ROMA, martedì, 20 aprile 2010 (ZENIT.org).- Le tentazioni a cui i sacerdoti sono sottoposti durante la vita non sono altro che prove di fede attraverso le quali maturare nella vocazione, da intendersi innanzitutto come un atto di elezione da parte di Dio, che si fa dono e responsabilità.
Lo sostiene il salesiano don Enrico dal Covolo, 59 anni, che dal 21 al 27 febbraio scorsi ha predicato gli Esercizi spirituali per la Quaresima alla presenza del Santo Padre e dei suoi collaborati della Curia romana sul tema “'Lezioni' di Dio e della Chiesa sulla vocazione sacerdotale”.
Le meditazioni si trovano ora raccolte nel volume “In ascolto dell’Altro” (Libreria Editrice Vaticana), che nel titolo riecheggia la preghiera di Salomone per “un cuore che ascolta” da cui il sacerdote ha preso le mosse per sviluppare le sue riflessioni.
“Chiaramente – ha spiegato a ZENIT don Enrico dal Covolo – questo è un punto fondamentale di fronte alla crisi di una cultura sempre più incapace di ascoltare l'Altro ma anche gli altri che ci stanno intorno, e di fronte alla tentazione alla autoreferenzialità che è sempre in agguato”.
Postulatore generale della famiglia di don Bosco e professore ordinario di Letteratura cristiana antica presso la Pontificia Università Salesiana, il sacerdote seguendo il metodo della lectio divina, ha scandito le tappe tipiche dei racconti biblici di vocazione: la chiamata di Dio; la risposta dell'uomo alla missione; il dubbio, le tentazioni e le cadute del chiamato; e infine la conferma rassicurante da parte di Dio.
All'interno di questo tracciato biblico il sacerdote ha voluto innestare alcuni “medaglioni”, ovvero alcuni modelli luminosi di santità sacerdotale – sant’Agostino, il santo Curato d’Ars, il curato di campagna di Bernanos, il venerabile don Giuseppe Quadrio e il venerabile Giovanni Paolo II – in corrispondenza con i temi delle varie giornate degli Esercizi spirituali: vocazionale, missionario, penitenziale, cristologico e mariano.
In alcune dichiarazioni a ZENIT, riflettendo sugli scandali per gli abusi sessuali da parte del clero che hanno investito la Chiesa negli ultimi tempi, il sacerdote ha detto: “Secondo me si impone immediatamente una riflessione ampia sulla vocazione fondata veramente sui testi biblici che di questa costituiscono il paradigma”.
“E allora – ha osservato – il punto di partenza in assoluto è proprio la Grazia di Dio perché la vocazione sacerdotale, come ogni altra vocazione, è innanzitutto un atto di Grazia, di elezione da parte di Dio. Nessuno si chiama da sé nella prospettiva della fede ma Dio solo chiama. Ed è Lui che liberamente, gratuitamente, chiamando apprezza anche colui che chiama”.
In questa prospettiva la vocazione degli apostoli rappresenta “la prova più bella e la documentazione migliore: è infatti il Signore stesso che li ha chiamati, li ha attrezzati per la missione a cui li mandava ma senza sottrarre loro la libertà. Tant'è vero che uno dei Dodici è proprio il traditore così come sono innumerevoli le testimonianze di debolezza umana anche degli altri undici”.
“Dunque non è che i sacerdoti come gli apostoli siano immuni dalle tentazioni – ha sottolineato –. Essi, infatti, sono soggetti alle tristi conseguenze del peccato dell'origine. Non esiste la figura del prete angelicato, cioè che non soffre le tentazioni, le cadute: tutto questo è drammaticamente presente nella storia del sacerdote”.
“Neppure Gesù fu esentato dalla prova, neanche Maria fu esentata dalla tentazione – ha detto ancora il salesiano –. La tentazione è una pedagogia di Dio, è una prova della fede che fa maturare il cammino vocazionale. Quindi dobbiamo considerare la tentazione non tanto come un incerto, quanto piuttosto come una via provvidenziale”.
“Ciò che salva – ha evidenziato poi –, come si vede nella vicenda di Pietro, è il ricorso alla fede e all'amore nei confronti di Colui che chiama. Ciò che è decisiva per Pietro è la risposta definitiva: 'Signore, tu sai che io ti amo'. E da questa consegue la missione apostolica, cioè: 'pasci i miei agnelli', 'pasci le mie pecorelle'”.