DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Il mistero del Male. La luce e il suo contrario. di Inos Biffi

Secondo la Parola di Dio le origini del male antecedono l'apparizione dell'uomo, il quale, infatti, appena creato, si trova già di fronte a un intendimento astuto e ingannevole, a una "invidia" - il libro della Sapienza parla dell'"invidia del diavolo" (2, 24) - che lo istiga al sospetto e alla rivolta nei confronti del Creatore.
Paolo è persuaso che "la nostra battaglia non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male" (Efesini, 6, 12).
In ogni caso, la Genesi ci fa risalire a un peccato angelico precedente la storia dell'uomo e spaventosamente influente su di essa.
Il mondo degli angeli in generale e, in particolare, il peccato degli angeli - che incentivò molto, come tutta l'angelologia, la riflessione, per altro acuta e preziosa, dei medievali - ci è affatto sconosciuto. E, tuttavia, nella vita di Gesù incontriamo angeli infervorati e gioiosi nel servirlo, e demoni ostili che tentano di sedurlo, e di stornarlo dal disegno divino.
Dove c'è Gesù, là c'è l'avversione dei demoni. Considerato il loro comportamento nei confronti di Cristo, ci sembra di non essere lontani dal vero a ritenere che il loro peccato "originale" fu l'invidia e il fastidio anzitutto nei confronti dell'eterna elezione di Gesù, predestinato a essere il Signore in cielo e sulla terra.
Prima che l'uomo fosse creato, essi si sono ribellati alla signoria del Figlio di Dio fatto uomo e risuscitato da morte. Ma anche gli angeli sono stati creati "per mezzo" del Crocifisso risorto, "in lui" e "in vista di lui" (cfr. Colossesi, 1, 16). Il suo "nome", ricevuto per la "morte di croce", è "al di sopra di ogni nome"; e in tale nome ogni ginocchio è chiamato a piegarsi, "nei cieli, sulla terra e sotto terra" e ogni lingua a proclamare: "Gesù Cristo è il Signore!", a gloria di Dio Padre (cfr. Filippesi, 2, 8, 11). Tutta la grazia esistente nell'ordine scelto da Dio è proveniente da Gesù redentore. Anche la grazia degli angeli, perduta da quelli che l'hanno rifiutata.
Indubbiamente, ci risulta misterioso un simile ordine, che include questo esercizio diabolico della libertà, così come restiamo impressionati dalla forza del demonio, se pensiamo che soltanto il Figlio di Dio, che lo ha definito "Principe di questo mondo", nell'ora stessa della sua esaltazione sulla croce, ha avuto il potere di gettarlo fuori (Giovanni, 12, 31-32).
E tuttavia, su questa considerazione non dobbiamo troppo indugiare, anche se, per così dire, il "rovescio" di questo disegno ora non manca di suscitare sconcerto. Ad attrarre la nostra ammirazione dev'essere invece il "diritto" di tale disegno, ossia l'umanità gloriosa di Gesù, che viene prima di tutto e come ragione di tutto, nel quale siamo stati mirabilmente progettati e voluti, e che nella sua risurrezione è apparso il vincitore dei demoni. Come scrive san Paolo: "Dio, avendo privato della loro forza i Principati e le Potenze, ne ha fatto pubblico spettacolo, trionfando su di loro in Cristo" (Colossesi, 2, 15).
Ma la Parola di Dio ci rende noto anche un altro esercizio perverso della libertà, quello dei progenitori, che hanno ceduto alla suggestione del serpente. Ora tutti i loro discendenti vengono al mondo con l'eredità del peccato originale, ossia privi della giustizia o della grazia, e quindi difformi da Cristo.
Ancora una volta la ragione non sa nulla di questo peccato e della sua eredità. Essa non riesce né a sciogliere né a sopportare gli enigmi affliggenti del male. Alla filosofia non è nota la "terribile disgrazia originaria", come la nomina John H. Newman, che è la causa e l'inizio di ogni forma di male presente e attivo nella storia dell'uomo, a cominciare dal "salario del peccato" (Romani, 6, 23), la morte, nella quale tale disgrazia si consuma.
E, però, questa stessa situazione dell'uomo non è disperata, poiché Dio non solo non ha lasciato senza redenzione i figli di Adamo segnati da una colpa ereditata e incolpevole. Egli ha infatti "prevenuto", se così possiamo dire, la situazione dell'uomo, risultata intimamente ferita e discordante a motivo del peccato originale, predestinando il suo Figlio come redentore dello stesso Adamo e di tutti gli uomini suoi discendenti.
Da sempre Dio aveva riservato la grazia della croce di Cristo per la natura umana decaduta, e non solo perché cancellasse la macchia originale, ma anche perché fosse remissione di tutti i peccati, così che, dove aveva abbondato il peccato, sovrabbondasse la grazia (cfr. Romani, 5, 20). Il peccato, come opera dell'uomo, non potrà oltrepassare i confini della misericordia, che è opera di Dio.
Ora, la sostanza della "buona notizia" è proprio questa eterna decisione di Dio che la sua gloria e la gloria del Figlio risplendessero nel perdono dell'uomo, meritato ed elargito dal Crocifisso risorto, e che la comunione con Gesù assiso alla destra del Padre fosse il fine ultimo dell'uomo.
Senza dubbio, il Vangelo non annulla e non preserva l'esistenza da sofferenze inenarrabili, da avvenimenti assurdi e inevitabili, da situazioni inimmaginabili di violenza e perversità che deve subire e dietro le quali sembra talora di avvertire l'opera diabolica. Il credente non ne è preservato e non sorprendono il suo lamento e la sua reazione. La fede però lo rassicura che egli non è abbandonato a se stesso, che la sua pena non è solitaria e i suoi tormenti privi di senso e di valore, dal momento che in essi si stanno rinnovando e compiendo gli stessi "patimenti di Cristo" (Colossesi, 1, 24), il Figlio di Dio, che il Padre non ha risparmiato, ma ha "consegnato per noi tutti" (Romani, 8, 32).
Ma proprio in questa "consegna", in questa "stoltezza" e "impotenza" della croce, che sembra professare l'assenza, il disinteresse, il silenzio implacabile di Dio, Dio ha collocato la sua assoluta presenza e la sorgente stessa della risurrezione e della gloria.
La Pasqua di Gesù è la sua e la nostra vittoria su ogni forma di male, compresa la morte, che non è uno sparire ineluttabile, ma una comunione con la morte del Signore. Non ci deprime la colpa, visto che la conversione e la remissione di un solo peccatore spande in cielo una gioia maggiore di quella diffusa da tanti giusti (cfr. Luca, 15, 7); e non ci prostrano in avvilita disperazione le tribolazioni patite, nella speranza, con Gesù sulla croce, "sacramento" di speranza. "Ritengo - scrive Paolo - che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi" (Romani, 8, 18).


(©L'Osservatore Romano - 7 maggio 2010)