È in corso a Tolosa, presso l'Institut Catholique, un convegno in occasione del nono centenario della nascita del monaco cistercense inglese Aelredo di Rievaulx. Pubblichiamo stralci di una delle relazioni.
di Inos Biffi Quanto Bernardo di Clairvaux afferma di sé: "Questa è la mia più sublime, interiore filosofia: sapere Gesù - Haec mea sublimior, interior philosophia, scire Iesum (Super Cantica, 43, 4)" - in realtà vale per tutti i grandi autori cistercensi. Vale per Isacco della Stella, per Guerrico d'Igny, per Baldovino di Ford, per Aelredo di Rievaulx, e altri ancora.
"Cristo è il nostro amore" - dichiarava Baldovino di Ford -. "Il nostro amore di Cristo dev'essere saporoso". "Tutto, e in pienezza, si trova in Cristo - gli faceva eco Aelredo di Rievaulx -. Tutta la dolcezza della terra è l'umanità di Cristo".
Tre brevi testi di monaci come cenni di tutta una tradizione cristologica monastica medievale dove la figura di Cristo è termine di penetrante contemplazione, di vivo amore, di intelletto acceso dall'affetto.
Certo i monaci medievali hanno mirato a studiare Gesù Cristo, ma per ottenere non solo o non tanto un sapere intellettivo, quanto un sapere "affettivo", dove il termine affectus va tuttavia caricato di una pregnanza che lo sottragga a una pura e superficiale emotività.
Aelredo considera la figura di Gesù nel divenire e nel dispiegarsi dei suoi molteplici "misteri" o dei vari suoi "sacramenti", colmi di una grazia multiforme.
Nella meditazione di Aelredo tali "misteri" o "sacramenti" sono colti come in tre momenti o a tre livelli: nella loro oggettività storica; nella loro presenza attraverso la Scrittura; e nella loro attualità liturgica.
L'oggettività storica è senza dubbio il primo interesse: storicità ricostruita e disaminata secondo un'economia estremamente "analitica".
Ma la preoccupazione, più che esegetica e speculativa, è affettivo-spirituale: i misteri di Cristo sono contemplati in modo che essi si riflettano e quasi maturino nella psicologia di chi ne fa oggetto di meditazione e di desiderio.
Ciò avviene mediante la Scrittura. Accostare i misteri di Cristo nella loro attestazione biblica, non significa solo riandare al passato, ma incontrarli in un'attualità che li ridona.
E, se questa attualità si riscontra nella comunione scritturistica, ancora più si compie attraverso la liturgia, indissolubilmente connessa con la medesima Scrittura, e in particolare nel loro puntuale e mistico ritorno lungo l'anno liturgico, alla cui spiegazione e contemplazione Aelredo, come Bernardo e altri "evangelisti" di Cîteaux - pensiamo a Guerrico d'Igny o Isacco de l'Étoile - si sono dedicati nei loro Sermones de tempore et de sanctis, dove i misteri di Cristo ricorrono e sono riaccesi nella memoria celebrativa della Chiesa e della comunità monastica. La loro grazia oggettiva, in certo senso, si riapre, coinvolgendo il ricordo e risolvendosi nell'assimilazione e nella imitazione. Esemplare nella meditazione biblico-cristologica di Aelredo è il delizioso opuscolo De Iesu puero duodenni, sulla salita di Gesù al Tempio, considerata sullo sfondo delle tappe precedenti: Betlemme, Egitto, Nazaret.
Aelredo si sofferma in una esegesi "devota", svolta secondo un metodo tripartito o in tre momenti, che d'altronde non sono statici e separati: momento storico; momento mistico o allegorico; momento morale.
Alla base di questo modo di interpretazione che non si accontenta della lettera, è la convinzione che la Scrittura non possa essere unidimensionale, poiché è Parola di Dio impregnata di Spirito: oltre la lettera è come veduto il mistero; la Scrittura stessa è mediativa del mistero. Non col distacco, ma col coinvolgimento si accede alla Scrittura.
Tale accesso non avviene, secondo la nostra abitudine, anzitutto in senso "storico-critico": l'attenzione è volta ai fatti passati della vita di Cristo, ma al fine di accendere su di essi l'"immaginazione", quasi l'immaginario, che accende la disponibilità della sequela con la percezione che tali fatti sono presenti.
Louis Bouyer parla di "umanità quasi divertente e così britannica" nel modo con cui Aelredo immagina e ritrae i particolari della vita di Cristo.
Il "momento mistico", oltrepassando il livello storico immediato, intende rilevare, nello schema della vita di Cristo, i più profondi misteri. Ne risulta una cristologia, ora più ingenuamente, ora più acutamente tratteggiata: i sublimi misteri si rivelano a una riflessione più penetrante.
Invece, nel "momento morale" Aelredo teorizza una relazione tra la vita di Gesù, la sua crescita fisica e le fasi del progresso spirituale. Quanto avviene, dispiegato nel modello cristico, si attua in sintesi sul piano dell'anima.
La vita di Cristo nell'anima consiste nella restaurazione dell'immagine di Dio nell'uomo: condividere il cammino di Cristo è entrare nel movimento della restaurazione, della conversione, come ritorno dalla regio dissimilitudinis alla similitudo. Conformarsi a Cristo significa deificazione della natura umana tramite l'incarnazione del Verbo presentata non in strutture astratte, ma nella concretezza biografica.
L'opera di Aelredo sui misteri di Gesù si può definire un trattato sulla "grazia sacramentale" di tali misteri, che infondono la rassomiglianza al Verbo: sono misteri dotati di una virtus, efficace nell'anima, e quindi con un carisma proprio, che diventa principio attivo della ripetizione reale-sacramentale che è la vita del cristiano.
Anzitutto abbiamo l'attenzione al passato: ossia un interesse di tipo storico, soddisfatto attraverso la lettura biblica che porta a una minuziosa esposizione dei fatti e dei gesti di Gesù Cristo. È una rappresentazione di Cristo, una rappresentazione della sua storia di Cristo considerata nella sua "temporalità" e "geograficità". La contemplazione monastica nel suo primo momento è, così, "un pellegrinaggio in spirito nei luoghi santi".
Tuttavia la devozione all'umanità non si ferma a essi, ma procede oltre, poiché, attraverso gli avvenimenti storici di Cristo, si coglie la dimensione divina, si scruta la presenza del divino dentro questa dimensione umana: dimensione integrata del mistero di Cristo, che non si disperde nell'analiticità storica dal punto di vista oggettivo, né nella sua analiticità psicologica dal punto di vista soggettivo.
Viene contemplato il passato affinché sia forma e modello della imitazione presente. Ciò è teorizzato a partire dalla convinzione che i gesti della vita di Cristo - già sopra lo abbiamo notato - sono provvisti di una grazia particolare: a motivo della loro dimensione teandrica essi sono segni efficaci di grazia. Appare, così, lo scopo della rievocazione del passato per la "memoria": riavere nel presente la grazia propria di quei misteri.
La meditazione è la "traduzione", connessa al presente, di quella "memoria" dell'evento trascorso. Non si tratta più di contemplare e rappresentare la scena evangelica in se stessa, con tutte le facoltà affabulatrici, né di rendersi presente all'avvenimento attraverso la drammaticità scenico-rapprentativa; ma la res di questa drammatizzazione è l'imitazione, che ha il momento emotivo (in senso forte) e il momento affettivo quando la grazia del mistero diventa prassi e "cibo"del soggetto: "Il pane del vostro pellegrinaggio è il mistero dell'incarnazione di Cristo".
Questo momento attivo è in funzione del momento reale, cioè l'imitazione, l'applicazione della grazia connessa al mistero che entra nel soggetto.
Infine il mistero prospettato, il tempo "futuro", come terzo quadro o pannello del medesimo trittico: momento della "profezia" accanto alla "memoria" e alla "presenza". La "profezia" o momento "profetico" è la fissazione, meditazione che ha come oggetto i fini ultimi: morte, inferno, cielo.
Questi tre momenti tornano nella meditazione di Aelredo e il momento terzo, il profetico, è vivo e unificante all'interno della progettazione monastica della vita, interpretata come anticipo dell'escatologia. In quest'ambito abbiamo la teorizzazione del desiderium.
(©L'Osservatore Romano - 19 marzo 2010)