di Inos Biffi Il tempo pasquale, dedicato alla contemplazione del mistero di Cristo risorto da morte, si rivela specialmente propizio a una riflessione sul demonio, "il principe di questo mondo" che, proprio nell'ora del suo innalzamento sulla croce, Gesù ha "gettato fuori" (Giovanni, 12, 31). Veramente, non tutti i teologi prestano attenzione al demonio. Alcuni lo giudicano una specie di fantasma inquietante, creato da un sospetto immaginario, con una sua utilità repressiva, ma in ogni caso segno di una mentalità antiquata che fatica a scomparire. Per altri il demonio si riduce a un'idea generica e sintetica di Male, a cui indebitamente si attribuisce una consistenza reale e personale.
Di tutt'altro avviso appare Gesù Cristo, che non ha affatto ridotto il diavolo al prodotto di una fantasia malata o inquieta, ma lo ha preso molto sul serio, ingaggiando un implacabile conflitto contro di lui durante tutta la sua la vita e abbattendolo nella passione e risurrezione.
Anzitutto, Gesù offre del diavolo una precisa definizione: "omicida fin dal principio", "menzognero e padre della menzogna", nel quale "non c'è verità" e a cui la falsità appartiene in proprio (cfr. Giovanni, 8, 44). Definito in questi termini, il diavolo appare chiaramente come l'Antitesi e l'Oppositore di Cristo, che si presenta come la Verità e la Vita (Giovanni, 14, 6) e che con ulteriore precisazione fa risalire l'opera omicida e menzognera del diavolo al "principio", riportandoci così alla Genesi e al "serpente antico, che si chiama diavolo", com'è detto nell'Apocalisse (12, 9).
Scrive sant'Ambrogio: "Il demonio non seppe mantenere la grazia ricevuta ed ebbe invidia dell'uomo per il fatto che, plasmato col fango, fu scelto per abitare in paradiso" (De paradiso, 12, 54). Ma nei raggiri del Serpente, che circuisce l'uomo appena creato è in atto una cospirazione contro Gesù, mirante a seminare la diffidenza e a minare la fede. Quella di minare la fede in Cristo è, infatti, la sua azione propria.
Se il demonio è l'Antitesi e l'Oppositore di Cristo, non sorprende che questi nella sua vita se lo ritrovi d'attorno intento a distaccare persino lui, il Figlio di Dio fatto uomo, dal disegno del Padre. Ma ogni mira in questo senso risulterà vana. L'avvicinarsi della morte è sentita da Gesù come una venuta del "principe del mondo" che però "contro di me non può nulla" (Giovanni, 14, 30).
Vale per il demonio quanto sant'Ambrogio afferma della morte nel suo inno pasquale Hic est dies verus Dei: la morte si è autodistrutta. Essa, nel tentativo di mordere la preda, cioè il corpo di Cristo, messole dinanzi con sottile tranello, ne ha ingoiato letalmente l'amo, restando, insieme, avviluppata nella sua stessa rete. Altrove aveva scritto: "Il modo migliore per spezzare il laccio teso dall'inganno del diavolo era quello di mostrare al diavolo la preda - appunto il corpo di Cristo - affinché, slanciandosi d'impeto su di essa, si impigliasse nella sua stessa rete" (Expositio evangelii secundum Lucam, iv, 12).
Quanto al traditore, Giuda, diviene il luogo della inabitazione di Satana. Nell'imminenza della Pasqua, l'ultima di Gesù con i suoi apostoli, "Satana - è detto in Luca - entrò in Giuda, detto Iscariota" (Luca, 22, 2), mentre, secondo Giovanni, è il diavolo che "ha messo in cuore a Giuda di tradirlo", (Giovanni, 13, 2); e lo stesso evangelista noterà che "dopo il boccone Satana entrò in lui" (Giovanni, 13, 27).
Avversario di Cristo e vinto da lui nella sua morte e risurrezione, il demonio non cesserà di essere l'avversario dei suoi discepoli. In questi termini parlerà la i Lettera di Pietro: "Vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare" (1 Pietro, 5, 8); d'altronde è possibile, come constata Paolo, perdersi "dietro Satana" (1 Timoteo, 5, 15).
Come il demonio ha cospirato contro la vita di Gesù, così non mancherà di architettare inganni contro coloro che "custodiscono i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù" (Apocalisse, 12, 17), e di impiegare tutte le sue energie per osteggiarli. È il messaggio dell'Apocalisse, profezia e raffigurazione delle peripezie della Chiesa, accanitamente insidiata e perseguitata dal drago nel tempo presente, prima della venuta finale del Signore Gesù e del definitivo trionfo dell'Agnello.
"Chi si affida a Dio, non ha paura del diavolo", dichiara sant'Ambrogio (De sacramentis, v, 4, 30), che giunge a dire: "Dove il diavolo dà battaglia, là Cristo è presente. Dove il diavolo pone l'assedio, là, chiuso tra gli assediati, sta Cristo a difendere la cerchia delle mura spirituali" (Expositio Psalmi cXVIii, 20, 51). Per quanto le macchinazioni diaboliche possano essere pericolose e aggressive, essi "lo hanno vinto grazie al sangue dell'Agnello" (Apocalisse, 12, 11).
Su questa vittoria si fondano la forza e la serena speranza dei discepoli del Signore. Se dalla fede - e con buona pace di alcuni teologi - essi sanno con assoluta certezza che il demonio esiste, che è il tentatore, e che opera talora in modo sconcertante, non per questo si lasciano prendere dalla sua ossessione o invadere dallo spavento.
Vigilano, invece, e pregano, certi di essere già partecipi della vittoria pasquale di Gesù, che adesso prosegue in loro.
E non senza affidarsi agli angeli, particolarmente a quelli che hanno servito Gesù dopo le prove del diavolo nel deserto, anche se si deve riconoscere che agli angeli in generale quei medesimi teologi non stanno rendendo facile la vita.
(©L'Osservatore Romano - 23 aprile 2010)
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