All’epoca alcuni di questi suoi atteggiamenti erano considerati sconvenienti – spiega fra Giovanni Grosso, postulatore della causa di beatificazione del carmelitano –, come per esempio il fatto che durante il carnevale lui stesso si mascherasse con abiti buffi quando andava a trovare i malati.Frate Carit– cosera anche chiamato padre Paoli – ha dunqueanticipato i tempi – prosegue il postulatore –, capendo per primo che la cura degli ammalati non era solo questione di medicinali, quanto di sollievo psicologico. Padre Angelo fu anche il primo a porsi la questione del reinserimento sociale di chi veniva
La celebrazione nella Basilica Lateranense, presieduta dal cardinale vicario Vallini. Il frate carmelitano, nato in Lunigiana nel 1642, fu il pioniere della clownterapia e fonda Roma un ospedale per convalescenti
dimesso dall’ospedale.Nel Settecento – racconta ancora fra Giovanni – la situazione era molto diversa da quella di oggi. Immaginate un uomo a cui fosse stata amputata una gamba. Subito dopo l’intervento veniva rimandato a casa, ma naturalmente quell’uomo non era piin grado di lavorare, nquindi di provvedere alla sua famiglia. Inizialmente padre Angelo si rivolse alle sue conoscenze tra i nobili e i ricchi della citt, chiedendo a ciascuno di ospitare i convalescenti dopo la dimissione dall’ospedale. Ma si erano troppi. Cosil sacerdote ebbe l’idea di unospizio di convalescenza , oconvalescenziario. Lo realizzin un palazzetto nei pressi dell’ospedale, su quella che oggivia di San Giovanni in Laterano, e dalla piazza porta fino al Colosseo.Era una sorta di casa famiglia – sottolinea il postulatore – dove i convalescenti potevano iniziare a rimettersi in sesto. La Provvidenza aiutava padre Angelo. Il cibo che i benefattori donavano al convalescenziario spesso avanzava, e il religioso poteva distribuirlo ai poveri, accalcati alle porte del convento di San Martino ai Monti, dove viveva. L’ospizio di convalescenza continu a operare ancora per diversi anni dopo la morte di 'frate Carit'.Segno – osserva fra Grosso – che la sua opera non fu solo individuale. Aveva uno sguardo attento e penetrante, sapeva leggere la realtnelle sue esigenze e problematiche con occhio illuminato. Sapeva smuovere le coscienze delle persone e catalizzarle.
Ci riuscanche in occasione di una sua famosa battaglia: quella per risanare il Colosseo.All’epoca l’anfiteatro Flavio si trovava alla fine del Campo Vaccino – racconta fra Giovanni – ed era un luogo abbandonato, ricettacolo di malviventi e prostituzione. Ma nella spiritualit del tempo era considerato comunque un luogo sacro, perchtante persone vi erano state uccise. Padre Angelo si rivolse a papa Clemente XI chiedendo di poterlo recintare, di chiuderne i fornici. Ottenne il consenso, e fece anche di pi: pianttre croci all’interno del Colosseo. Qualche anno pitardi, a partire da quelle croci, il francescano San Leonardo da Porto Maurizio inizila pratica della Via Crucis al Colosseo, che dura ancora oggi.
Nella sua opera padre Angelo era sempre supportato dalla preghiera e dall’amore per l’Eucaristia – conclude il postulatore –, tanto che durante la notte si dedicava all’adorazione eucaristica. Preghiera e caritper lui erano una cosa sola. Lo stesso Cristo che vedeva nell’Eucaristia lo riconosceva nel volto dei poveri.
Padre dei poveri e dei sofferenti
di Giuseppe Midili
Assistente della provincia d'Italia dei carmelitani dell'antica osservanza"Padre dei poveri" fece scrivere Clemente xi ai carmelitani nella basilica di San Martino ai Monti a Roma sulla tomba di padre Angelo Paoli il giorno della morte, il 20 gennaio 1720. Dopo 289 anni, il 3 luglio 2009 Benedetto XVI decide che il nome di padre Angelo Paoli sia scritto nell'elenco dei beati. Tra i due episodi sono trascorsi quasi trecento anni, ricchi di intense vicende storiche, in cui la Chiesa e il mondo hanno subito tanti cambiamenti e in cui la società è profondamente mutata nei suoi valori e nelle sue caratteristiche. Eppure la realtà in cui visse padre Angelo non è tanto diversa da quella di oggi: povertà, miserie e un gran bisogno che il Vangelo sia annunciato a tutti, che i sacerdoti celebrino la riconciliazione e l'Eucaristia, annuncino il Risorto, consolino i cuori affranti, siano vicini ai poveri. Nel corso di questi tre secoli, dalla morte del Paoli a oggi, ci sarebbero state tante occasioni per proclamare beato il frate carmelitano, che ha dedicato la vita alla preghiera e ai poveri. Ma Dio spesso scrive la storia in maniera diversa da come la pensano gli uomini e solo in questo anno sacerdotale la vita di padre Angelo poteva brillare sotto la luce del magistero di Benedetto XVI.
La beatificazione di padre Angelo Paoli, il 25 aprile, nella basilica del Laterano a Roma, va letta nel percorso della Chiesa, mentre volge al termine l'anno sacerdotale e il Papa propone ai sacerdoti per il loro ministero un clima di preghiera, di gioia, speranza ed entusiasmo, ma anche di penitenza. Se si pensa al discorso rivolto ai partecipanti al ritiro sacerdotale ad Ars, il 28 settembre scorso, o ai discorsi che ci ha rivolto in questi ultimi giorni, la parola del Pontefice offre innumerevoli spunti per comprendere la missione di padre Angelo e colloca la sua figura tra i modelli attualissimi di vita religiosa e sacerdotale. Il "padre dei poveri" nasce nel 1642 ad Argigliano, frazione di Casola in Lunigiana, in provincia di Massa Carrara. Entra nel vicino convento dei carmelitani appena diciottenne. Si distingue per una fede solida, per una spiritualità eucaristica, per un amore verso i poveri. Dopo gli studi e l'ordinazione sacerdotale la sua unica preoccupazione diventa servire Gesù nei malati, nei sofferenti. La sua vita trascorre tra la preghiera, il ministero sacerdotale e il servizio: vive autenticamente il carisma carmelitano, dedito alla contemplazione, ma sempre vicino ai fratelli.
Giunto a Roma per volontà dei superiori nel 1687, trascorreva nell'ospedale San Giovanni il tempo in cui era libero dai suoi incarichi. Si dedicava ai servizi umili, si fermava a lungo con i malati che erano soli e più gravi, si travestiva da buffone e si truccava per farli sorridere. È convinto che si guarisca più in fretta, se si applica quella clownterapia, o comicoterapia, che solo oggi è diffusa negli ospedali italiani. Quando si rese conto che molti malati venivano dimessi prima della completa guarigione e per questo morivano, attrezzò per loro un "convalescenziario", sullo stradone di San Giovanni. Qui venivano ospitati e curati tutti coloro che a Roma non avevano casa o parenti e avrebbero sofferto per strada, a causa della miseria, rischiando la morte. Oggi luoghi come questo si chiamano cliniche di lunga degenza o di riabilitazione. La Provvidenza non gli fece mai mancare l'aiuto di tanti benefattori. Al "convalescenziario" il cibo avanzava e padre Angelo lo distribuiva ai poveri che si radunavano alla porta del convento di San Martino ai Monti, dove egli viveva, e presso cui accorrevano in molti.
Benedetto XVI, alcuni giorni prima della promulgazione del decreto di beatificazione di padre Paoli, nell'udienza di mercoledì 1 luglio 2009, citando san Giovanni Crisostomo, diceva che il sacramento dell'altare e il "sacramento del fratello" o, come dice, "sacramento del povero" costituiscono due aspetti dello stesso mistero. L'amore per il prossimo, l'attenzione alla giustizia e ai poveri non sono soltanto temi di una morale sociale, quanto piuttosto espressione di una concezione sacramentale della moralità cristiana. Due giorni dopo il Papa proporrà padre Angelo come il testimone vivente di armonizzazione tra il sacramento dell'Eucaristia e il sacramento del povero. I collaboratori più stretti narrano di aver trovato spesso padre Angelo al mattino presto sull'inginocchiatoio della sua cella, dopo una notte trascorsa in preghiera. Egli affrettava sempre il passo se si trovava per strada quando era prossima la celebrazione della Liturgia delle Ore in comunità, dicendo: "Io non voglio mancare quando tutti i frati arrivano nel coro per pregare". Se qualcuno dei collaboratori gli ricordava il servizio ai poveri, mentre era in preghiera davanti all'Eucarestia, egli rispondeva con semplicità: "Sarebbe un grand'errore che, stando esposto Nostro Signore nella nostra Chiesa, non vi fosse qualche sacerdote ancora ad adorarlo". Dopo aver celebrato la messa, padre Angelo si chiudeva in un particolare silenzio e non voleva essere disturbato, dicendo ai collaboratori: "Fatemi la carità di non farmi avvicinare nessuno, perché mi sono comunicato. Coloro che vogliono fare delle chiacchiere, e non fanno o non vogliono sapere cosa si diventi quando uno si è comunicato, dovrebbero considerare che in noi c'è Colui che ha creato tutto". L'Eucaristia, infatti, non è semplicemente un evento con due protagonisti, un dialogo tra Dio e me. La comunione eucaristica tende a una trasformazione totale della propria vita. Con forza spalanca l'intero io dell'uomo e crea un nuovo noi (cfr. Joseph Ratzinger, La Comunione nella Chiesa, pagina 80).
Padre Angelo dedicava tanto tempo alla confessione dei penitenti, all'ascolto e al consiglio spirituale. Molti nobili e molti ricchi mercanti si rivolgevano a lui per un consiglio e lo stesso Pontefice lo inviò più volte a sanare conflitti e risolvere delicate questioni. Diventava però molto intransigente al momento di dedicarsi alla preghiera: "Quando sono al servizio di Dio, non voglio essere disturbato da nessuno". Sembra strano che un uomo così sensibile, così attivo, sempre pronto a dare aiuto, diventi tanto determinato quando sta pregando. Scrive Benedetto XVI nell'enciclica Deus Caritas est: "Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell'emergenza e sembra spingere unicamente all'azione... Il tempo dedicato a Dio nella preghiera non solo non nuoce all'efficacia e all'operosità dell'amore verso il prossimo, ma ne è in realtà l'inesauribile sorgente" (numero 36). La frase più celebre di padre Angelo: "Chi cerca Iddio, deve andare a cercarlo tra i poveri", diviene così la possibile sintesi di ciò che il Papa ha più volte espresso nel suo magistero. Infatti, sempre nell'enciclica Deus Caritas est, Benedetto XVI scriveva: "Se il contatto con Dio manca del tutto nella mia vita, posso vedere nell'altro sempre soltanto l'altro e non riesco a riconoscere in lui l'immagine divina. Se però nella mia vita tralascio completamente l'attenzione per l'altro, volendo essere solamente "pio" e compiere i miei "doveri religiosi", allora s'inaridisce anche il rapporto con Dio. Solo la mia disponibilità ad andare incontro al prossimo, a mostrargli amore, mi rende sensibile anche di fronte a Dio. Solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama. Amore di Dio e amore del prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento" (numero 18). Padre Paoli dice: "In questi poveri io riconosco il maggior personaggio che vi sia, cioè Nostro Signore Gesù Cristo; pertanto quando sono impegnato in servizio di questo gran Signore non devo dar udienza ad altre persone". Egli si dedica totalmente al Signore sia quando prega, sia quando serve i poveri.
Si potrebbe narrare ancora molto della vita del beato: la sua esperienza di consigliere spirituale di Innocenzo xii o di Clemente xi, che volevano crearlo cardinale (rifiutò, perché temeva di dover abbandonare i poveri). La sua devozione verso i martiri: a Clemente xi chiese con insistenza il permesso di murare personalmente le arcate del Colosseo, per impedire che i cavalli calpestassero le pietre su cui i primi testimoni della fede avevano sparso il loro sangue. La sua visita alle carceri: voleva incontrare spesso i detenuti, per predicare il perdono divino, esortarli alla conversione e portare un po' di pane. Come spesso accade leggendo la biografia di grandi figure, viene spontaneo chiedersi: padre Angelo può essere un modello per i battezzati, per i sacerdoti, per i religiosi di oggi, di questo nostro tempo? Se la domanda è più che lecita, ripercorrendo la sua biografia, la risposta diviene ovvia esaminando la situazione attuale della nostra società e guardando i frutti della sua opera.
(©L'Osservatore Romano - 25 aprile 2010)