Con i toni leggeri della commedia, il regista Gidi Dar in “Ushpizin" (2005), inedito in Italia, racconta la storia di una coppia di ebrei ortodossi che accolgono in casa come graditi ospiti – ushpizin è infatti l’antico termine aramaico per ospite – due malviventi scambiati per inviati di Dio. L’esilarante gioco degli equivoci permetterà di scoprire, sorridendo, il mondo della comunità ortodossa guardata spesso con sospetto dai laici per la rigidità di alcune sue regole. Come ha affermato il regista: «Il più interessante risultato artistico e politico sarebbe quello di condurre il mio pubblico lungo un percorso che lo porti a confrontarsi con un mondo che non conosce e lo costringa a identificarsi – potere del cinema! – con qualcosa che lui di solito odia o da cui si sente estraneo».
LA FESTA DELLE CAPANNE E IL MESSIA
La festa pare avere proprio uno stretto collegamento con l'attesa messianica che i Vangeli sanciscono compiuta in Gesù di Nazaret.
Il perché è forse il desiderio del ritorno di tempi mitici, del regno di Davide proiettato in un'instaurazione eterna col rinnovamento dell'alleanza in un Regno universale, perché al tempo del Messia tutti i gentili giungeranno a riconoscere l'unico vero Dio e per i rabbini Succot è una festa che si rivolge anche ai gentili.
Nel Tempio venivano offerti in sacrificio settanta tori per le (ritenute) settanta nazioni del mondo che nell'era messianica tutte saliranno a Gerusalemme a celebrare sukkot per affermare la loro fede in Dio a guida del mondo.
Dice così il profeta Isaia: "Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri. Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra." (Is. 2,2-4)
È importante ricordare che ognuna delle sette sere di Sukkot, a turno sono invitati nella capanna idealmente come ospiti personaggi biblici (ushpizin in aramaico) Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, Aronne, Elia, Davide ... sette pastori fedeli, ma se non si invita anche dei poveri alla mensa gli ospiti spirituali se ne vanno sdegnati per mancanza d'ospitalità.
L'ultimo ospite è Davide, simbolo del re Messia.
Il profeta Zaccaria, con chiaro riferimento a ta festa nel Capitolo 14 propone:
- 1 - Ecco, viene un giorno per il Signore;
- 5 - Verrà allora il Signore mio Dio e con lui tutti i suoi santi;
- 8 - In quel giorno acque vive sgorgheranno da Gerusalemme;
- 9 - Il Signore sarà re di tutta la terra;
- 16 - Allora fra tutte le genti che avranno combattuto contro Gerusalemme, i superstiti andranno ogni anno per adorare il re, il Signore degli eserciti, e per celebrare la solennità delle capanne.
La comunità ebraica ed il singolo fedele, così, chiamati a fare bilancio, fatta penitenza, confessati i peccati, perdonati, fanno festa ed abitano nelle capanne come giusti riportatati nel paradiso terrestre.
Il profeta Isaia pensa ai tempi messianici quando dice: "Ma infine in noi sarà infuso uno spirito dall'alto; allora il deserto diventerà un giardino e il giardino sarà considerato una selva. Nel deserto prenderà dimora il diritto e la giustizia regnerà nel giardino. Effetto della giustizia sarà la pace, frutto del diritto una perenne sicurezza. Il mio popolo abiterà in una dimora di pace, in abitazioni tranquille, in luoghi sicuri." (Isaia 32,15-18)
Quelle abitazioni tranquille sono gli skenai , le capanne di rami, i tabernacoli, le sukkot della festa delle capanne, segno delle dimore dei giusti nei tempi messianici.
Le capanne di nuvole
Durante la festa di Sukkot si abita per sette giorni in capanne precarie fatte di frasche, rami di palma e canne: si mangia in esse e, clima permettendo, ci si dorme. Per una settimana si esce dalla propria casa e ci si trasferisce nella sukkà , nella capanna. L'origine di questa festa è nella Torà, dove è scritto: Per sette giorni abiterete nelle capanne. Ogni cittadino d'Israele abiterà nelle capanne, affinché le vostre generazioni sappiano che Io, il Sig-ore D-o vostro, ho fatto risiedere i figli d'Israele nelle capanne quando li feci uscire dalla terra d'Egitto " ( Levitico 23: 42-43). La festa di Sukkot è quindi collegata con l'uscita dall'Egitto. Se è così, si sono chiesti i nostri Maestri, perché Sukkot capita in autunno invece che in primavera, la stagione in cui gli ebrei uscirono dall'Egitto? Per quale motivo l'ordine di costruirsi le capanne non si mette in pratica a Pesach, la festa primaverile che ricorda, appunto, l'uscita dall'Egitto? Si risponde che in primavera, quando arriva la bella stagione, è normale che la gente esca dalle proprie case e vada a vivere all'aperto e al fresco, al riparo di semplici capanne. D'autunno, invece, colui che va ad abitare sotto una capanna rende chiaro a tutti che l'unico motivo per cui ci sta andando è per adempiere un comandamento divino.
Il Chidà (il famoso rabbino Chayim Yosef David Azulai, nato nella terra d'Israele ma venuto a vivere in Italia, a Livorno, nella seconda metà del '700) scrisse che uno dei significati della festa di Sukkot è sottolineare la precarietà di questo mondo e della nostra vita. Il mondo in cui viviamo non è che una capanna provvisoria e instabile. Non è un caso che Sukkot venga a distanza di soli cinque giorni dopo Kippur, il digiuno d'espiazione, che a sua volta capita dieci giorni dopo Rosh ha-Shanà, il capodanno che è anche il Giorno del Giudizio. Nel capodanno il giudizio è emesso per ciascuno di noi, e questo è poi suggellato nel giorno di Kippur; dunque, uscire dalla propria casa per andare ad abitare in una capanna è come dire: "Siamo pronti ad andare in esilio, siamo pronti ad accettare questo decreto, se così è stato stabilito nel Tribunale celeste, sia come singoli che come collettività".
Abbiamo detto sopra che secondo la Torà il motivo per cui si abita nelle sukkot per sette giorni è per ricordare che il Sig-ore fece stare gli ebrei, usciti dall'Egitto, sotto le capanne, durante i 40 anni di peregrinazioni nel deserto del Sinai. A questo proposito c'è un'interessante discussione nel Talmud ( Sukkà 11b) fra Rabbi Eliezer e Rabbi Akivà: di che erano fatte le capanne nel deserto? Secondo un'opinione le sukkot del deserto erano delle vere e proprie capanne, fatte di canne e frasche. Secondo l'altra opinione, invece, le sukkot erano capanne fatte di "nuvole", di nuvole della Gloria Divina ( ananè ha-Kavòd ). In altre parole, secondo la prima opinione noi oggi ci costruiamo una capanna di frasche per ricordare le capanne di frasche che i nostri antenati si fecero nel deserto; secondo l'altra opinione noi, con la capanna di frasche che facciamo oggi, ci ricordiamo della sukkà fatta di nuvole, ci ricordiamo della protezione divina che accompagnava gli ebrei. Queste due opinioni non sono in realtà esclusive l'una dell'altra, tanto è vero che non si sa esattamente neanche chi dei due rabbini abbia dato questa o quella interpretazione. In effetti, la sukkà possiede sia una valenza materiale che una spirituale. Sicuramente gli ebrei nel deserto abitavano sotto capanne precarie fatte di materia, ma senza la protezione delle sukkot fatte di "nuvole divine" difficilmente sarebbero potuti sopravvivere.
Una delle caratteristiche specifiche della cultura ebraica è quella di non considerare il dominio dello spirito separato e scisso da quello della materia, bensì di fonderli insieme, di creare una sintesi armoniosa in cui il materiale è compenetrato dallo spirituale e viceversa. È questo un aspetto che ricorre in quasi tutte le mitzwot , ma che risalta in modo particolare nella festa di Sukkot.
La mitzwà di abitare nella sukkà coinvolge tutta una serie di operazioni estremamente fisiche e materiali, con una notevole dose di lavoro manuale necessario per costruire la capanna, come segare assi di legno, inchiodarle, martellare ecc. Una volta fatta la sukkà , si adempie alla mitzwà entrando fisicamente, con tutto il corpo, dentro la sukkà e mangiando al suo interno. È quindi forse la mitzwà più materiale fra tutti i precetti della Torà, quella che più coinvolge il corpo e la materia. D'altra parte, però, lo scopo di questa mitzwà è di "sapere": come dice il verso della Torà citato sopra, l'ordine di abitare nelle sukkot viene dato affinché le generazioni future sappiano che gli ebrei usciti dall'Egitto risiedettero per 40 anni sotto le capanne.
Altre mitzwot hanno come scopo il "ricordare", come la festa di Pesach, il precetto del talled e dei tefillin e alcune altre. Ma Sukkot è l'unica mitzwà , oltre allo Shabbat, il cui scopo è "sapere". È interessante notare che di Shabbat, per definizione, ci si deve astenere dall'operare nel mondo della materia, dal "costruire"; di Sukkot, al contrario, bisogna avere a che fare con la materia e costruire. Entrambe queste mitzwot hanno come scopo il "sapere": lo Shabbat, il giorno della non-materia, serve per sapere che D-o creò il mondo della materia; Sukkot, la festa della materia, ha come scopo il sapere che D-o agisce nella storia e nel mondo dello spirito.
La materia serve per raggiungere la consapevolezza intellettuale di quanto successe più di 3000 anni fa, per sapere che noi discendiamo, in senso culturale e non necessariamente biologico, da coloro che furono liberati dalla schiavitù d'Egitto. La materia è un mezzo per un'identificazione esistenziale con la nostra storia, per entrare nei "panni" e nel corpo, per così dire, di coloro che, schiavi, furono liberati e condotti da Mosè verso la terra promessa.
Ottobre 2000 - Pubblicato su Shalom
Feste ebraiche – Sukkot
Etimologia
La parola "sukkot" è il plurale della parola ebraica "sukkah" che significa, per l'appunto capanna. Il termine sukkah nel linguaggio comune indica proprio la capanna che viene costruita appositamente per la celebrazione della festa.
Significato della festa
La festa di Sukkot ricorda la vita del popolo di Israele nel deserto durante il loro viaggio verso la terra promessa, la terra di Israele. Durante il loro pellegrinaggio nel deserto essi vivevano in capanne ("sukkot"). La Torah ordina agli ebrei di utilizzare, per la celebrazione della festa, quattro specie di vegetali: il "lulav", (un ramo di palma), l'"etrog" (un cedro), un ramo di mirto ed un ramo di salice. Il cedro viene impugnato separatamente dai rami che invece sono legati assieme.
Liturgia
I primi due giorni di Sukkot vengono celebrati come giorni di festa piena. I cinque giorni successivi, invece sono di mezza festa (Hol Hamo'ed) durante i quali vengono comunque osservati i precetti specifici della festa. Il settimo giorno (l'ultimo dei giorni di mezza festa) è chiamato "Hoshanah Rabbah" e deve essere osservato in maniera particolare. L'ultimo giorno, l'ottavo, viene celebrato come fosse una festa a sé e presenta delle preghiere e delle usanze particolari (vedi più avanti).
■ Hoshanah Rabbah – Il settimo giorno di Sukkot – הושענא רבא
■ Shemini Atzeret – L'ottavo giorno di Sukkot – שמיני עצרת
■ Simchat Torah – L'ultimo giorno di Sukkot – שמחת תורה
In Israele Sukkot dura otto giorni, incluso il "Shemini Atzeret". Al di fuori di Israele (la cosiddetta Diaspora), Sukkot dura nove giorni. in questo caso l'ottavo giorno è "Shemini Atzeret" mentre il nono è detto Simchat Torah. In Israele i festeggiamenti legati a Simchat Torah si svolgono durante il giorno di Shemini Atzeret.
In questo giorno, Simchat Torah, durante il servizio in sinagoga, viene letta l'ultima porzione della Torah. Nello Shabbat successivo, gli ebrei ricominciano la lettura della Torah dalla prima porzione, la prima parte del libro della Genesi, chiamata Bereshit. Il servizio è particolarmente gioioso e sono consentite, e spesso attese, simpatiche variazioni al normale procedere delle funzioni. Mentre è tradizione di tutte le correnti ebraiche ballare con i rotoli della Torah intonando canzoni legate alla festività, è usanza italiana quella di lanciare dal matroneo sui danzanti (ed in particolare ai bambini) manciate di caramelle e dolcetti vari.
Nel calendario ebraico, Erev Sukkot (la sera di sukkot), la prima sera della festa, cade il 14 del mese di Tishri, così il primo dei giorni di Sukkot è il 15 di Tishri.
La festività nella Bibbia
"Sukkot" è la terza festa di pellegrinaggio durante cui tutti gli ebrei maschi sono obbligati a compiere un pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme. La celebrazione di questa festa comincia il quindicesimo giorno del mese di Tishri. Originariamente durava sette giorni, ma nel corso del tempo la sua durata venne estesa a nove giorni. Nella Torah viene chiamata (le denominazioni variano a dipendenza della traduzione):
■ Festa dei Tabernacoli (Levitico 23:34; Deuteronomio 16:13,16; 31:10; Zaccaria 14:16, 18-19; Esdra 3:4; 2 Cronache 8:13)
■ Festa del raccolto (Esodo 23:16; 34:22)
■ La festa (1 Re 8:2; Ezechiele 14:23; 2 Cronache 7:8)
■ La festa del Signore (Levitico 23:39; Giudici 21:19).
Nella letteratura ebraica posteriore viene chiamato dhag ("La festa").
Inizialmente era una festa a carattere agricolo; questo è evidente dal nome di "Festa del raccolto", dalle cerimonie che la caratterizzano, dalla stagione in cui viene celebrata: "Osserverai la festa della mietitura, delle primizie dei tuoi lavori, di ciò che semini nel campo; la festa del raccolto, al termine dell'anno, quando raccoglierai il frutto dei tuoi lavori nei campi." (Esodo 23:16)
"Celebrerai la festa delle capanne per sette giorni, quando raccoglierai il prodotto della tua aia e del tuo torchio; gioirai in questa tua festa, tu, tuo figlio e tua figlia, il tuo schiavo e la tua schiava e il levita, il forestiero, l'orfano e la vedova che saranno entro le tue città. Celebrerai la festa per sette giorni per il Signore tuo Dio, nel luogo che avrà scelto il Signore, perché il Signore tuo Dio ti benedirà in tutto il tuo raccolto e in tutto il lavoro delle tue mani e tu sarai contento." (Deuteronomio 16:13-15)
Si configura come un ringraziamento per i frutti del raccolto (vedi Giudici 9:27). Rappresentando la fine dei raccolti, è considerata come un ringraziamento alla natura per i frutti che ha donato nell'anno trascorso.
La Sukkah
Secondo la halakha la costruzione di una sukkah che il soffitto sia coperto di rami, chiamati s'chach, garantendo che il soffitto stesso permetta che almeno la metà della luce diurna entri creando al suo interno un effetto di ombra prevalente.
Il cibarsi presso la capanna indicato nel Deuteronomio, viene prescritto espressamente nel Levitico. Alle capanne viene attribuito un valore simbolico e vengono correlate con la sopravvivenza al deserto: "Dimorerete in capanne per sette giorni; tutti i cittadini d'Israele dimoreranno in capanne, perché i vostri discendenti sappiano che io ho fatto dimorare in capanne gli Israeliti, quando li ho condotti fuori dal paese d'Egitto." (Levitico 23:42-43) Viene qui indicato il motivo della trasformazione della festa da agricola a storica.
Hoshanah rabbah
Il settimo giorno di Sukkot è chiamato Hoshanah rabbah. Sebbene il nome alla festa venne attribuito più tardi (nel medioevo era chiamato Yom Kippur Hakatan o piccolo giorno di Kippur), la celebrazione quale festa a parte dal resto di Sukkot può essere datata all'epoca del Tempio di Gerusalemme.
Sebbene le manifestazioni di gioiosità legate alla Festa delle Capanne, che si esprimono in musiche e processioni di luci, siano in conflitto con le leggi dello Shabbat (anche se una parte di queste sono cadute con la distruzione del Tempio di Gerusalemme), intorno al 361 il patriarca Hillel ed i suoi seguaci, ritenendo Hosha'na Rabbah talmente importante e così in conflitto con le regole dello Shabbat, per prevenire la coincidenza tra la festa e lo Shabbat, non permisero alla luna nuova del mese di Tishri di cadere durante la domenica.
Tutte le cerimonie o i servizi di elogio o preghiera che appartenevano, o che appartengono ancora, agli altri giorni centrali della festa mentre il Tempio era in piedi, come Hallel e l'oscillazione del "lulav", o la seduta nella cabina, appartengono anche a Hosha'na Rabbah. Il mazzo di cinque rametti di salice non sostituisce in nessun modo il mazzo di due rametti di salice nel lulav.
Abudarham parla dell'uso di leggere il Pentateuco durante la notte di Hosha'na Rabbah, dal quale si sviluppa l'uso moderno di incontrarsi durante questa notte per leggere il Deuteronomio, i Salmi e brani dello Zohar, recitare alcune preghiere della Kabbalah e partecipare ad un rinfresco.
Prima del normale servizio della mattina i Sefarditi usano recitare delle preghiere chiamate selichot. In alcune località c'è l'uso di suonare lo Shofar durante le processioni.
In entrambe le tradizioni all'inizio del servizio mattutino, vengono inseriti i salmi dello Shabbat e durante le preghiere addizionali viene recitato l'"edushah" solo durante i giorni di mohed. Al termine di questa preghiera vengono estratti tutti i Rotoli (serfarim in ebraico) dall'Arca (durante i sei giorni precedenti ne viene estratto uno solo, nessuno durante lo Shabbat). Il lettore, muovendosi in circolo al perimetro della sinagoga, è seguito da uomini che imbracciano i rotoli. Dopo di loro alcuni uomini reggono il Lulav. Durante questo giorno e quelli precedenti, cominciano a cantare "Hosha'na! per Tuo interesse, nostro D-o! Hosha'na! per Tuo interesse, nostro Creatore!" etc. e iniziano i sette giri di processione. I brani intonati durante la processione sono lievemente diversi nelle due tradizioni Sefardita e Askenazita e molto sono cambiate rispetto a quelle tramandate nel Mahzor Vitry (datate 4968 = 1208 E.V.). I Sefarditi fanno riferimento ad Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, Aaron, Fineas e David. In seguito il Lulav viene messo da parte, tutti i partecipanti sollevano un ramo di salice ed intonano in coro "ol mebasser, mebasser we-omer" esprimendo le speranze nell'era Messianica.
Le composizioni recitate durante o in seguito alla processione consistono generalmente di 32 versetti ognuno, in ordine alfabetico. "Hosha'no" viene ripetuto o sottinteso al termine di ognuna.
Un comandamento presente nel Levitico recita: "Il primo giorno prenderete frutti degli alberi migliori: rami di palma, rami con dense foglie e salici di torrente e gioirete davanti al Signore vostro Dio per sette giorni" (Levitico 23:40). La modalità per comporre queste specie non viene indicata e dà origine a parecchie diverse interpretazioni in epoca successiva. I Sadducei ed i Karaiti sostennero che essi dovessero essere intesi come materiali per la costruzioni delle capanne così come appare in Nehemia 8:14-18, mentre i loro rivali sostennero che dovessero essere portati in processione. Inizialmente questi rami potevano essere usati nei balli delle feste così sembrava naturale utilizzarli per adornare se stessi con primizie e ghirlande. Da questo supposero che dovessero essere tenute in mano e da questo nacque probabilmente il Lulav.
L'osservanza ebraica in seguito all'esilio
Dopo il ritorno in Israele, al termine dell'esilio in Babilonia, gli ebrei ripresero l'osservanza della festa di Sukkot. Notizia ne può essere trovata in Esdra 3:4: "Celebrarono la festa delle capanne secondo il rituale e offrirono olocausti quotidiani nel numero stabilito dal regolamento per ogni giorno." Una descrizione è presente in Nehemia 8:14-18: "Trovarono scritto nella legge data dal Signore per mezzo di Mosè, che gli Israeliti dovevano dimorare in capanne durante la festa del settimo mese. Allora fecero sapere la cosa e pubblicarono questo bando in tutte le loro città e in Gerusalemme: ‹Andate al monte e portatene rami di ulivo, rami di olivastro, rami di mirto, rami di palma e rami di alberi ombrosi, per fare capanne, come sta scritto.› Allora il popolo andò fuori, portò i rami e si fece ciascuno la sua capanna sul tetto della propria casa, nei loro cortili, nei cortili della casa di Dio, sulla piazza della porta delle Acque e sulla piazza della porta di Efraim. Così tutta la comunità di coloro che erano tornati dalla deportazione si fece capanne e dimorò nelle capanne."
Sebbene non venga fatta menzione dei sacrifici, viene data importanza particolare al mangiare nelle capanne tanto che l'autore aggiunge nel versetto successivo: "Dal tempo di Giosuè, figlio di Nun, fino a quel giorno, gli Israeliti non avevano più fatto nulla di simile." La deduzione che se ne può fare è che con la celebrazione della festa presso il Tempio parte delle pratiche persero di significato, lasciando alla festa solo il significato di ricordo della vita nelle tende durante la fuga dall'Egitto. Secondo la versione che Neemia riporta della celebrazione, le Leggi venivano lette tutti i giorni e l'ottavo veniva celebrato in assemblea solenne.
Secondo Zaccaria 14:16-19, Sukkot assumerà valore di festa universale nell'era messianica e tutte le nazioni sopravvissute compiranno tutti gli anni un pellegrinaggio a Gerusalemme per celebrare la Festa. Sukkot è associata anche alla garanzia della pioggia per la stagione successiva, idea sviluppatasi nella letteratura ebraica posteriore.
Un nome per una località
Il nome "sukkot" appare ripetute volte nella Torah come nome di località.
■ Gli Israeliti partirono da Ramses alla volta di Succot (Esodo 12:37); nome civile che indica la località di Pithom.
■ Quando Mosè divise la terra attribuì alla tribù di Gad nella valle: Bet-Aram e Bet-Nimra, Succot e Zafon, il resto del regno di Sicon, re di Chesbon. Il Giordano era il confine sino all'estremità del mare di Genesaret oltre il Giordano, ad oriente (Giosuè 13:27). Qui Giacobbe (Genesi 32:17,30; 33:17), di ritorno da Padan-aram dopo il suo dialogo con Esaù, costruì la casa per sé ed eresse una capanna per il suo bestiame.
■ Poi Gedeone, figlio di Joas, tornò dalla battaglia per la salita di Cheres. Catturò un giovane della gente di Succot e lo interrogò; quegli gli mise per iscritto i nomi dei capi e degli anziani di Succot: settantasette uomini. Poi venne alla gente di Succot e disse: "Ecco Zebach e Zalmunna, a proposito dei quali mi avete insultato dicendo: Hai tu forse già nelle mani i polsi di Zebach e Zalmunna perché dobbiamo dare il pane alla tua gente stanca?". Prese gli anziani della città e con le spine del deserto e con i cardi castigò gli uomini di Succot (Giudici 8:13-16).
■ Il re li fece fondere nella valle del Giordano, in suolo argilloso, fra Succot e Zartan (1 Re 7:46).
¿Quiénes son y que son los “Ushpizin”?
Ushpizin en Arameo quiere decir “huéspedes.” Traducido al español, la palabra pierde algo de su misterio y algo de su sentido, estos “huéspedes” son de hecho absolutamente misteriosos (por lo menos hasta que aprendemos más sobre ellos) y de otro mundo (por lo menos hasta que les hagamos lugar en nuestro mundo). Utilizamos el término Arameo porque nuestra fuente original sobre estos huéspedes místicos es el Zohar, el mayor trabajo cabalístico escrito en esta lengua mística.
Hay siete “huéspedes” que vienen a visitarnos en la sucá, la choza cubierta de ramas en la cual comemos nuestras comidas a lo largo del festival de Sucot -- uno para cada uno de los siete días del festival. Los huéspedes son una parte importante del hogar judío a lo largo del año --había incluso judíos que no participaban de una comida en su propio hogar al menos que hubiera un huésped, preferiblemente un necesitado, con el cual compartir la comida--pero especialmente en el Shabat, y más todavía en las festividades judías (Pesaj, Shavuot, Sucot, Rosh Hashaná, etc.) en las festividades hay una Mitzvá especial (el mandamiento divino), “Y se regocijara en su festival. “(Deuteronomio 16:14), y, nuestro Sabios explican, la única alegría verdadera es alegría compartida. De hecho, el verso por completo lee: “Y se regocijaran en sus festivales --tu, tu hijo, tu hija, tu criado, tu sierva, el Levita, el extranjero, el huérfano, y la viuda, que están dentro de tus ciudades”. En las palabras de Maimónides (Leyes de los festivales 6:18), “cuando uno come y bebe, debe también alimentar al extranjero, al huérfano, la viuda, los otros desafortunados. Pero quién traba las puertas de su patio, y come y bebe con sus hijos y esposa pero no alimenta a los pobres y las almas necesitadas--ésta no es la alegría de la Mitzvá sino la alegría de su vientre… “
Si los huéspedes son integrales a la alegría del festival, mucho más en Sucot. Sucot es el festival de la unidad judía; de hecho, el Talmud indica eso, “es posible que todos los judíos se sienten en un sucá.” Si bien esto es logísticamente difícil de lograr, por lo menos, es posible en teoría. Abarrotamos a tantos huéspedes como sea posible en nuestra sucá, demostrando que nos preponemos a poner en ejecución la Sucá comunal judía según nuestra capacidad, cada uno en nuestras casas. Hay incluso una historia de cierto Rebe Jasídico que, porque él carecía de un huésped, el patriarca Abraham rechazó entrar en su sucá (porqué Abraham estaba allí—lo veremos más adelante).
Y ahora vamos a hablar de los Ushpizin. Ya que llenamos nuestra sucá de huéspedes terrenales, merecemos recibir a los siete huéspedes celestiales, los siete “padres fundadores” del pueblo judío: Abraham, Isaac, Jacob, Moisés, Aarón, José y David. Mientras que la visita de los siete Ushpizin en nuestra sucá en cada una de las siete noches y días de Sucot, cada “huésped” celestial se asocia específicamente a uno de los siete días del festival, y es el “conductor” o dominante ushpiza para esa noche y día.
Los Cabalistas enseñan que estos siete líderes--mencionados en nuestra tradición como los “siete pastores de Israel”--corresponden a las siete Sefirot, o cualidades divinas, que categorizan la relación de Di-s con nuestra realidad, y que se reflejan en los siete componentes básicos de nuestro carácter (hombre que es creado “en la imagen de Di-s”).
Como cada “huésped” celestial visita nuestra sucá, él nos insufla con la cualidad particular que lo define. Ésta es la razón más profunda por la que son llamados “pastores de Israel”: como el pastor que proporciona alimento a su rebaño, estos siete líderes nos alimentan de su esencia espiritual: Abraham nos alimenta amor, la autodisciplina de Isaac, la armonía de Jacob y la verdad, y así sucesivamente.
Y mientras que estas siete grandes almas son nuestros “pastores” durante todo el año, en los siete días de Sucot su presencia en nuestras vidas es más pronunciada y revelada. Pues al entrar en la “vivienda temporal” de la sucá, liberándonos de la dependencia de las comodidades materiales del hogar y el materialismo, nos encontramos en un lugar en el cual nuestra espiritualidad es más revelada y accesible. Este es el momento, en el que los Ushpizin nos visitan, y nos ayudan a conectarnos con las siete dimensiones de la “divinas” de nuestra propia alma con su fuente celestial en las divinas sefirot, alimentándonos, nutriéndonos y fortificándonos nuestro lado espiritual por el año por venir.
Las siete sefirot o las energías divinas que los Ushpizin nos nutren son:
1r Día: Jesed -- la cualidad de “benevolencia” o” Amor“—personificado por Abraham.
2do Día: Guevura--“Alojamiento,” y “disciplina”—incorporado por Isaac.
3ro Día: Tiferet--"Belleza," "Armonía“y”Verdad“--la Sefira de Jacob.
4to Día: Netzaj--“Victoria” y “resistencia”--Moisés.
5to Día: Hod--“Esplendor” y “Humildad"--Aarón.
6to Día: Iesod--"Fundación" y "Conexión"--Joseph.
7th Día: Maljut--"Soberanía," "Receptividad" y "Liderazgo"-- David.