mercoledì 3 marzo 2010
Spopolano i gruppi facebook che irridono malati e portatori di handicap? La colpa è nostra.
Mi ero ripromesso di non scrivere alcuna parola sulla vicenda dei gruppi facebook che dileggiano portatori di handicap o malati. Non intendo infatti rivolgermi a loro e tantomeno disquisire sulle implicazioni delle loro provocazioni. E’ una grazia che non voglio concedergli. Mi preme invece, fare il punto con i tanti amici che si sono occupati del caso. Permettetemi di dire che state sbagliando. Siete caduti nella trappola, facendo esattamente ciò che questi individui si aspettavano. Ogni vostra parola di condanna, ogni vostro ragionamento, è un applauso al loro ego. Vi sarete perfettamente accorti che in questo tipo di “gruppi” il concetto dominante è quello dello “scandalo”. A primeggiare sono parole idiote, cattive, assolutamente puerili anche nella pratica espositiva. Non esiste mai una tematica nella quale si può intravedere un conflitto religioso, politico e tantomeno uno scontro di posizioni sui temi eticamente sensibili. In tutti questi ambiti, l’elemento razionale risulterebbe palese. Ci sarebbero sempre, anche in presenza di posizioni diametralmente opposte, degli elementi dialettici. Nei casi che hanno scatenato l’attenzione dei “media” no. Qual è il meccanismo? E’ quello di sbeffeggiare con linguaggio violento i “minimi” comportamenti civili. Quella morale di convivenza che sta alla base delle possibilità per gli uomini di vivere con altri uomini. Non si tratta neppure di una morale, o di un’educazione particolarmente edulcorata. Si tratta della messa in discussione dell’ovvio, che naturalmente produce un ovvio e scontato scandalo.
Il gioco per queste persone è facilissimo. Il vero problema risiede nella percezione della notizia da parte dell’utente che accede alla rete. Del resto l’istinto dello sdegno è naturale al cospetto di appelli dal contenuto macabro ed irriverente. Il punto è comprendere che si tratta di pura blasfemia virtuale. Non è una notizia! In realtà la provocazione è talmente forte che induce l’occasionale avventore a segnalare il gruppo e da quel momento la catena di sant’Antonio prende il via. Se a questo ci aggiungiamo l’eco che il giornalista moderno concede loro, abbiamo fatto bingo. Colui che sta all’interno di una redazione ha più responsabilità del provocatore stesso. Un “gruppo facebook” non è una notizia! L’informazione cammina su altre gambe. Ma è tanto facile starsene seduti davanti ad un computer e trovare una “non notizia” da vendere a milioni di persone. E’ così che si alimenta il circolo vizioso dei “provocatori minimi”. La vera questione all’ordine del giorno è la percezione della notizia, la capacità di comprendere la veridicità delle informazioni in rete. Su questo è necessario educare! Invece tutto ciò che riproduce il web è percepito come verità assoluta. L’incapacità di sottrarsi al gioco di questi internauti, produce reazioni altrettanto pericolose. Ad una provocazione virtuale fanno eco utenti che concretamente si sentono colpiti nel proprio intimo umano, percependo su se stessi angoscia reale e rabbia. Da qui nascono reazioni altrettanto violente. Penso ai gruppi che per indignazione rispondono con appelli altrettanto crudi (“morte ai sostenitori…”). Stiamo parlando di una questione perversa. Come difendersi allora? Chiedendo la censura del web? Ciò vorrebbe dire cedere all’idiozia di pochi colpendo tutti. La vera censura si mette in atto, innanzitutto prendendo coscienza del meccanismo e comprendendone l’automatismo, e di conseguenza ignorando questo tipo di messaggi. Solo così, l’ingranaggio si interrompe. Ogni altra reazione tende ad alimentare e a dare linfa al macabro gioco. Segnalare alle autorità competenti il gruppo incriminato è sicuramente un passaggio da fare (anche perché i contenuti di questi, spesso sconfinano nell’apologia di un reato), ma il vero nodo da risolvere è quello della percezione della notizia. Ogni parola che si spende per costoro, e purtroppo in questo caso anche la mia, è benzina per i loro incendi virtuali.
Il gioco per queste persone è facilissimo. Il vero problema risiede nella percezione della notizia da parte dell’utente che accede alla rete. Del resto l’istinto dello sdegno è naturale al cospetto di appelli dal contenuto macabro ed irriverente. Il punto è comprendere che si tratta di pura blasfemia virtuale. Non è una notizia! In realtà la provocazione è talmente forte che induce l’occasionale avventore a segnalare il gruppo e da quel momento la catena di sant’Antonio prende il via. Se a questo ci aggiungiamo l’eco che il giornalista moderno concede loro, abbiamo fatto bingo. Colui che sta all’interno di una redazione ha più responsabilità del provocatore stesso. Un “gruppo facebook” non è una notizia! L’informazione cammina su altre gambe. Ma è tanto facile starsene seduti davanti ad un computer e trovare una “non notizia” da vendere a milioni di persone. E’ così che si alimenta il circolo vizioso dei “provocatori minimi”. La vera questione all’ordine del giorno è la percezione della notizia, la capacità di comprendere la veridicità delle informazioni in rete. Su questo è necessario educare! Invece tutto ciò che riproduce il web è percepito come verità assoluta. L’incapacità di sottrarsi al gioco di questi internauti, produce reazioni altrettanto pericolose. Ad una provocazione virtuale fanno eco utenti che concretamente si sentono colpiti nel proprio intimo umano, percependo su se stessi angoscia reale e rabbia. Da qui nascono reazioni altrettanto violente. Penso ai gruppi che per indignazione rispondono con appelli altrettanto crudi (“morte ai sostenitori…”). Stiamo parlando di una questione perversa. Come difendersi allora? Chiedendo la censura del web? Ciò vorrebbe dire cedere all’idiozia di pochi colpendo tutti. La vera censura si mette in atto, innanzitutto prendendo coscienza del meccanismo e comprendendone l’automatismo, e di conseguenza ignorando questo tipo di messaggi. Solo così, l’ingranaggio si interrompe. Ogni altra reazione tende ad alimentare e a dare linfa al macabro gioco. Segnalare alle autorità competenti il gruppo incriminato è sicuramente un passaggio da fare (anche perché i contenuti di questi, spesso sconfinano nell’apologia di un reato), ma il vero nodo da risolvere è quello della percezione della notizia. Ogni parola che si spende per costoro, e purtroppo in questo caso anche la mia, è benzina per i loro incendi virtuali.