All’indomani del terremoto l’anziano telepredicatore evangelico americano Pat Robertson ne ha sconvolto più di uno dichiarando che Haiti è vittima da sempre di catastrofi politiche e/o naturali perché gli antenati degli haitiani, gli schiavi africani che due secoli fa si liberarono del giogo francese con una sanguinosa rivolta, avrebbero stretto un patto col diavolo per conquistare l’indipendenza dell’isola. Le sue affermazioni hanno suscitato, giustamente, irrisione e indignazione. Le persone religiose hanno fatto osservare che dall’elenco delle vittime di disgrazie improvvise è impossibile desumere un paradigma di punizioni/retribuzioni divine o diaboliche: quattro anni fa l’uragano Katrina ha distrutto molte più chiese evangeliche che casinò, e molti orrendi dittatori vivono lunghe vite, mentre molti adorabili missionari cristiani muoiono giovani. Terzomondisti, anticapitalisti e fustigatori dell’Occidente hanno esaltato le cause politiche del sottosviluppo di Haiti: lo sfruttamento al tempo della colonia francese, lo svuotamento del tesoro pubblico per pagare a Parigi l’indennizzo delle proprietà sottratte agli schiavisti dal nuovo stato, il sostegno politico di Washington a Duvalier padre e figlio, i due dittatori che hanno sprofondato le fortune dell’isola fra il 1957 e il 1986. Tutto vero, ma anche tutto un po’ troppo economicistico e politicistico. Nell’unico paese delle Americhe abitato per il 100 per cento da popolazione di colore non sarebbe male dare un’occhiata anche ai fattori culturali. E fra questi al più importante, cioè la religione tradizionale, che spesso si sovrappone all’ufficiale pratica religiosa cattolica: il voudou. Non è questione di spilloni nelle bamboline per colpire inconsapevoli nemici o di zombie manovrati da società segrete (anche se l’isteria attorno alle storie di morti viventi è talmente radicata che l’articolo 246 del codice penale haitiano punisce «l’uso di sostanze che non uccidono una persona ma la riducono a uno stato letargico più o meno prolungato... se in seguito allo stato di letargia la persona viene sepolta, il fatto sarà considerato un omicidio»). La questione è quanto le radici voudou abbiano contribuito e contribuiscano all’attuale miseria di Haiti, il più povero e violento dei paesi dell’emisfero occidentale, dove il 72 per cento della popolazione vive sotto la linea della povertà e l’85 per cento dei capi di Stato che si sono succeduti dal 1804 ad oggi sono stati assassinati o costretti alla fuga mentre erano in carica.
Tanto per cominciare, il voudou è stato il catalizzatore dell’insurrezione degli schiavi contro i loro padroni: le centinaia di ribelli che nella notte fra il 21 e il 22 agosto 1791 nel nord di Haiti massacrarono i padroni bianchi (uomini, donne e bambini) delle piantagioni in cui lavoravano e bruciarono le loro case erano reduci da una cerimonia voudou nel corso della quale avevano bevuto il sangue di un maiale nero per diventare invulnerabili. Quello fu il primo atto della rivolta, che poi proseguì sotto la guida di personalità più “moderne” come Toussaint L’Ouverture e Jean-Jacques Dessalines. Appartenenti a tribù diverse ma tutti provenienti dal Golfo di Guinea, gli schiavi trovarono nella pratica del voudou, a quel tempo diffuso lungo tutta la costa africana coperta da foreste di mangrovie, un decisivo fattore di coesione. Furono i tamburi delle cerimonie voudou a trasmettere le comunicazioni fra i vari gruppi di insorti anche al momento delle battaglia decisive del 1802-03. Tuttavia già niente meno che Hegel eccepiva che il voudou «con le sue relazioni di potere intransitive fra le divinità è incline a produrre anche intransitività politica». ll filosofo si riferiva alla dottrina teologica centrale del voudou per spiegare la forma tirannica di potere inaugurata da Dessalines e poi rimasta tale fin quasi ai giorni nostri.
Un cronico sottosviluppo
Nel voudou il mondo è stato creato da Dio (Bondye nel creolo di Haiti), ma costui si è ritirato dagli affari terreni, che competono a divinità minori: i loas, divisi in 21 “nazioni” e “famiglie” spesso in contrasto fra loro. Gli esseri umani si attirano i favori di queste divinità attraverso i riti e gli incantesimi, che servono tanto a catalizzare energie positive (quando gli spiriti si impossessano del credente) quanto a respingere quelle negative (degli spiriti che provocano malattie). Questa visione magica del mondo implica anche la credenza nella pratica della magia nera, cioè nell’esistenza di “stregoni” capaci di causare malattia e morte attraverso la negromanzia. Quanto una visione del mondo come questa sia controproducente per lo sviluppo umano non ha bisogno di molte spiegazioni: la superstizione, il fatalismo, la paura e il sospetto in tutti i rapporti sociali sono la logica conseguenza della fede nel mondo degli spiriti. A ciò si aggiunga che il voudou è per sua natura particolarista e anti-gerarchico: dei benefici dei riti possono appropriarsi solo i parenti di sangue di colui che viene posseduto dalla divinità. Bode nasyonal, un’organizzazione di sacerdoti voudou, sostiene che i primi haitiani «iniziarono la loro vita collettiva a immagine dei loas, i primi fondatori di città e stati, disdegnando di stabilire un potere definito. In questo nostro Stato che è il più vecchio del mondo svilupparono un’organizzazione politica senza potere centrale». Bode Nasyonal raccoglie seguaci del voudou associati alle fortune della famiglia Duvalier, i primi governanti di Haiti a dichiararsi apertamente fedeli della religione africana. Fino ad allora le élites, mulatte, avevano combattuto il voudou come fattore di sottosviluppo ma senza poterlo sradicare per una semplice ragione: esse stesse hanno gestito o hanno lasciato che lo stato fosse gestito in modo patrimonialistico da chi deteneva il potere. I loro successori populisti di sinistra, capeggiati da Jean-Bertrand Aristide, non hanno saputo fare altro che attizzare l’odio di classe, nuova versione del dualismo fra élites modernizzanti e popolo immerso nel voudou. La vera maledizione di Haiti è questa.
R. Casadei
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