di Gianpaolo Romanato Pio X e Rafael Merry del Val. È difficile immaginare due personalità più diverse. Il primo era nato nella campagna veneta da una modestissima famiglia che conobbe gli stenti e probabilmente anche la fame. Studiò grazie a una borsa di studio e trascorse tutta la vita, prima dell'elezione al papato, in mezzo alla povera gente, tra canoniche di paese e curie di provincia, lontano dalla ribalta e dai luoghi del potere. Il secondo veniva invece da una delle famiglie più blasonate del continente, aveva ricevuto un'educazione cosmopolita e poliglotta, era di casa nelle ambasciate e negli ambienti più esclusivi di ogni capitale d'Europa.
Le loro vite, che parevano fatte solo per divergere, si incrociarono quasi casualmente e finirono per intrecciarsi a un punto tale che è difficile disgiungerle anche oggi.
L'incontro avvenne durante il drammatico conclave del 1903, quello del veto austriaco all'elezione del cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, che nell'arco di quattro giorni, al settimo scrutinio, portò al papato, col nome di Pio X, il semisconosciuto patriarca di Venezia Giuseppe Sarto. Una singolare coincidenza aveva fatto sì che il segretario della Concistoriale, che era anche segretario del Sacro Collegio, e quindi del conclave, monsignor Alessandro Volpini, fosse deceduto quasi nelle stesse ore in cui moriva Leone XIII. In tutta fretta i cardinali scelsero come suo successore proprio Merry del Val, in quel momento presidente della Pontificia Accademia dei Nobili Ecclesiastici, da soli tre anni elevato all'episcopato.
La scelta era avvenuta in una rosa di tre nomi. I due candidati scartati erano il sostituto alla Segreteria di Stato Giacomo Della Chiesa, futuro Benedetto XV, e Pietro Gasparri, allora segretario agli Affari ecclesiastici straordinari. La preferenza accordata al più giovane e al meno titolato dei tre fu interpretata come la prima sconfitta della linea Rampolla, preannuncio di quanto sarebbe avvenuto in conclave.
Su Merry, privo del diritto di voto non essendo cardinale, cadde così la gravosa incombenza di preparare e condurre il più difficile conclave degli ultimi due secoli - il suo diario di quei giorni è stato pubblicato da Luciano Trincia nel volume Conclave e potere politico (Studium, 2004). Sarto lo conobbe allora, ebbe modo di valutarlo mentre maturavano le circostanze della sua elezione e, poche ore dopo essere diventato Papa, gli comunicò, lasciandolo stupefatto, la decisione di trattenerlo come pro-segretario di Stato. "Per ora non ho nessuno - gli avrebbe detto - rimanga con me. Poi vedremo". La designazione per il ruolo chiave del Pontificato di questo spagnolo - primo non italiano a guidare la Segreteria di Stato - di trentotto anni, che avrebbe potuto essere figlio del Papa sessantottenne, suscitò commenti e riserve che pesarono sulle vicende successive più di quanto non si sia detto. Dopo soltanto due mesi di prova Pio X sciolse la riserva e il 18 ottobre lo nominò segretario di Stato, elevandolo anche alla porpora cardinalizia. Da quel momento la vita di Merry del Val non si sarebbe più disgiunta da quella del Pontefice.
Chi era Rafael Merry del Val, di cui ricordiamo oggi l'ottantesimo anniversario della morte? Nato nel 1865 a Londra, dove il padre era ambasciatore di Spagna, crebbe tra Inghilterra e Belgio e nel 1885 fu inviato a Roma dall'arcivescovo di Westminster, il cardinale Herbert Vaughan, per completare la preparazione al sacerdozio nel Pontificio Collegio Scozzese. Qui iniziò una delle più rapide carriere di tutta la storia ecclesiastica. Secondo il suo biografo Pio Cenci, sarebbe stato il Papa in persona a imporlo all'Accademia dei Nobili Ecclesiastici e a utilizzarlo per missioni diplomatiche in Inghilterra, Germania e Austria prima ancora della consacrazione sacerdotale. Conosceva perfettamente le principali lingue europee, ma non basta certo la perizia linguistica a giustificare tanta attenzione. In una Curia pontificia che stava faticosamente cercando di recuperare ruolo e rango internazionali dopo il disastro del 1870, il rampollo dell'insigne famiglia inglese dei Merry e dell'ancor più illustre casata spagnola dei del Val doveva aver dato prova di capacità fuori dal comune per bruciare le tappe con tanta rapidità.
Dopo la laurea alla Gregoriana, divenne uno dei personaggi più influenti e ascoltati della Roma pontificia, soprattutto per i problemi che riguardavano l'anglicanesimo. La perfetta conoscenza dell'ambiente e della lingua, i frequenti viaggi oltre Manica e la stima del cardinale Vaughan gli conferirono grande autorevolezza.
Investito da Leone XIII della spinosa questione delle ordinazioni anglicane - si era agli inizi, ancora incerti e tentennanti, del cammino ecumenico - portò la Santa Sede al responso negativo, poi ufficializzato nel settembre 1896, con la bolla Apostolicae curae, della quale fu il principale estensore. Sulla base di una prassi vecchia ormai di trecento anni e di una minuziosa indagine storica, Leone XIII confermava la "nullità" delle "ordinazioni compiute con rito anglicano", negando con ciò la successione apostolica di tali vescovi. Il riavvicinamento degli anglicani ai cattolici, che era in atto da tempo, subiva così una battuta d'arresto, mentre il giovane prelato si accreditava come il portavoce di una linea di austerità dottrinale diversa, se non alternativa, a quella politica di Rampolla, il segretario di Stato di Papa Pecci.
L'anno seguente compì una lunga missione in Canada, in qualità di delegato apostolico.
Contesa fra le opposte tentazioni dell'arroccamento e del cedimento, la giovane cattolicità locale aveva chiesto aiuto a Roma. Merry vi si mosse con equilibrio, soprattutto in relazione al problema delle scuole cattoliche nel Manitoba, e ne ebbe pubblico riconoscimento dal Papa nell'enciclica Affari vos (dicembre 1897). Con parole del tutto inusuali in un documento ufficiale, Leone scrisse che "il nostro Delegato apostolico ha adempiuto perfettamente e fedelmente ciò per cui lo avevamo mandato". Rientrato a Roma fu posto a capo dell'Accademia dei nobili ecclesiastici e nominato vescovo. La sua rapidissima ascesa era dovuta a una solida preparazione storico-giuridica, a un'innata capacità di relazionarsi con chiunque, alla "sveltezza", come dirà poi Benedetto XV, con cui risolveva i problemi. Ma era noto a tutti che il capace diplomatico era un prete di grande pietà, con abitudini monastiche e un'austera, ascetica disciplina di vita.
Nel 1903, come si è prima ricordato, avvenne il balzo decisivo al vertice dell'organigramma vaticano, favorito prima dalla morte imprevista di monsignor Alessandro Volpini - non aveva ancora sessant'anni - e poi dalla scelta inattesa del neoeletto Pio X. Al nuovo Papa, eletto proprio per mitigare l'eccessiva esposizione politica della Santa Sede avvenuta durante la gestione Rampolla, Merry del Val, notoriamente estraneo a quella gestione, apparve l'uomo adatto a imprimere la svolta. Si muoveva con disinvoltura nel mondo diplomatico, maneggiava i problemi della politica internazionale, conosceva perfettamente la Curia romana. Possedeva insomma tutto ciò che faceva difetto al Papa. Nominandolo segretario di Stato, Pio X contava su tutto questo. Ma contava anche sulla sua giovane età e sulla sua illimitata devozione al papato: sarebbe stato un fedele collaboratore che mai gli si sarebbe contrapposto. Sicuramente, però, Pio X aveva tenuto conto anche di un'altra qualità di Merry del Val: la sua vita di pietà. L'elogio che Sarto gli rivolse l'11 novembre 1903, giorno dell'imposizione della berretta rossa, è talmente inusuale, anche nel linguaggio, che merita di essere riportato per intero: "Il buon odore di Cristo, signor cardinale, che avete diffuso in tutti i luoghi, anche nella vostra temporanea dimora, e le opere molteplici di carità, alle quali continuamente nei ministeri sacerdotali vi siete dedicato, specialmente in questa nostra città di Roma, vi acquistarono, con l'ammirazione, la stima universale". La valutazione positiva del Pontefice, più che alle capacità politiche del collaboratore, era rivolta al suo mondo morale, alle opere di carità fra i ragazzi del quartiere di Trastevere nelle quali si spendeva senza risparmio. Un Papa essenzialmente religioso si scelse un segretario di Stato con le sue stesse caratteristiche.
Le vicende del pontificato di Pio X sono note. I rapporti con gli Stati si deteriorarono un po' dovunque, fino ad aperte rotture. Il caso più noto è quello della Francia, dove nel dicembre del 1905 fu votata la legge di separazione fra Chiesa e Stato. Sei anni dopo toccò al Portogallo, che varò una legge ancora più brutale. Tensioni analoghe si ebbero in vari Paesi latino-americani. Il Papa non fece molto per modificare il corso degli eventi. Protestò, scrisse encicliche molto forti, ma si guardò bene dal tentare vie diplomatiche.
Nel caso francese, la legge prevedeva che le cosiddette associazioni cultuali, dalle quali era esclusa la gerarchia ecclesiastica, gestissero le proprietà della Chiesa, diventando un polo alternativo ai vescovi. L'obiettivo di scardinare la costituzione gerarchica della Chiesa era evidente, anche se non tutti l'avevano percepito. Il Papa colse perfettamente il nocciolo del problema e oppose un netto rifiuto. Fu un vero e proprio legal suicide, come è stato detto, dal momento che la Chiesa di Francia, costretta da Roma a non accettare la legge - il Pontefice scrisse in meno di un anno, tra il 1906 e il 1907, ben tre encicliche dedicate al caso francese - perdette la personalità giuridica e con essa l'intero suo patrimonio, a partire dalle chiese dove si svolgevano quotidianamente le funzioni religiose. Ma riguadagnò la propria libertà e il pieno controllo delle nomine vescovili, fino a quel momento demandato allo Stato, in forza del concordato napoleonico. La scelta di Pio X - tra il "bene" e i "beni" della Chiesa ho scelto il primo, avrebbe detto il Papa - che otterrà a posteriori il plauso di Aristide Briand, l'ispiratore della legge - "il papa è stato il solo a vederci chiaro", scrisse - aveva cancellato con un colpo solo tre secoli di gallicanesimo, di chiesa nazionale, riportando la cattolicità francese, anche disciplinarmente, alla piena fedeltà romana.
Fu una svolta fondamentale - "evento doloroso e traumatizzante", l'ha definita Giovanni Paolo II nella lettera ai vescovi francesi scritta in occasione del centenario della legge - che spiazzò i contemporanei e continua a dividere gli storici. Fu questa l'occasione che fece emergere quell'idealismo antitemporalistico, come è stato definito, che, a giudizio di vari studiosi, sarebbe l'aspetto veramente rivoluzionario del pontificato, la grande novità nel rapporto tra Chiesa e mondo emersa nel decennio di Pio X e di Merry del Val.
Con Pio X finisce insomma un'intera stagione nella storia della Chiesa, quella delle interferenze con la politica, degli intrecci diplomatici, delle tardive connessioni fra troni e altari, dei "vescovi in cilindro" e dei "cardinali di corte", delle contrapposizioni verso alcuni Stati e delle concessioni ad altri. Diversamente dal suo predecessore, non fece mai "politica estera", non tentò mai di indebolire sul piano internazionale i paesi che si dimostravano avversi alla Chiesa, non cercò mai di sfruttare a proprio vantaggio le rivalità, gli interessi e le alleanze delle varie nazioni. E questa linea, che non ha ancora ottenuto dagli storici l'attenzione che merita, non era un ripiegamento tattico ma una precisa scelta strategica, come disse un giorno al futuro cardinale Nicola Canali, allora giovane minutante di curia: "Lei è giovane, ma si ricordi sempre che la politica della Chiesa è quella di non fare politica e di andare sempre per la retta via".
Merry del Val coadiuvò lealmente e convintamente questa politica, come pure le scelte pìane di radicale rinnovamento della Chiesa, dalla soppressione del diritto di veto, alla riforma della Curia, alla codificazione del diritto canonico. Il rifacimento della Curia romana, varato nel 1908, riguardò direttamente le sue competenze, che vennero ampliate, ma all'interno di un disegno di governo nel quale la Segreteria di Stato era solo il penultimo dei cinque uffici vaticani. Il cuore della Chiesa di Pio X non era la Segreteria di Stato, come avverrà con la riforma di Paolo VI, sessant'anni dopo. Il cuore era rappresentato dalle undici congregazioni, in cima alle quali era posto il Sant'Ufficio. Forse è questa la ragione per cui il ruolo di Merry coincide fin quasi a confondersi con quello del Papa, diversamente da quello dei suoi predecessori e successori. Facendo poca o nessuna politica e badando a governare e rinnovare la Chiesa, Pio X tolse alla Segreteria di Stato molto di quello spazio che la rendeva un attore autonomo e ne rafforzò il legame con il papato stesso.
Questo legame divenne ancora più serrato nel corso della vicenda modernista, apparsa finora agli storici il vero punctum dolens del pontificato di Giuseppe Sarto. Su questo snodo si è scritto molto, e uno dei punti finora irrisolti riguarda proprio l'operato del segretario di Stato. Ma che Merry sia stato protagonista o comprimario, esecutore o ispiratore non sembra un elemento decisivo di giudizio. Decisivo è il fatto che fu pienamente partecipe della linea antimodernista del Papa, convinto sostenitore della necessità di fermare le istanze di rinnovamento nelle quali entrambi vedevano il rischio incombente di una catastrofica crisi di fede.
Era inevitabile che un segretario di Stato così strettamente identificato con il Pontefice che aveva servito non venisse confermato dal suo successore. Appena eletto Papa, il 3 settembre 1914, Benedetto XV nominò, infatti, prima il cardinal Domenico Ferrata, che morì quasi subito, e poi Pietro Gasparri. Ritroviamo così alla guida della Chiesa i due vescovi che erano stati scavalcati da Merry del Val nel conclave del 1903. Per l'antico segretario di Stato, i sedici anni che gli rimasero da vivere dovettero essere un periodo difficile. Da Benedetto XV ebbe lo stesso trattamento che Pio X aveva riservato dieci anni prima a Rampolla: divenne segretario del Sant'Ufficio - la prefettura di questa Congregazione era allora prerogativa del Pontefice - funzione che conservò fino alla morte improvvisa, avvenuta il 26 febbraio del 1930. Nei confronti di Pio X conservò una devozione illimitata: fu all'origine della petizione che ne avviò la canonizzazione; il 20 di ogni mese, giorno del decesso del Papa, celebrava una messa in suo suffragio; chiese di essere sepolto "il più vicino possibile al mio amatissimo Padre e Pontefice Pio X". Ma il suo tempo era ormai tramontato, anche se nel 1953, durante il pontificato di Pio XII, che aveva iniziato la carriera proprio alle sue dipendenze, fu avviato anche per lui il processo canonico, in coincidenza con la glorificazione di Pio X, proclamato beato nel 1951 e santo nel 1954.
(©L'Osservatore Romano - 26 febbraio 2010)