Non so molto di teologia, ma ho avuto la fortuna di conoscere Hans Urs von Balthasar, il grande teologo di Basilea. Certe conversazioni con lui furono l’inizio di una scoperta affascinante, che mi permise di capire meglio quello che alcuni incontri e alcune amicizie mi avevano fatto e continuano a farmi sperimentare. Proverò a raccontare, precisando che non si tratta di nulla di diverso, nella sostanza, dal catechismo cattolico. Balthasar leggeva l’avvenimento della Croce e della Resurrezione di Cristo come una grande confessione, proprio nel senso sacramentale. Cristo ha preso su di sé ogni peccato, ogni forma di male che ognuno di noi, ogni uomo venuto al mondo ha commesso e commetterà. L’ha fatto diventare suo e l’ha “confessato”, messo davanti alla misericordia del Padre. La Risurrezione è il momento dell’assoluzione, dell’annientamento di tutto quel male. Questo significa che nella storia è accaduto ed è presente qualcosa che è più grande di ogni peccato e di ogni male. È “presente” perché il Risorto continua a esserlo («Sarò con voi ogni giorno, fino alla fine del mondo»), misteriosamente, attraverso la Chiesa.
Cosa significa? Che quel modo di essere guardati e trattati da Cristo che il traditore Pietro, il “mafioso” Zaccheo, la “escort” Maddalena e tanti altri (così com’erano, prima di esserne trasformati) hanno vissuto sulla propria pelle, continua a essere sperimentabile, perché i cristiani ne sono investiti senza alcun merito loro e ne diventano continuatori nel trasmetterlo. I cristiani? Con tutte le loro miserie? Sì, perché, come diceva don Giussani, «il santo non è l’uomo che non cade mai, ma quello che, cadendo mille volte al giorno, mille volte si rialza guardando Cristo che lo perdona e lo riprende per mano, come un bambino piccolo con la madre». «Dio si è commosso per il nostro niente» ha scritto sempre Luigi Giussani, «Non solo: Dio si è commosso per il nostro tradimento, per la nostra povertà rozza, dimentica, traditrice, per la nostra meschinità. È una compassione, una pietà, una passione. Ha avuto pietà di me».
Questo è il mistero della carità di Dio, della sua passione infinita per la sua creatura, questo è il contenuto della Pasqua. Come fa il cuore dell’uomo a non riempirsi di una letizia che nulla, neanche il peggior male (quello che faccio io), può più scalzare? Troppo facile? No, bisogna provare, perché questo è l’unico modo che fa provare dolore per il male che si fa, dolore senza disperazione, ma dolore vero, che col tempo fa anche cambiare, più di ogni nostro progetto etico di miglioramento. Benedetto XVI: «Convertirsi a Cristo significa in fondo proprio questo: uscire dall’illusione dell’autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza, esigenza del suo perdono». La Chiesa, cari amici, esiste per vivere e ricordare questo. E nessuno scandalo, neppure quello della pedofilia, le farà cambiare natura.
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