Tratto da cronache di Liberal del 23 febbraio 2010
È una vecchia storia, ma vale la pena raccontarla di nuovo. Un giorno - siamo alla fine degli anni Sessanta - un avvocato di nome Peter Benenson - stava leggendo il giornale durante il suo consueto tragitto nella metropolitana londinese.
Lo sguardo gli cadde su un piccolo articolo che parlava di due studenti del Portogallo - all'epoca sotto il pugno della dittatura fascista e intento a salvaguardare il proprio impero in Africa - condannati a sette anni di prigione per aver brindato pubblicamente in una piazza di Lisbona alla libertà. Dopo averci riflettuto un po', l'avvocato prese carta e penna e scrisse una lettera aperta dal titolo: prigionieri di coscienza che venne pubblicata sulla prima pagina del London Observer. Potreste non aver mai sentito parlare di questo micro-evento o delle sue macro-conseguenze, ma io sono certo che ognuno di voi ha sentito citare almeno una volta Amnesty International, di fatto il frutto (al tempo imprevedibile) di quella lettera. Le sue filiali - ovvero gli innumerevoli gruppi e gruppetti sorti attorno al suo nome - sono stati responsabili del rilascio di moltissimi prigionieri politici e dello smascheramento di molti regimi. Come tutte le grandi idee, il concetto attorno al quale venne costruito Amnesty era meravigliosamente semplice. Ad ogni filiale veniva chiesto di "sponsorizzare"un minimo di tre prigionieri di coscienza: uno di un paese Nato, uno proveniente da un stato del Patto di Varsavia e un altro dal terzo mondo. Nel tempo, l'organizzazione decise di battersi anche contro quelle nazioni che utilizzavano la pena di morte e la tortura, anche se il "core business"rimaneva sempre il prisoner of conscience. Uno "status" concesso soltanto a una determinata conidzione: e cioè che il prigioniero rispondesse esattamente alla definizione e fosse una persona incarcerata per aver espresso un'opinione. Amnesty su questo fu inflessibile e decise di non "adottare"chi propugnava (o usava) la violenza. Questa organizzazione è cara a me e a milioni di persone, incluse quelle migliaia di uomini e Diritti Umani. L'accusa (e l'appello) del politologo inglese. «La difesa del terrorista Berg è sbagliata, basta donare soldi» Scoppia lo scandalo nella Ong più famosa del mondo. Che licenzia in tronco un'impiegata donne che dopo essere state incarcerate e maltrattate per il loro coraggio di dire quello pensavano ed essersi trasformati in dissidenti, hanno riconquistato la loro libertà grazie al lavoro certosino e senza sosta di Amnesty International. Ecco perché fa difetto e male assistere alla degenerazione e politicizzazione della struttura e leggere di una crisi morale dalle implicazioni globali. Amnesty International ha appena sospeso uno dei suoi funzionari più anziani, una donna che si chiama Gita Sahgal e che in quest'ultimo periodo guidava un dipartimento di Amnesty. È fin troppo semplice sintetizzare il suo disappunto in poche parole. «Scendere in campo e batterci per la libertà e i diritti umani di un cittadino inglese famoso per essere un supporter dei Talebani - ha scritto in una lettera la donna in questione - è un grosso errore di giudizio». Uno potrebbe pensare che una critica di questo tipo - ad Amnesty - avrebbe al massimo com portato un chiarimento con la direzione. E invece no. La donna è stata immediatamente sospesa dai suoi incarichi.
I retroscena sono altrettanto semplici da raccontare. Moazzem Begg, cittadino britannico, è stato arrestato in Pakistan dopo essere scappato dall'Afghanistan all'indomani dell'avvio della War on Terror, nel 2001. Condotto a Guantanamo, è rimasto in prigione per un certo periodo e poi rilasciato. Da quel momento è diventato la mente e il braccio di un'organizzazione che si chiama Cageprisoners. Begg non nega affatto di essere stato un attivista islamico e di essere volato in Afghanistan proprio per questo. Nè ha mai ricusato una sua dichirazione: «Il governo talebano è in assoluto il miglior governo possibile per l'Afghanistan». Cageprisoners ha fra le sue fila anche un altro membro che si chiama Asim Qureshi, che parla regolarmente in difesa del jihad e sostiene pubblicamente il gruppo terrorista Hizb-ut Tahrir (messo al bando in molti Paesi musulmani).
Cageprisoners inoltre difende uomini del calibro di Abu Hamza, leader della moschea che ha dato asilo a Richard "shoe bomber" Reid e molti altri criminali che della violenza fanno il loro vessillo e che si sono macchiati di crimini orrendi e sono poi finiti in galera per una serie di ragioni che nulla hanno a che spartire con la libertà di opinione. Eppure Amnesty International ha inserito Begg nella lista di una petizione sulla difesa dei diritti umani inviata al governo britannico. Per Saghal è stato troppo: affermare che «Cageprisoners porta avanti un programma per la difesa dei diriiti dei prigionieri», è mascherare la vera essenza di quell'organizzazione. O, nelle sue parole «dire solo una parte di verità». Ebbene, tanto è bastato a farle perdere il posto di lavoro. E mentre vi sto scrivendo, so con certezza che ha non poche difficoltà a trovare un avvocato pronto a rappresentarla. Già, perché è dura mettersi contro Amnesty: il troppo prestigio fa paura. «Benchè sia stato detto che bisogna difendere chiunque, non importa che reato abbia commesso - lei dice - è chiaro che se sei una donna anglo-asiatica, atea e laica, non hai il diritto alla difesa da parte del nostro ordinamento giuridico». Questo potrebbe ovviamente cambiare, e mi auguro che sarà così. Ma Sahgal non è completamente in errore. Amnesty International non è nata per difendere chiunque, non importa cosa abbia fatto. Nessuna organizzazione al mondo potrebbe sperare di farlo.
I terroristi dell'Ira, gli spietati Khmer rossi, i generali Pinochet e Videla non finirono nella lista di Amnesty quando si trovarono sul banco degli imputati. L'unica vera ragion d'essere di questa nobile fondazione è quella di difendere e proteggere tutti coloro che rischiavano la propria vita per aver detto ciò che pensavano. In teoria, suppongo, questo potrebbe includere coloro che pensano che le donne siano una proprietà, gli ebrei, gli omosessuali e gli Hindu degli schiavi da marchiare e tutto il resto del simpatico credo jihadista. Ma, come ho già detto, Cageprisoners difende uomini che sono andati ben oltre siffatte (e gravissime) dichiarazioni. E a questo punto è incomprensibile e incredibile che Amnesty abbia deciso di difendere un gruppo di persone di questa statura e una vera disgrazia che abbia scelto di sospendere dai suoi incarichi un'impiegata modello che ha solo dato voce al suo sincro e profondo disappunto. Infine, tornando ai primi giorni di Amnesty International. A farla grande fu il supporto assolutamente spontaneo e volontario. Di fatto, un grand numero di cittadini liberi decise di offrire il proprio tempo e il proprio denaro per una causa: la libertà di altre persone. Alcune stime ci dicono che questi volontari, oggi iscritti ad Amnesty, siano oltre due milioni. Ebbene, è quanto mai urgente che ogni membro di Amnesty che prende sul serio il principio fondativo dell'organizzazione, sia pronto a chiudere la borsa finché Begg non venga espunto dalla lista e Sahgal riassunta.