“La vita romana totalmente diversa dalla mia vita universitaria ha segnato profondamente la mia vita”, cosi’ si esprime il giovane professore , diventato una star nel firmamento teologico internazionale. E’ a Roma che Joseph Ratzinger si apre al mondo e tesse una fitta trama di amicizie. Poi, dal 1981 si stabilisce definitivamente nella capitale come prefetto della Dottrina della Fede. Nel 2005 il “compito inaudito”, l’elezione al Soglio di Pietro. Viaggi brevi e mirati in Italia e visite alle parrocchie romane, ai collegi, alle universita’ pontificie. E’ attento a cio’ che gli accade intorno e agli amministratori pubblici offre spunti per governare una metropoli dove l’integrazione e’ sempre piu’ faticosa e complessa. Lo “schiaffo” della Sapienza, il “Papa-day” e la visita al Campidoglio. Un timido di carattere che la gente ha imparato ad amare . I romani hanno capito , da subito, che questo Papa sta dalla loro parte.
“Nel collegio dell’Anima, siamo proprio nel  centro della vecchia Roma e  si vede il mondo, si sentono soprattutto  gli umori, i rumori della vecchia Roma; tutto questo, anche andare al  caffè con altri e conoscere la vita romana totalmente diversa dalla mia  vita universitaria, rimane per me  una impressione grandissima cha ha  marcato la mi vita”. Siamo negli anni che vanno dal 1962 al 1965. Nella  capitale della cristianita’ si sta celebrando  il Concilio Ecumenico  Vaticano II, l’evento religioso più importante del XX secolo. Don Joseph  Ratzinger, giovane professore di teologia, è chiamato dall’arcivescovo  di Colonia, il cardinale Joseph Frings, a seguirlo in qualità di  “esperto” e in seguito da “perito”. Ne parla, ancora con stupore, anni  dopo (Ratzinger è già diventato cardinale e prefetto della Congregazione  per la Dottrina della Fede) nel libro: La mia vita (ed. S. Paolo,  1997). La scoperta di Roma rappresenta una novità per il giovane  studioso. E’ l’apertura verso la “cattolicità”, l’universalità della  Chiesa, nonchè verso il mondo della classsicità. Tutto “alla romana”.  “Tutto per me era invitante” dirà in una intervista rilasciata negli  anni Novanta del secolo scorso ad una trasmissione RAI, “tutto era  nuovo”. Quel ragazzo esile con lo sguardo profondo, la testa piena di  domande e di curiosità, è diventato una star del firmamento teologico  internazionale. Ma il contatto, anche dal punto di vista emotivo, con  Roma lo ha segnato. Il professor Joseph Ratzinger ha davanti la radura  luminosa dell’attività accademica. Ben altri sono i disegni della  Provvidenza su di lui. Giovanni Battista Montini, divenuto Papa Paolo  VI, lo inserisce nella Pontificia Commisione Teologica Internazionale  dove si trova a fianco di Hans Urs Von Balthazar. Col grande teologo  svizzero, da’ vita ad una rivista, Communio, promossa in Italia da don  Luigi Giussani, fondatore del movimento “Comunione e Liberazione”.  Cruciale il  1977. Il teologo dallo sguardo acuto viene chiamato il 25  maggio da Paolo VI a succedere al cardinale Julius Döpfner, arcivescovo  di Monaco e Frisinga. Dopo pochi mesi è creato cardinale col titolo  presbiteriale di “Santa Maria Consolatrice al Tiburtino”. E’ un ritorno a  Roma, come “presbitero”, come “cardine” della Chiesa. Partecipa nel  1978 a due Conclavi, quello che alla fine di agosto eleggerà Giovanni  Paolo I e in settembre Karol Wojtyla, Giovanni Paolo II, il primo Papa  polacco della storia della Chiesa. Il 25 novembre 1981 Ratzinger entra  per la prima volta nel palazzo dell’ex-Santo Uffizio come prefetto della  Congregazione della Dottrina della Fede. Nel 1993 gli viene assegnata  la sede suburbicaria di Velletri-Segni. Nel 2001, come Decano del  Collegio cardinalizio la sede suburbicaria di Ostia. Roma è diventato il  luogo della sua permanenza definitiva. Architrave del pontificato di  Giovanni Paolo II, il cardinale Ratzinger affronta alcune questioni  spinosissime e alcuni “grandi ribelli” che in aperto dissenso con la  Sede Apostolica, seminano sconcerto e zizzania nel mondo cattolico. A  cominciare da Marcel Lefebvre fino ai portabandiera della “teologia  della liberazione (il più famoso è Leonardo Boff). Il porporato bavarese  dal 1981 al 2005 abita in Piazza della Città Leonina. A pochi metri  dalla cinta di mura che racchiudono lo Stato della Città del Vaticano. A  pochi metri, ma fuori. Abita in un ampio appartamento foderato di  libri. La sorella Maria (vista più volte da chi scrive fare la spesa); a  volte il fratello “gemello di messa” Georg; il segretario Josef Clemens  e l’altro segretario Georg Gänswein, la fidatissima Ingrid Stampa. E il  gatto Cico.  Più volte ho incontrato Ratzinger per le viuzze di Borgo  Pio o in compagnia di amici o da solo. Clergyman e basco neri a fare il  giro del quartiere, verso l’imbrunire. Affidabile e cordiale. Col  fratello Georg ha gia’ acquistato una villetta con giardino a Pentling  alla periferia di Ratisbona per passare il resto della sua vita. Gli  spartiti musicali degli amatissimi Bach e  Mozart, i concerti, le  celebrazioni liturgiche nella cattedrale, saggi e articoli per  soddisfare le richieste pressanti di alcune case editrici tedesche che  hanno  “arruolato” il cardinale fra gli scrittori di punta. I disegni di  Dio sono imperscrutabili. Manca l’ultimo strappo. Il “compito  inaudito”. Il 19 aprile 2005, dopo un Conclave  lampo di sole 15 ore,   il finissimo teologo viene eletto al Soglio Pontificio. Un tedesco dopo  un polacco. Nella “società liquida” alla Baumann diventa Papa, scrive il  cardinale Camillo Ruini (Avvenire, 30 aprile 2009), uno studioso che  “si è occupato di teologia praticamente per tutta la sua vita, segnato  soprattutto dalla Scrittura e dai Padri e che ha fatto della liturgia  della Chiesa il centro del suo lavoro teologico”,  che si domanda  “perché crediamo?” , che affronta “senza sconti la questione della  verità e della bellezza e vivibilità della fede cristiana”. Benedetto  XVI, “l’umile lavoratore nella vigna del Signore”, sembra l’uomo giusto  per affrontare la più epocale delle sfide: portare Dio fra le case degli  uomini. Joseph Ratzinger/ Benedetto XVI non e’ uomo dei gesti, bensi’  dei ragionamenti. Da subito si comprende che il carisma del nuovo  pastore si concentra  nel suo pensiero e nella sua parola. Smentendo  ogni previsione si mette a viaggiare. Visite pastorali brevi e mirate in  Italia : Bari (2005), Manoppello e Verona (2006), Vigevano, Pavia,  Assisi, Loreto, Velletri, Napoli (2007), Savona, Genova, Santa Maria di  Leuca, Brindisi, Cagliari, Pompei (2008); L’Aquila e le zone terremotate  dell’Abruzzo, Montecassino, San Giovanni Rotondo, Viterbo, Civita di  Bagnoregio, Concesio e  Brescia (2009); Torino, Palermo, Sulmona,  Carpineto Romano (2010). Metodico anche negli spostamenti nella sua  diocesi . Le pontificie università, vera gloria per Roma capitale,  “metropoli dove si studia Dio”, i collegi,  le parrocchie. Non piu’ di  due all’anno. Durante i tempi liturgici forti di Avvento e Quaresima.  Alla parrocchia di Santa Maria Consolatrice a Casal Bertone, a Dio Padre  Misericordioso, Santa Maria Stella dell’Evangelizzazione al Torrino,  Santa Felicita e Figli martiri, Santa Maria del Rosario ai Colli  Portuensi, Santa Maria Liberatrice al Testaccio, Santo Volto di Gesù  alla Magliana. Davanti al clero romano, il 13 maggio 2005, nella  Basilica di S. Giovanni in Laterano annuncia che, derogando dai tempi  prescritti, da’ inizio al processo di canonizzazione del suo grande  predecessore, Giovanni Paolo II. L’11 giugno 2007 apre il Convegno della  diocesi Roma sul tema: “Gesù è il Signore. Educare alla fede, alla  sequela, alla testimonianza”.  Tre anni dopo, 17 gennaio 2010, varca la  soglia della Sinagoga sul Lungotevere e una settimana dopo quella del  tempio di culto luterano. Accetta l’invito della Comunita’ di  Sant’Egidio e pranza coi poveri  e del vicario di Roma, il cardinale  Agostino Vallini, e lo vediamo fra i barboni del centro di accoglienza  della Caritas alla stazione Termini. In cinque discorsi (2006-2010)  tratteggia l’identikit del buon amministratore incontrando i  responsabili della cosa pubblica della Regione Lazio, del Comune e della  Provincia di Roma. Sono le preoccupazioni di un padre per i problemi  che attanagliano la “prima inter urbes”, la città cha ha la missione di  essere faro di civiltà e di fede. E’ un approccio alle questioni aperte  molto diretto : il  costo degli alloggi, degli asili-nido e delle scuole  materne per i bambini più piccoli ; il funzionamento della sanita’  pubblica e il sostegno a quella cattolica; l’offerta di collaborazione  degli oratori come presidi anche  sociali e civili del territorio ; la  centralità della persona umana e della famiglia fondata sul matrimonio;  l’emergenza povertà; l’aumento del costo della vita, le sacche  persistenti di mancanza di lavoro, e anche i salari e le pensioni spesso  inadeguati; i nuovi complessi abitativi che rischiano di diventare  quartieri dormitorio . E poi la sicurezza. L’uccisione di Giovanna  Reggiani a Tor di Quinto fa mettere al Papa il dito sulla piaga: “Non è  solo una questione di sicurezza, ma anche del gravissimo degrado di  alcune aree di Roma. E’ necessaria un’opera costante e concreta che  abbia la duplice inseparabile finalita’ di garantire la sicurezza dei  cittadini e di assicurare a tutti, in particolare agli immigrati, almeno  il minimo indispensabile per una vita onesta e dignitosa” (10 gennaio  2008). E c’e’ la crisi finanziaria ed economica mondiale che ha messo in  ginocchio le famiglie monoreddito e gli anziani. “Forse mai come oggi –  dice Benedetto XVI – la società civile comprende che soltanto con stili  di vita ispirati alla sobrietà, alla solidarieta’ ed alla  responsabilità, è possibile costruire una società più giusta e un  avvenire migliore per tutti”. I poveri, i deboli “non vanno considerati  un peso, bensì una risorsa da valorizzare”. Due episodi vanno  sottolineati, anche se di significato opposto. Il Papa, il 17 gennaio  2008, viene invitato dal magnifico rettore, Renato Guarini , ad  inaugurare l’Anno Accademico all’università “La Sapienza di Roma”. La  vicenda è nota. “Non in linea con la laicità della scienza. Un evento  incongruo che auspichiamo venga annullato”. E’ un passaggio della  lettera che sessantasette docenti mandano al rettore. Si sentono “offesi  ed umiliati”. Il “niet” dei professori, una minoranza della minoranza,  provoca una ondata  di reazioni: “Iniziative di tono censorio” denuncia  Radio Vaticana; il Papa è “ oggetto di un gravissimo rifiuto che  manifesta intolleranza antidemocratica a chiusura intellettuale”,  afferma in una nota la presidenza della Conferenza Episcopale Italiana.  Alcune centinaia di studenti occupano il rettorato. Si concede loro di  manifestare alla stessa ora della “lectio” del Papa, anche se in un  luogo diverso. Alla vigilia della visita, un comunicato stampa della  Sala Stampa della Santa Sede, spiega che “si è ritenuto opportuno  soprassedere all’evento. Il Santo Padre invierà, tuttavia, il previsto  intervento”. Più che uno schiaffo al Papa e’ un autogol della coscienza  civile e democratica di un Paese. Ad un Papa viene di fatto impedito di  parlare in un ateneo fondato, per altro, da un altro Papa: da Bonifacio  VIII nel remoto 1303.  Nel “Papa-day”, voluto dal vicario di Roma, il  cardinale Camillo Ruini, la domenica successiva si stringono attorno a  Benedetto XVI in Piazza San Pietro più di centomila persone. Corrono i  romani nella dimostrazione più massiccia di affetto e di solidarietà  della gente comune per la propria guida spirituale. Non arriva Ratzinger  alla “Sapienza”, arriva il suo discorso. E dalla lettura si comprende  come, per il fracasso sollevato da poche persone, la città e la sua più  alta istituzione accademica, abbiano perso un’occasione formidabile di  confronto e di riflessione. “Il pericolo del mondo occidentale –  sostiene il Papa nel discorso non pronunciato  – è che oggi l’uomo,  proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e del suo  potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa  allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla  pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta  a  riconoscerla come criterio ultimo”. Che cosa ha da fare o da dire il  Papa nell’università? “Sicuramente – precisa Benedetto XVI – non deve  cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere  solo donata in libertà. Al di là del suo ministero di Pastore della  Chiesa e in base alla natura intrinseca di questo ministero pastorale è  suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare  sempre e di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene,  di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci  sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù  Cristo come la luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via  verso il futuro”.
Il 9 marzo 2009, come già aveva fatto Giovanni Paolo II (15 gennaio  1998), Benedetto XVI è in Campidoglio. “Alle 8,30  in Campidoglio era  già tutto pronto. Valletti in livrea, guide rosse, fiori gialli, rossi,  bianchi. I colori di Roma e del Vaticano, simbolicamente abbracciati.”  (Il Tempo, 10/03/2009).
“ Roma vuole essere la città della vita, dell’accoglienza e della  speranza” dice il sindaco Gianni Alemanno, più emozionato che mai. “  Roma è sempre stata una città accogliente” lo rincuora Benedetto XVI che  “fotografa” il volto di una metropoli ormai multietnica e  multireligiosa, nella quale talvolta “l’integrazione è faticosa e  complessa”.  Un discorso che si apre alla confidenza. “Grazie Signor  Sindaco, perché in occasione di questa mia visita, Ella mi ha offerto  come dono un segno di speranza per i giovani chiamandolo col mio nome,  quello di un anziano Pontefice che guarda fiducioso ai giovani e per  essi prega ogni giorno….Vivendo a Roma da tantissimi anni ormai sono  diventato un po’ romano ; ma più spesso mi sento come vostro Vescovo”. E  “il cuore romano – ricorda il Papa in uno slancio lirico – è un cuore  di poesia”. Chi si aspettava – come gli sprovveduti professori della  Sapienza  – di trovare nell’ex prefetto di ferro, nel “panzerkardinal”  un paladino fideista del dogma è servito. L’istinto della gente è  infallibile, anche nel caso di Papa Benedetto. La gente e i romani sanno  che questo Papa sta dalla loro parte. Tempo fa ha detto: “Non sono i  dotti a determinare ciò che è vero della fede battesimale, bensì è la  fede battesimale che determina ciò che è valido nelle interpretazioni  dotte. Non sono gli intellettuali a misurare i semplici, bensì i  semplici misurano gli intellettuali. Il compito del magistero ecclesiale  è difendere la fede dei semplici contro il potere degli intellettuali.  Esso difende la fede dei semplici, di coloro che non scrivono libri, che  non parlano in  televisione e non possono scrivere editoriali sui  giornali. Questo è il suo compito democratico. Esso deve dar voce a  quelli che non hanno voce”.
 Giuseppe De Carli
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