DI M ARCO U NIA « R ivoluzione commerciale» è la definizione utilizzata dagli storici per descrivere la rinascita dell’Europa a partire dal XII secolo. La nuova stagione fu caratterizzata dall’incremento dei traffici di merci, dalla riapertura delle vie di comunicazione tra Asia e Europa, dalla centralità assunta nelle società europee dagli artigiani e dai mercanti, genovesi e veneziani in testa. Tra le merci scambiate le spezie furono un bene di primaria importanza, capaci di generare sogni di arricchimento e brama di potere, come illustra Paul Freedman nel suo recente studio. Che il pepe, la cannella, lo zenzero e lo zafferano – le quattro spezie con il maggiore volume di vendita nel Medioevo – abbiano costituito uno tra i principali segmenti di mercato tra il XII e il XVI secolo e abbiano scatenato una lotta commerciale tra Stati che comportò cospicui investimenti e disegni di conquista coloniale ha dell’incredibile ai nostri occhi contemporanei, abituati a piccoli consumi di questi prodotti. La febbrile passione per le spezie dell’Europa del Basso Medioevo ebbe diverse motivazioni: l’amore per il lusso, i gusti culinari, le teorie mediche. Quest’insieme di fattori portò gli uomini agiati dell’epoca a utilizzare ogni anno 1,5/2 kg di spezie, alcune a noi consuete come i chiodi di garofano e la cannella e altre in disuso come i grani del paradiso o il macis. La cucina medievale tendeva alla spettacolarizzazione e alla meraviglia e i colori ad effetto erano ottenuti con preparati a base di spezie. Spesso oggetto delle critiche acuminate dei moralisti per il loro prezzo e per l’effimera durata, il consumo alimentare di spezie si associava anche a pratiche curative. Le spezie, considerate calde e secche nella teoria degli umori, servivano per compensare le caratteristiche fredde e umide di molti cibi, permettendo il mantenimento dell’equilibrio umorale, considerato la fonte del benessere. Inoltre strani prodotti come l’ambra grigia (prodotta dall’intestino dei capodogli), il castoreo e il muschio, ma anche il comune incenso venivano sparsi per la casa o utilizzati per la fumigazione, con l’illusoria ma confortante speranza di prevenire gravi malattie, tra cui la peste. Ricercatissime in Europa, le spezie furono a lungo avvolte da un alone di mistero e leggende che rendevano difficile identificarne le caratteristiche botaniche, i luoghi di provenienza, le modalità di raccolta. Collocate in un Oriente remoto e sconosciuto giungevano in Europa solo dopo una fitta rete di scambi, che aveva l’India come primo grande snodo commerciale e i fondaci dei porti del Vicino Oriente come via d’accesso per l’Europa. Fino alla pax mongolica – dalla metà del XIII alla metà del XIV secolo – l’Europa ebbe un’immagine leggendaria dell’India e della Cina, in cui visioni mostruose di uomini e animali si sommavano all’ignoranza cartografica. Quando i viaggi di Marco Polo e di altri esploratori incominciarono a riportare informazioni più precise sull’Oriente, si posero le basi per ipotizzare un commercio più diretto tra l’India e l’Europa. Ma prima che scelta razionale, la decisione di intraprendere coraggiose avventure esplorative alla ricerca del passaggio diretto per le Indie fu il frutto di una grande euforia collettiva, l’esito di una fervente immaginazione. Tra il XIII e XIV secolo la percezione europea del Lontano Oriente e della disponibilità delle spezie mutò radicalmente: l’India divenne un Eldorado, che si sarebbe potuto raggiungere per via marina in tempi abbastanza rapidi, sovrabbondante di spezie a basso prezzo, che avrebbero potuto essere trasportate in Europa ricavando enormi profitti e saltando l’intermediazione araba. Il merito principale del saggio di Freedman – ricco di fonti di prima mano e di un’accurata contestualizzazione – sta proprio nel mettere in risalto il potere economico e la forza storica dell’immaginazione, la spinta propulsiva di speranze e desideri, capaci di attirare grandi sforzi umani e immensi investimenti finanziari. Paul Freedman IL GUSTO DELLE SPEZIE NEL MEDIOEVO Il Mulino. Pagine 336. Euro 28,00 |