Secondo l’Oms ogni anno si suicidano 16 persone ogni 100.000, cioè un milione di persone, dunque una ogni 40 secondi, ed i tentativi di suicidio sono quasi 20 milioni, cioè uno ogni 23 secondi: ogni anno ci sono più morti a causa del suicidio che nelle guerre e negli omicidi messi assieme.
Sono dati drammatici e raggelanti, poco conosciuti, indici di una piaga sociale enorme, e ovviamente le loro cause sono molteplici: biologiche, sociali, culturali, ecc. Due Paesi molto benestanti, il Giappone e la Svezia, con 24 e 13 suicidi ogni 100.000 persone, dimostrano che non è la povertà ciò che spinge al suicidio.
Per quanto riguarda le radici culturali si pensi di nuovo al Giappone (tra le parole giapponesi più conosciute al mondo figurano kamikaze e harakiri).
Per l’Oms la principale causa dei suicidi sono i disturbi psicologici, in particolare la depressione. In effetti, come ha sottolineato un pensatore e psicoterapeuta come Viktor Frankl (1905-1997), la motivazione principale dell’uomo non è il principio del piacere, né la volontà di potenza, bensì la «volontà di significato», il desiderio di trovare un senso, uno scopo della propria vita. Il male del nostro tempo, spesso, è proprio la frustrazione esistenziale, la mancanza di un senso che sia una solida ragione per vivere.
Ma che cosa può dare un senso globale e solido alla vita e rendere sopportabile la sofferenza?
Indubbiamente, credere in Dio è consolante e rasserenante (c’è anche chi afferma che Dio è fonte di nevrosi e questa affermazione andrebbe discussa in altra sede; però, limitandoci solo a un brevissimo e incompleto cenno, possiamo dire quanto segue: è vero che ad alcuni soggetti la religione determina delle nevrosi, però solo se vissuta in modo legalistico, cioè sbagliato, inoltre la secolarizzazione non ha reso più sereni gli uomini, anzi, sempre per l’Oms, le patologie psichiche sono in crescita ed i suicidi sono aumentati del 60 % dagli anni cinquanta). Così, forse non è un caso – e questa è la nostra ipotesi – se nei primi dieci posti della classifica dei suicidi ci sono ben 8 Paesi ex comunisti dove 5070 anni di ateismo sono probabilmente una delle cause (beninteso insieme ad altre, il fenomeno è ovviamente complesso) dell’elevato tasso di suicidi. Il triste primato spetta alla Bielorussia, con 36 suicidi ogni 100.000 persone, al secondo e al terzo posto si trovano la Lituania e la Russia con 31, al quarto lo Sri Lanka con 30, al quinto il Kazakistan con 27, al sesto l’Ungheria con 26, al settimo il Giappone con 24, all’ottavo l’Ucraina con 23, al nono la Slovenia con 22, al decimo la Lettonia con 20.
Per contro, i Paesi con il tasso più basso di suicidi sono quasi tutti di tradizione culturale cristiana, specialmente cattolica (fatte salve alcune eccezioni: per esempio l’Austria e la Francia, del resto molto secolarizzata, tra i Paesi cristiani, e l’Iran, tra quelli non cristiani, ma i dati sui Paesi islamici sono pochi). L’Italia, per esempio, con 6 suicidi ogni 100.000 persone, è molto indietro in questa triste classifica. In effetti, il cristianesimo insegna che la vita umana è preziosissima e il suicido è considerato un atto assai grave.
Se poi si considera che il suicidio è anzitutto un atto di disperazione, cioè di perdita totale della speranza, si arriva a comprendere meglio perché i popoli di fede (o almeno tradizione) cristiana vi ricorrano in misura minore. Durante le prove più difficili della vita, infatti, il cristiano sa che può contare sul conforto non di una divinità lontana, ma di un Dio-Persona amorevole. Solo ad una Persona, infatti, ci si può rivolgere direttamente. Un Uomo-Dio che muore liberamente sulla croce, offrendo se stesso come modello di sofferente, come compagno per chi si trova nella sofferenza, nella malattia, nella disperazione e nella depressione. E che insegna che esse hanno una fecondità.
Sono dati drammatici e raggelanti, poco conosciuti, indici di una piaga sociale enorme, e ovviamente le loro cause sono molteplici: biologiche, sociali, culturali, ecc. Due Paesi molto benestanti, il Giappone e la Svezia, con 24 e 13 suicidi ogni 100.000 persone, dimostrano che non è la povertà ciò che spinge al suicidio.
Per quanto riguarda le radici culturali si pensi di nuovo al Giappone (tra le parole giapponesi più conosciute al mondo figurano kamikaze e harakiri).
Per l’Oms la principale causa dei suicidi sono i disturbi psicologici, in particolare la depressione. In effetti, come ha sottolineato un pensatore e psicoterapeuta come Viktor Frankl (1905-1997), la motivazione principale dell’uomo non è il principio del piacere, né la volontà di potenza, bensì la «volontà di significato», il desiderio di trovare un senso, uno scopo della propria vita. Il male del nostro tempo, spesso, è proprio la frustrazione esistenziale, la mancanza di un senso che sia una solida ragione per vivere.
Ma che cosa può dare un senso globale e solido alla vita e rendere sopportabile la sofferenza?
Indubbiamente, credere in Dio è consolante e rasserenante (c’è anche chi afferma che Dio è fonte di nevrosi e questa affermazione andrebbe discussa in altra sede; però, limitandoci solo a un brevissimo e incompleto cenno, possiamo dire quanto segue: è vero che ad alcuni soggetti la religione determina delle nevrosi, però solo se vissuta in modo legalistico, cioè sbagliato, inoltre la secolarizzazione non ha reso più sereni gli uomini, anzi, sempre per l’Oms, le patologie psichiche sono in crescita ed i suicidi sono aumentati del 60 % dagli anni cinquanta). Così, forse non è un caso – e questa è la nostra ipotesi – se nei primi dieci posti della classifica dei suicidi ci sono ben 8 Paesi ex comunisti dove 5070 anni di ateismo sono probabilmente una delle cause (beninteso insieme ad altre, il fenomeno è ovviamente complesso) dell’elevato tasso di suicidi. Il triste primato spetta alla Bielorussia, con 36 suicidi ogni 100.000 persone, al secondo e al terzo posto si trovano la Lituania e la Russia con 31, al quarto lo Sri Lanka con 30, al quinto il Kazakistan con 27, al sesto l’Ungheria con 26, al settimo il Giappone con 24, all’ottavo l’Ucraina con 23, al nono la Slovenia con 22, al decimo la Lettonia con 20.
Per contro, i Paesi con il tasso più basso di suicidi sono quasi tutti di tradizione culturale cristiana, specialmente cattolica (fatte salve alcune eccezioni: per esempio l’Austria e la Francia, del resto molto secolarizzata, tra i Paesi cristiani, e l’Iran, tra quelli non cristiani, ma i dati sui Paesi islamici sono pochi). L’Italia, per esempio, con 6 suicidi ogni 100.000 persone, è molto indietro in questa triste classifica. In effetti, il cristianesimo insegna che la vita umana è preziosissima e il suicido è considerato un atto assai grave.
Se poi si considera che il suicidio è anzitutto un atto di disperazione, cioè di perdita totale della speranza, si arriva a comprendere meglio perché i popoli di fede (o almeno tradizione) cristiana vi ricorrano in misura minore. Durante le prove più difficili della vita, infatti, il cristiano sa che può contare sul conforto non di una divinità lontana, ma di un Dio-Persona amorevole. Solo ad una Persona, infatti, ci si può rivolgere direttamente. Un Uomo-Dio che muore liberamente sulla croce, offrendo se stesso come modello di sofferente, come compagno per chi si trova nella sofferenza, nella malattia, nella disperazione e nella depressione. E che insegna che esse hanno una fecondità.
«Avvenire» del 19 marzo 2010