DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Dal latino all'inglese passando per il veneto. Il peso delle lingue locali nel processo di formazione degli Stati Uniti d'Europa

Anticipiamo alcuni stralci di un articolo che sarà pubblicato nel numero in uscita della rivista dell'Università Cattolica del Sacro Cuore "Vita e Pensiero".

di Sabino Acquaviva

Parlare dell'Europa, dei futuri Stati Uniti d'Europa, significa dimenticare il nostro passato? Esattamente il contrario. E per capirlo dobbiamo guardare alla storia del nostro continente, e quindi comprendere che proprio quel passato prepara il futuro di uno Stato federale di oltre cinquecento milioni di abitanti, e vede finalmente insieme molti popoli che un tempo si combattevano ferocemente. Né possiamo dimenticare che per la prima volta nella storia l'Europa, via via che l'Unione europea si espande, comprende al suo interno uno spazio di pace, forse l'unico mai esistito nella sua storia.
Nell'ambito di questo Stato federale, che poco alla volta prende forma, si assiste a un conflitto (a parole) e a uno strano dibattito tra chi sostiene che bisogna valorizzare i dialetti e chi difende gli Stati nazionali. Due posizioni conservatrici e fuori del nostro tempo.
L'attuale dibattito affronta un tema poco concreto e non è a tono con la nuova società che sta nascendo. E questo perché il dibattito non guarda né al passato né alle radici del nostro futuro. Il nostro passato? L'Europa di un tempo, soprattutto quella medievale, si fondava culturalmente, e in parte anche politicamente, sulla presenza della lingua latina come lingua capace, insieme al cristianesimo, di unificare il nostro continente, soprattutto di fronte alla pressione dell'islam in un primo tempo proveniente dall'Africa, in un secondo tempo dalla Turchia e dai Balcani dell'impero ottomano.
L'Europa dei molti secoli che stanno alle nostre spalle era quindi un continente in cui esistevano un certo numero di lingue regionali e il latino come lingua di comunicazione continentale. Molte di queste lingue, come l'identità dei popoli che le parlavano, furono soffocate dalla nascita degli Stati nazionali. Tali Stati furono l'espressione e il risultato del prevalere in ogni regione geografica di una lingua regionale. In tal modo, in Francia il francese del nord divenne il francese, in Italia il toscano prevalse sulle lingue regionali e divenne l'italiano, in Spagna il castigliano divenne lo spagnolo. Risultato? Secoli di guerre fratricide e massacri. I popoli d'Europa che vivono in una regione e lì hanno e difendono (o non difendono) la loro identità, sono molti. Il dibattito sui dialetti oscura il problema principale (quello delle lingue regionali) che rimane nascosto e poco evidente.
Ricordo, ad esempio, quanto diceva mio padre a proposito dei soldati italiani che occuparono la Dalmazia nel 1941. Un suo amico veneto andò al ristorante chiedendo una forchetta, ma nessuno capiva l'italiano né quindi sapeva cosa portare. Ma quando - parlando veneto - chiese un piron, il cameriere comprese immediatamente. I presenti percepirono l'esistenza di un'unità linguistica fra il dalmata di allora e il veneto del Veneto centrale. Questa unità linguistica sotterranea che univa e in parte unisce i popoli dell'Europa (allora anche attraverso il latino, oggi anche attraverso l'inglese) esiste ancora? Il mezzo miliardo di europei si sentono e sono parte di una comunità di popoli che hanno, nell'essenziale, una cultura comune, vivono in uno stesso continente, pensano a uno Stato federale che tuteli appunto anche lingue e culture regionali? Anzi, che dia loro, come si suol dire, "nuova vita"? O si tratta di un sogno impossibile?
Per tentare di rispondere a questa domanda è necessario porsi un altro interrogativo: che cosa accade in questo periodo in Europa? I fatti che bisogna prendere in considerazione sono almeno quattro: 1) cresce la percezione dell'appartenenza a un'area politica, culturale e militare, i futuri Stati Uniti d'Europa, con oltre 500 milioni di abitanti; 2) diminuisce la percezione dell'appartenenza a singoli Stati nazionali; 3) cresce in parallelo la comprensione dell'appartenenza a popoli, culture e lingue regionali; 4) questo fatto facilita la comprensione dell'esistenza di una grande nazione europea di cui viene ostacolato lo sviluppo dagli Stati nazionali. Tradotto in esempio, è come dire che cresce la percezione dei catalani, dei veneti eccetera, della loro identità e appartenenza a una nazione europea. Ritengo che guardare al futuro significhi guardare all'Europa e tutelare le identità regionali. Questo discorso, apparentemente locale e in parte sorpassato, risponde invece all'esigenza di pensare il futuro del nostro continente. Il fenomeno che ha visto il prevalere del toscano a danno delle lingue regionali è collegato a quello che ha visto fenomeni analoghi nell'ambito di altri Stati provocati dal desiderio di combattere le identità regionali e rafforzare quelle nazionali.
E quindi si è finito per raccontare una storia falsa e finta dell'ultimo secolo. Noi tutti sappiamo, ad esempio, com'è avvenuta l'unificazione dell'Italia. L'esercito piemontese ha conquistato e sottomesso i territori e i popoli del Mezzogiorno; nello stesso modo è stata condotta la spedizione dei Mille, che ha imposto con la violenza la fine del regno di Napoli e la fine di Napoli come capitale di un grande Stato. Sappiamo anche come i prefetti hanno governato l'Italia con il pugno di ferro a nome dei Savoia.
Ma l'orizzonte culturale, sociale, linguistico, politico, dell'Italia e dell'Europa sta cambiando anche per ragioni di respiro molto più ampio. Nascono e si contrappongono agli Stati nazionali europei delle grandi identità economiche, linguistiche e culturali come la Cina e l'India. Quell'orizzonte sta cambiando perché l'Europa, se non riesce a unificarsi, è destinata a soccombere; nessuno dei nostri Stati (che vanno da uno a sessanta milioni di abitanti, o poco più o poco meno) può opporsi alla concorrenza di Stati con oltre un miliardo di abitanti, in rapida espansione economica e demografica. L'Europa deve essere unificata, ma tale unificazione deve essere fatta - mi dispiace dirlo - contro gli Stati nazionali e favorendo la rinascita di identità regionali di cui l'Europa era e può tornare a essere la sintesi.
In conclusione, è urgente una svolta storica nei programmi di sviluppo di un continente come l'Europa, alla ricerca del proprio futuro. Ma come la grande Europa del Rinascimento aveva una lingua veicolare, il latino, così questa nuova Europa che nasce deve anch'essa rivalutare le culture regionali e accettare l'inglese come lingua veicolare comune. Quindi voglio essere paradossale e assurdo: viva il catalano, viva il provenzale, viva il veneto e speriamo che i nostri popoli, e non gli Stati nazionali, accelerino la costruzione degli Stati Uniti d'Europa, affinché l'Europa stessa torni a essere uno dei principali protagonisti della storia del pianeta.


(©L'Osservatore Romano - 14 marzo 2010)