminario. Mi colpirono molto le parole del Pontefice, quando disse: “Con l’intera e totale dedizione, propria dell’atteggiamento di Maria sotto la Croce... proclamare il Vangelo del Suo Figlio e testimoniarlo nella vita, con generosità, senza nessun compromesso con lo spirito di questo mondo e senza alcuna paura”.

Secondo me il Papa polacco è stato un uomo di preghiera. Nel mio cuore rimane per sempre la Messa che ho potuto concelebrare con Giovanni Paolo II nella cappella privata al Palazzo Apostolico, il 7 settembre 2000. Penso che Giovanni Paolo II è stato un uomo di vera gioia cristiana. Durante i miei studi a Roma (2000-2007) ho potuto incontrarlo e ho potuto parlare con lui nel periodo di Natale e ricordo bene quando insieme a noi intonava i canti di Natale. Penso che Giovanni Paolo II sia stato un uomo di grande amore per il prossimo, per Cristo e per la Chiesa. Amava tanto Maria, è stato l’uomo del rosario. Sempre porto con me il Rosario che mi ha dato.

Quanti saranno i polacchi che verranno a Roma per la beatificazione di Giovanni Paolo II?
Don Frukacz: In questo momento non si può dire la cifra certa, ma posso ndire che tutta la Polonia è in movimento. I mass media nel nostro Paese dicono che per la beatificazione di Giovanni Paolo II verranno a Roma oltre un milione di pellegrini dalla Polonia.


La saggezza e lungimiranza di Leone XIII. Angela Pellicciari spiega il magistero del Papa di Carpineto Romano


di Antonio Gaspari
Tratto dal sito ZENIT, Agenzia di notizie il 7 febbraio 2011

Benedetto XVI nutre grande ammirazione per il Papa Leone XIII. In occasione della vista svolta il 5 settembre del 2010 a Carpineto Romano, paese natale di Gioacchino Pecci, spiegò che Leone XIII riuscì a diffondere un messaggio che “coniuga fede e vita, verità e realtà concreta”

“Il Papa Leone XIII - sottolineò Benedetto XVI -, con l’assistenza dello Spirito Santo, è capace di fare questo in un periodo storico tra i più difficili per la Chiesa, rimanendo fedele alla tradizione e, al tempo stesso, misurandosi con le grandi questioni aperte”.

In effetti nonostante i continui e feroci attacchi contro la Chiesa cattolica, Leone XIII (1878-1903) riuscì a diffondere un magistero saggio e lungimirante.

A questo proposito Benedetto XVI parla del magistero di Leone XIII come quello di “una Chiesa capace di affrontare senza complessi le grandi questioni della contemporaneità”.

Per favorire la conoscenza e approfondire le tante verità del magistero di Ledone XII, la storica Angela Pellicciari ha pubblicato il libro: “Leone XIII in pillole” edito da Fede & Cultura.

ZENIT l'ha intervistata.

Il Pontefice Leone XIII è conosciuto soprattutto per i suoi contributi sulla Dottrina Sociale, mentre lei sostiene che i suoi contributi al Magistero petrino sono molto più vasti. Può spiegarci il suo punto di vista?
Pellicciari: Penso che, dopo aver calunniato e ridicolizzato Pio IX (1846-78), non si potesse usare lo stesso metro con Leone XIII (1878-1903): bisognava, piuttosto, cercare di contrapporre il lungimirante, moderno e saggio Leone XIII, all’ottuso ed incapace Pio IX. Così facendo si è deliberatamente puntato sulla Rerum novarum, scordando che questa enciclica ha senso solo se inserita in un contesto di fede e di cultura molto più vasto.

Leone XIII visse in un periodo in cui la Chiesa fu duramente criticata e attaccata da liberalismo, massoneria e socialismo. Può spiegarci in che modo reagì il Pontefice?
Pellicciari: Raccontando, proprio come Pio IX, la verità. Ricordando che il cattolicesimo liberale diffonde menzogne nel tentativo di dividere la Chiesa ed annullarne le difese; ribadendo che il potere temporale è essenziale al Papa per svolgere la sua missione spirituale; rammentando a noi italiani che le tante “glorie” della nostra storia sono frutto della presenza a Roma del papato e della fede della popolazione; mettendoci in guardia dall’apostasia che ci porta inevitabilmente alla rovina.

Il pontificato di Leone XIII è vastissimo per produzione di scritti. Con quale criterio ha scelto le ‘pillole’ pubblicate nel libro di Fede & Cultura?
Pellicciari: In una bellissima enciclica, la Saepenumero considerantes, Leone XIII descrive cosa è diventata la scienza storica: una “congiura contro la verità”. I liberal-massoni si appropriano del patrimonio del popolo cristiano e, per dare una parvenza di giustizia alla propria sete di potere e di ricchezza, fanno appello alla supposta schiavitù cui l’Italia cattolica sarebbe stata ridotta dalla Rivelazione e dal Magistero. Per farlo, riscrivono la storia basandola su falsità sistematicamente divulgate da scuola, università, libri e giornali. A distanza di tanti decenni noi siamo gli eredi di quella congiura: sappiamo solo quello che la propaganda ci ha raccontato. Ho cercato di mettere in risalto i tanti fatti che abbiamo dimenticato.

Lei ha sostenuto che il pontificato di Leone XIII è molto simile a quello di Papa Benedetto XVI. Ci spiega il perché?
Pellicciari: Per la grande lucidità e semplicità, per la grande sapienza, con cui analizzano e descrivono la realtà culturale della propria epoca. Poi per la difesa di Roma e della sua storia che entrambi fanno con coraggio.

Quali sono gli insegnamenti che possiamo attingere da Leone XIII?
Pellicciari: Uno mi sembra di grandissimo interesse: nella Humanum genus, la più completa enciclica sulla e contro la massoneria, papa Pecci sostiene che i massoni affidano ad alcuni “fratelli” il compito di propagandare fra la popolazione una “sfrenata licenza”. Per governare, per comandare sulle persone senza che se ne accorgano, bisogna renderle schiave delle proprie passioni. Solo trasformando gli uomini in marionette, solo privandoli della volontà con la scusa della libertà, si riesce a “soggiogarli” e “renderli inclini all’ascolto”. E’ una lezione di grande attualità che permette di capire le ragioni dell’attacco alla morale naturale (ma anche alla ragione) condotto negli ultimi decenni.


Il Papa: Con il vestito composto da pace, amore e perseveranza, si compie l'opera di rinnovamento del cattolicesimo


Oggi vorrei parlarvi di san Pietro Kanis, Canisio. Entrò nella Compagnia di Gesù l’8 maggio 1543 a Magonza.
Nel 1548, sant’Ignazio gli fece completare a Roma la formazione spirituale e lo inviò poi nel Collegio di Messina a esercitarsi in umili servizi domestici. Conseguito a Bologna il dottorato in teologia il 4 ottobre 1549, fu destinato da sant'Ignazio all'apostolato in Germania. Il 2 settembre di quell'anno, il '49, visitò Papa Paolo III in Castel Gandolfo e poi si recò nella Basilica di San Pietro per pregare. Qui implorò l'aiuto dei grandi Santi Apostoli Pietro e Paolo, che dessero efficacia permanente alla Benedizione Apostolica per il suo grande destino, per la sua nuova missione. "Là io ho sentito che una grande consolazione e la presenza della grazia mi erano concesse per mezzo di tali intercessori. Essi confermavano la mia missione in Germania e sembravano trasmettermi, come ad apostolo della Germania, l’appoggio della loro benevolenza. Tu conosci, Signore, in quanti modi e quante volte in quello stesso giorno mi hai affidato la Germania per la quale in seguito avrei continuato ad essere sollecito, per la quale avrei desiderato vivere e morire".
Una caratteristica di san Pietro Canisio: saper comporre armoniosamente la fedeltà ai principi dogmatici con il rispetto dovuto ad ogni persona. San Canisio ha distinto l'apostasia consapevole, colpevole, dalla fede, dalla perdita della fede incolpevole, nelle circostanze. E ha dichiarato, nei confronti di Roma, che la maggior parte dei tedeschi passata al Protestantesimo era senza colpa. In un momento storico di forti contrasti confessionali, evitava - questa è una cosa straordinaria - l’asprezza e la retorica dell’ira - cosa rara come ho detto a quei tempi nelle discussioni tra cristiani, - e mirava soltanto alla presentazione delle radici spirituali e alla rivitalizzazione della fede nella Chiesa. A ciò servì la conoscenza vasta e penetrante che ebbe della Sacra Scrittura e dei Padri della Chiesa: la stessa conoscenza che sorresse la sua personale relazione con Dio e l’austera spiritualità che gli derivava dalla devotio moderna e dalla mistica renana.
È caratteristica per la spiritualità di san Canisio una profonda amicizia personale con Gesù. Scrive, per esempio, il 4 settembre 1549 nel suo diario, parlando con il Signore: "Tu, alla fine, come se mi aprissi il cuore del Sacratissimo Corpo, che mi sembrava di vedere davanti a me, mi hai comandato di bere a quella sorgente, invitandomi per così dire ad attingere le acque della mia salvezza dalle tue fonti, o mio Salvatore". E poi vede che il Salvatore gli dà un vestito con tre parti che si chiamano pace, amore e perseveranza. E con questo vestito composto da pace, amore e perseveranza, il Canisio ha svolto la sua opera di rinnovamento del cattolicesimo. Questa sua amicizia con Gesù - che è il centro della sua personalità - nutrita dall'amore della Bibbia, dall'amore del Sacramento, dall'amore dei Padri, questa amicizia era chiaramente unita con la consapevolezza di essere nella Chiesa un continuatore della missione degli Apostoli. E questo ci ricorda che ogni autentico evangelizzatore è sempre uno strumento unito, e perciò stesso fecondo, con Gesù e con la sua Chiesa.
Nella spiritualità cristocentrica di san Pietro Canisio si radica un profondo convincimento: non si dà anima sollecita della propria perfezione che non pratichi ogni giorno la preghiera, l’orazione mentale, mezzo ordinario che permette al discepolo di Gesù di vivere l’intimità con il Maestro divino. Perciò ha cura di mostrare ai fedeli la necessità e la bellezza che la preghiera personale quotidiana affianchi e permei la partecipazione al culto pubblico della Chiesa.

La vita cristiana non cresce se non è alimentata dalla partecipazione alla Liturgia, in modo particolare alla santa Messa domenicale, e dalla preghiera personale quotidiana, dal contatto personale con Dio. In mezzo alle mille attività e ai molteplici stimoli che ci circondano, è necessario trovare ogni giorno dei momenti di raccoglimento davanti al Signore per ascoltarlo e parlare con Lui.

Allo stesso tempo, è sempre attuale e di permanente valore l’esempio che san Pietro Canisio ci ha lasciato, non solo nelle sue opere, ma soprattutto con la sua vita. Egli insegna con chiarezza che il ministero apostolico è incisivo e produce frutti di salvezza nei cuori solo se il predicatore è testimone personale di Gesù e sa essere strumento a sua disposizione, a Lui strettamente unito dalla fede nel suo Vangelo e nella sua Chiesa, da una vita moralmente coerente e da un’orazione incessante come l’amore. E questo vale per ogni cristiano che voglia vivere con impegno e fedeltà la sua adesione a Cristo.


CATECHESI DI BENEDETTO XVI SU SAN PIETRO CANISIO


All'Udienza generale del mercoledì


CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 9 febbraio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la catechesi su san Pietro Canisio, Dottore della Chiesa (1521-1597), tenuta questo mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell’Udienza generale nell’Aula Paolo VI.





* * *

Cari fratelli e sorelle,

Oggi vorrei parlarvi di san Pietro Kanis, Canisio nella forma latinizzata del suo cognome, una figura molto importante nel Cinquecento cattolico. Era nato l’8 maggio 1521 a Nimega, in Olanda. Suo padre era borgomastro della città. Mentre era studente all’Università di Colonia, frequentò i monaci Certosini di santa Barbara, un centro propulsivo di vita cattolica, e altri pii uomini che coltivavano la spiritualità della cosiddetta devotio moderna. Entrò nella Compagnia di Gesù l’8 maggio 1543 a Magonza (Renania – Palatinato), dopo aver seguito un corso di esercizi spirituali sotto la guida del beato Pierre Favre, Petrus Faber, uno dei primi compagni di sant’Ignazio di Loyola. Ordinato sacerdote nel giugno 1546 a Colonia, già l’anno seguente, come teologo del Vescovo di Augusta, il cardinale Otto Truchsess von Waldburg, fu presente al Concilio di Trento, dove collaborò con due confratelli, Diego Laínez e Alfonso Salmerón.

Nel 1548, sant’Ignazio gli fece completare a Roma la formazione spirituale e lo inviò poi nel Collegio di Messina a esercitarsi in umili servizi domestici. Conseguito a Bologna il dottorato in teologia il 4 ottobre 1549, fu destinato da sant'Ignazio all'apostolato in Germania. Il 2 settembre di quell'anno, il '49, visitò Papa Paolo III in Castel Gandolfo e poi si recò nella Basilica di San Pietro per pregare. Qui implorò l'aiuto dei grandi Santi Apostoli Pietro e Paolo, che dessero efficacia permanente alla Benedizione Apostolica per il suo grande destino, per la sua nuova missione. Nel suo diario annotò alcune parole di questa preghiera. Dice: "Là io ho sentito che una grande consolazione e la presenza della grazia mi erano concesse per mezzo di tali intercessori [Pietro e Paolo]. Essi confermavano la mia missione in Germania e sembravano trasmettermi, come ad apostolo della Germania, l’appoggio della loro benevolenza. Tu conosci, Signore, in quanti modi e quante volte in quello stesso giorno mi hai affidato la Germania per la quale in seguito avrei continuato ad essere sollecito, per la quale avrei desiderato vivere e morire".

Dobbiamo tenere presente che ci troviamo nel tempo della Riforma luterana, nel momento in cui la fede cattolica nei Paesi di lingua germanica, davanti al fascino della Riforma, sembrava spegnersi. Era un compito quasi impossibile quello di Canisio, incaricato di rivitalizzare, di rinnovare la fede cattolica nei Paesi germanici. Era possibile solo in forza della preghiera. Era possibile solo dal centro, cioè da una profonda amicizia personale con Gesù Cristo; amicizia con Cristo nel suo Corpo, la Chiesa, che va nutrita nell'Eucaristia, Sua presenza reale.

Seguendo la missione ricevuta da Ignazio e da Papa Paolo III, Canisio partì per la Germania e partì innanzitutto per il Ducato di Baviera, che per parecchi anni fu il luogo del suo ministero. Come decano, rettore e vicecancelliere dell’Università di Ingolstadt, curò la vita accademica dell’Istituto e la riforma religiosa e morale del popolo. A Vienna, dove per breve tempo fu amministratore della Diocesi, svolse il ministero pastorale negli ospedali e nelle carceri, sia nella città sia nelle campagne, e preparò la pubblicazione del suo Catechismo. Nel 1556 fondò il Collegio di Praga e, fino al 1569, fu il primo superiore della provincia gesuita della Germania superiore.

In questo ufficio, stabilì nei Paesi germanici una fitta rete di comunità del suo Ordine, specialmente di Collegi, che furono punti di partenza per la riforma cattolica, per il rinnovamento della fede cattolica. In quel tempo partecipò anche al colloquio di Worms con i dirigenti protestanti, tra i quali Filippo Melantone (1557); svolse la funzione di Nunzio pontificio in Polonia (1558); partecipò alle due Diete di Augusta (1559 e 1565); accompagnò il Cardinale Stanislao Hozjusz, legato del Papa Pio IV presso l’Imperatore Ferdinando (1560); intervenne alla Sessione finale del Concilio di Trento dove parlò sulla questione della Comunione sotto le due specie e dell’Indice dei libri proibiti (1562).

Nel 1580 si ritirò a Friburgo in Svizzera, tutto dedito alla predicazione e alla composizione delle sue opere, e là morì il 21 dicembre 1597. Beatificato dal beato Pio IX nel 1864, fu proclamato nel 1897 secondo Apostolo della Germania dal Papa Leone XIII, e dal Papa Pio XI canonizzato e proclamato Dottore della Chiesa nel 1925.

San Pietro Canisio trascorse buona parte della sua vita a contatto con le persone socialmente più importanti del suo tempo ed esercitò un influsso speciale con i suoi scritti. Fu editore delle opere complete di san Cirillo d’Alessandria e di san Leone Magno, delle Lettere di san Girolamo e delle Orazioni di san Nicola della Fluë. Pubblicò libri di devozione in varie lingue, le biografie di alcuni Santi svizzeri e molti testi di omiletica. Ma i suoi scritti più diffusi furono i tre Catechismi composti tra il 1555 e il 1558. Il primo Catechismo era destinato agli studenti in grado di comprendere nozioni elementari di teologia; il secondo ai ragazzi del popolo per una prima istruzione religiosa; il terzo ai ragazzi con una formazione scolastica a livello di scuole medie e superiori. La dottrina cattolica era esposta con domande e risposte, brevemente, in termini biblici, con molta chiarezza e senza accenni polemici. Solo nel tempo della sua vita sono state ben 200 le edizioni di questo Catechismo! E centinaia di edizioni si sono succedute fino al Novecento. Così in Germania, ancora nella generazione di mio padre, la gente chiamava il Catechismo semplicemente il Canisio: è realmente il catechista per secoli, ha formato la fede di persone per secoli.

È, questa, una caratteristica di san Pietro Canisio: saper comporre armoniosamente la fedeltà ai principi dogmatici con il rispetto dovuto ad ogni persona. San Canisio ha distinto l'apostasia consapevole, colpevole, dalla fede, dalla perdita della fede incolpevole, nelle circostanze. E ha dichiarato, nei confronti di Roma, che la maggior parte dei tedeschi passata al Protestantesimo era senza colpa. In un momento storico di forti contrasti confessionali, evitava - questa è una cosa straordinaria - l’asprezza e la retorica dell’ira - cosa rara come ho detto a quei tempi nelle discussioni tra cristiani, - e mirava soltanto alla presentazione delle radici spirituali e alla rivitalizzazione della fede nella Chiesa. A ciò servì la conoscenza vasta e penetrante che ebbe della Sacra Scrittura e dei Padri della Chiesa: la stessa conoscenza che sorresse la sua personale relazione con Dio e l’austera spiritualità che gli derivava dalla devotio moderna e dalla mistica renana.

È caratteristica per la spiritualità di san Canisio una profonda amicizia personale con Gesù. Scrive, per esempio, il 4 settembre 1549 nel suo diario, parlando con il Signore: "Tu, alla fine, come se mi aprissi il cuore del Sacratissimo Corpo, che mi sembrava di vedere davanti a me, mi hai comandato di bere a quella sorgente, invitandomi per così dire ad attingere le acque della mia salvezza dalle tue fonti, o mio Salvatore". E poi vede che il Salvatore gli dà un vestito con tre parti che si chiamano pace, amore e perseveranza. E con questo vestito composto da pace, amore e perseveranza, il Canisio ha svolto la sua opera di rinnovamento del cattolicesimo. Questa sua amicizia con Gesù - che è il centro della sua personalità - nutrita dall'amore della Bibbia, dall'amore del Sacramento, dall'amore dei Padri, questa amicizia era chiaramente unita con la consapevolezza di essere nella Chiesa un continuatore della missione degli Apostoli. E questo ci ricorda che ogni autentico evangelizzatore è sempre uno strumento unito, e perciò stesso fecondo, con Gesù e con la sua Chiesa.

All’amicizia con Gesù san Pietro Canisio si era formato nell’ambiente spirituale della Certosa di Colonia, nella quale era stato a stretto contatto con due mistici certosini: Johann Lansperger, latinizzato in Lanspergius, e Nicolas van Hesche, latinizzato in Eschius. Successivamente approfondì l’esperienza di quell’amicizia, familiaritas stupenda nimis, con la contemplazione dei misteri della vita di Gesù, che occupano larga parte negli Esercizi spirituali di sant’Ignazio. La sua intensa devozione al Cuore del Signore, che culminò nella consacrazione al ministero apostolico nella Basilica Vaticana, trova qui il suo fondamento.

Nella spiritualità cristocentrica di san Pietro Canisio si radica un profondo convincimento: non si dà anima sollecita della propria perfezione che non pratichi ogni giorno la preghiera, l’orazione mentale, mezzo ordinario che permette al discepolo di Gesù di vivere l’intimità con il Maestro divino. Perciò, negli scritti destinati all’educazione spirituale del popolo, il nostro Santo insiste sull’importanza della Liturgia con i suoi commenti ai Vangeli, alle feste, al rito della santa Messa e degli altri Sacramenti, ma, nello stesso tempo, ha cura di mostrare ai fedeli la necessità e la bellezza che la preghiera personale quotidiana affianchi e permei la partecipazione al culto pubblico della Chiesa.

Si tratta di un’esortazione e di un metodo che conservano intatto il loro valore, specialmente dopo che sono stati riproposti autorevolmente dal Concilio Vaticano II nella Costituzione Sacrosanctum Concilium: la vita cristiana non cresce se non è alimentata dalla partecipazione alla Liturgia, in modo particolare alla santa Messa domenicale, e dalla preghiera personale quotidiana, dal contatto personale con Dio. In mezzo alle mille attività e ai molteplici stimoli che ci circondano, è necessario trovare ogni giorno dei momenti di raccoglimento davanti al Signore per ascoltarlo e parlare con Lui.

Allo stesso tempo, è sempre attuale e di permanente valore l’esempio che san Pietro Canisio ci ha lasciato, non solo nelle sue opere, ma soprattutto con la sua vita. Egli insegna con chiarezza che il ministero apostolico è incisivo e produce frutti di salvezza nei cuori solo se il predicatore è testimone personale di Gesù e sa essere strumento a sua disposizione, a Lui strettamente unito dalla fede nel suo Vangelo e nella sua Chiesa, da una vita moralmente coerente e da un’orazione incessante come l’amore. E questo vale per ogni cristiano che voglia vivere con impegno e fedeltà la sua adesione a Cristo. Grazie.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana. In particolare i Vescovi venuti per l’incontro promosso dal Movimento dei Focolari. Cari Fratelli nell’Episcopato, sono lieto di questa opportunità che vi è offerta per confrontare esperienze ecclesiali di diverse zone del mondo, ed auguro che queste giornate di preghiera e di riflessione possano portare frutti abbondanti per le vostre comunità. Saluto voi, membri dell’Associazione Nuovi Orizzonti e, mentre vi incoraggio a proseguire nell'attuazione di un coraggioso apostolato in favore dei fratelli in difficoltà, vi esorto a testimoniare il Vangelo della carità, diffondendo la luce, la pace e la gioia di Cristo risorto. Saluto i Pueri Cantores di Cerreto Sannita e i rappresentanti dell’Oratorio di Buccinasco. Cari amici, auguro che la sosta presso le tombe degli Apostoli rinsaldi la vostra adesione a Cristo e faccia crescere la carità nelle vostre famiglie e nelle vostre comunità.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Abbiamo celebrato ieri la memoria liturgica di san Girolamo Emiliani, fondatore dei Somaschi, e di santa Giuseppina Bakhita, figlia dell’Africa diventata figlia della Chiesa. Il coraggio di questi testimoni fedeli di Cristo aiuti voi, cari giovani, ad aprire il cuore all’eroismo della santità nell’esistenza di ogni giorno. Sostenga voi, cari malati, nel perseverare con pazienza ad offrire la vostra preghiera e la vostra sofferenza per tutta la Chiesa. E dia a voi, cari sposi novelli, il coraggio di rendere le vostre famiglie comunità di amore, improntate ai valori cristiani.

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