L'elezione del cardinale Joseph Ratzinger al soglio di Pietro, cinque  anni fa, è stata accolta con fiducia dalla Chiesa cattolica e dai  cristiani di tutto il mondo. Ci si ricordava dell'importante "squadra"  che aveva costituito con il suo predecessore, Giovanni Paolo II. Il Papa  polacco, dotato di una forte personalità e di un carisma irresistibile,  aveva avuto la saggezza, e si può dire l'umiltà, di volere accanto a sé  una grande mente alla tedesca, che aveva ricevuto una formazione  classica più completa della sua; un Herr Doktor Professor, il più  preparato custode della fede ricevuta  dagli apostoli. Giovanni Paolo II  lasciava - si pensava - una Chiesa rimessa in piedi. Si riteneva che la  Chiesa avesse allora bisogno di calma e di riflessione. Nessuno era  meglio preparato per questo di Benedetto XVI, ed egli ha mostrato fin  dai suoi primi atti quale sarebbe stato lo spirito del suo pontificato.
Il  suo nome è quello del saggio Benedetto xv che cercò invano di mettere  fine alla prima guerra mondiale, quello di Benedetto XIV, il Papa  dell'illuminismo, così dotto e dalle ampie vedute, quello di san  Benedetto, il padre fondatore dell'Europa. La sua prima enciclica, Deus  caritas est, metteva fine alla confusione, così tipica del nostro tempo,  fra l'èros, l'agàpe cristiana e la philìa degli antichi. Egli non  condannava assolutamente Eros, fonte di ogni vita, ma lo metteva al suo  posto, cioè al servizio dell'Amicizia e della Carità. Allo stesso modo,  la seconda enciclica indicava il giusto discernimento fra la virtù della  speranza e ciò che si può ragionevolmente  sperare,  insomma  le   falsificazioni utopiche e rivoluzionarie. Benedetto XVI si è battuto  instancabilmente per la chiarezza e la precisione. Nulla gli sembrava  più pericoloso del relativismo che si accorda con la società democratica  moderna:  qualsiasi gruppo organizzato può legittimare un'opinione solo  perché è la sua opinione, senza doverla sostenere con la ragione. In  campo religioso, il corrispondente del relativismo è l'umanesimo vago,  ostile alle affermazioni dogmatiche perché creerebbero frontiere e  provocherebbero conflitti. Ovvero:  è un male proclamare la verità, è un  male in sé avere dei nemici.
Si è visto bene che questo Papa si è  dato un compito dall'ampio respiro:  la restaurazione dell'intelligenza,  in seno alla Chiesa. La Riforma, la rivoluzione francese, il comunismo,  il nazismo, erano stati altrettanti choc drammatici che minacciavano la  Chiesa nella sua sopravvivenza e che non lasciavano assolutamente posto  all'otium, quello svago tranquillo di cui il pensiero ha bisogno. Il  Papa ha indicato ciò che bisognava fare pronunciando nel Collège des  Bernardins a Parigi una magnifica lezione, degna dei più augusti Padri  della Chiesa. Bisognava approfittare di quel momento di pace per  compiere un lavoro approfondito. In particolare, si sarebbe potuto  riflettere anche sulla struttura amministrativa della Curia che risaliva  fondamentalmente al concilio di Trento, e che il concilio Vaticano ii  aveva cercato di alleggerire. Il Papa, grande appassionato di musica, si  era fatto portare il suo vecchio pianoforte. Aveva del tempo davanti a  sé, o così sembrava.
Ebbene, non l'ha avuto. La storia è  imprevedibile. In cinque anni il Papa ha dovuto affrontare due accidenti  inattesi.
Come  i  suoi  predecessori,  Benedetto XVI si è votato  alla causa dell'ecumenismo. Ha salutato con gioia l'accordo raggiunto  con le comunità luterane. Da parte dell'Ortodossia la fase di stallo  dura, sebbene non ci si possa rassegnare al fatto che queste Chiese  siano separate da quella di Roma dalla stessa fede, come si dice che  l'Inghilterra e l'America sono separate dalla stessa lingua. È troppo  presto per giudicare i risultati del cammino cominciato in direzione  dell'anglicanesimo. D'altro canto il Papa ha cercato di trovare una  buona intesa con le religioni non cristiane. È allora che si è posta in  modo acuto la questione dell'islam. Primo accidente.
Il discorso di  Ratisbona era dotto, moderato, benevolo. Ha però suscitato subito  reazioni molto violente, mettendo in pericolo le ultime Chiese cristiane  che sopravvivono nella condizione di Dhimmi. Ha rivelato anche  l'incomprensione degli attivisti umanitari, i quali non sopportano che  l'islam sia separato dal loro cristianesimo nebuloso da differenze di  fondo. Evidentemente, se si considerano l'Incarnazione, la Redenzione e  la Trinità misteri superati e senza importanza, cosa impedisce di  accogliere l'islam come una varietà della stessa religione per tutti?  Quella reazione sproporzionata ha rivelato innanzitutto l'ignoranza  drammatica del clero e dei fedeli riguardo alla religione dell'islam, e  senza dubbio alla propria, poiché non si può comprendere l'una se non si  comprende l'altra. Di nuovo il bisogno di un raddrizzamento  dell'intelligenza cristiana s'impone in maniera assoluta. San Tommaso  d'Aquino alla domanda se la stupidità (stultitia) fosse un peccato,  rispondeva che lo è quando ha come causa l'aver dimenticato le cose  divine. Secondo lo stesso Dottore, l'ignoranza è anche un peccato quando  concerne cose che si è tenuti a sapere.
L'altro accidente si è  prodotto a livello molto più basso. Numerose e antiche questioni di  pedofilia sono bruscamente venute alla luce, orchestrate da un vortice  mediatico di quelli che le nostre società generano sempre più spesso, ma  che questa volta ha assunto un'ampiezza inaudita. Si rimprovera al  clero cattolico di aver voluto tacere e nascondere fatti incontestabili,  e spesso così è stato.
Vorrei a tale proposito fare due  osservazioni.
La prima è che la scala dei crimini, nell'ultimo mezzo  secolo, ha subito nell'opinione pubblica un rimaneggiamento  considerevole e che spesso il diritto si è accodato a quest'ultima. In  materia sessuale, molti atti sono oggi consentiti, a volte lodati, atti  che in altri tempi venivano puniti con pene molto severe. Il peso di  queste colpe ormai perdonate si è riversato completamente sull'atto di  pedofilia, l'ultimo a essere proibito in questo ambito.
La seconda è  che il punto di vista proprio della Chiesa è quello dell'offesa a Dio e  che il peccato è per essa una nozione distinta da quella del crimine o  del delitto. La Chiesa non scusa il crimine, lascia al magistrato il  compito di punirlo, ma la valutazione del peccato spetta a lei ed è  sottoposta alla sua giurisdizione. Ha il potere delle chiavi, assolve o  non assolve.
Ora la prima cosa che sa e dice la Chiesa è che l'uomo è  peccatore. Lo ricorda in tutte le sue preghiere, come un tratto  identitario dell'uomo. Ora pro nobis peccatoribus. "Non faccio il bene  che amo e faccio il male che odio". Davanti alla colpa più spaventosa,  non si stupisce:  "Siamo tutti capaci di tutto", scriveva santa Teresa  del Bambin Gesù. È dunque per uno strano pregiudizio che ci si sorprende  del fatto che alcuni uomini, solo per avere abbracciato lo stato  clericale, non siano diversi dagli altri e forzatamente migliori. Non è  stato trovato finora il modo per rendere gli uomini diversi da quello  che sono:  orgogliosi, avidi, lussuriosi, collerici, sempre peccatori.  Non è attraverso un esame psicologico o medico previo che ci si  riuscirà.
Ciò non toglie che l'immenso mälström mediatico trascina  con sé cose che non c'entrano nulla:  il matrimonio dei sacerdoti,  l'ordinazione di uomini sposati, e così via, questioni radicalmente  diverse. Tali questioni avventizie rivelano odio per il nome cristiano o  una perdita di autorità e di fiducia nella Chiesa cattolica. In ogni  caso, tocca al Papa portare il fardello di questa confusione. Il suo  pontificato dopo cinque anni mi sembra doloroso. Giovanni Paolo II  combatteva contro un regime politico mostruoso, il comunismo, ma aveva  dalla sua parte la società e l'umanità intera. Benedetto XVI ha contro  l'insieme della società moderna,  quella nata dalla crisi degli anni  Sessanta, con la sua nuova morale e la sua nuova religiosità. Si ritrova  in una situazione analoga a quella di Paolo vi,  quando,  dopo  il  concilio Vaticano ii, dovette affrontare quella che chiamò  "l'autodemolizione" della Chiesa. Questa volta è  l'autodemolizione  di   tutta  la società, della natura e della ragione. La gloria del suo  pontificato non è visibile. È quella del martirio.
(©L'Osservatore  Romano - 19-20 aprile 2010)