Solo chi vede il volto di Dio riflesso nel volto degli uomini può riconoscere nell'altro "un fratello in umanità, non un mezzo ma un fine, non un rivale o un nemico, ma un altro me stesso": è questa la forza di Benedetto XVI, che mette costantemente il suo magistero teologico "al servizio dei semplici e degli umili". Lo afferma il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, nel libro L'ultimo segreto di Fatima, scritto in forma di conversazione con Giuseppe De Carli (Rai Eri - Rizzoli, Milano, 2010, pagine 266, euro 18,50), sottolineando che "questo è il "metodo" di Dio, questo è quello che ha fatto la Vergine scegliendo a Fatima, come suoi collaboratori privilegiati, tre bambini innocenti". Alla vigilia del viaggio del Pontefice in Portogallo, pubblichiamo del volume il capitolo intitolato Passione per la verità.
Joseph Ratzinger è una personalità complessa. Lei ha lavorato con il cardinale Ratzinger alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Com'era lavorare col prefetto Ratzinger? E com'è lavorare con lui come Papa?
Aver lavorato per anni vicino a lui è stato per me un grande privilegio. Ho sperimentato che è un uomo di grande passione per la verità, di amore per la bellezza e di attenzione genuina per l'umanità. È un uomo del dialogo e dell'ascolto. Si presenta assai naturale e a suo agio con chiunque incontra. Da lui traspira una dimensione di gioia che è contagiosa, fondata sulla fiducia e sulla speranza. Papa Benedetto è un lavoratore instancabile. Come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede seguiva ogni atto e appunto di studio; curava poi la preparazione di una molteplicità di importanti pubblicazioni dottrinali e teologiche. Tra queste, forse la più significativa fu la redazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, portato a compimento nel 1992, e anche il Compendio dello stesso Catechismo, che uscì nel 2005. Sono due utilissimi strumenti per la missione di evangelizzazione e di insegnamento della Chiesa. Da quando è stato eletto Papa, ho potuto constatare che il Santo Padre continua a mantenere un ritmo ordinato per quanto riguarda la preghiera, lo studio, gli incontri, gli scritti, le allocuzioni. È un uomo che ama Dio in profondità, e che considera se stesso - proprio come ebbe a dire dal balcone della basilica di San Pietro subito dopo l'elezione - un "umile lavoratore nella vigna del Signore".
Quali sono gli obiettivi che Papa Benedetto XVI intende raggiungere?
Prima di tutto intende proclamare il messaggio cristiano e impegnarsi in un dialogo fruttuoso e aperto con il mondo. Fin dall'inizio del suo pontificato si è incamminato sulle orme del suo predecessore Papa Giovanni Paolo ii nell'attuazione del concilio Vaticano ii e ha ribadito di voler lavorare per la piena unità che Gesù ha chiesto nella preghiera per i suoi discepoli nell'Ultima Cena. Si impegna a incrementare un dialogo permanente con i seguaci delle altre religioni, e anche con quanti sono in cerca di risposte agli interrogativi più profondi della vita. Incoraggia tutti a promuovere i valori basilari per il vero bene della persona e della società. Infine, sarei reticente se non indicassi che, come ogni Papa, Benedetto XVI non è interessato a perseguire suoi obiettivi privati o personali. Egli è fermamente convinto di essere chiamato a far risplendere la luce di Cristo davanti agli uomini e alle donne di oggi. Non è la sua luce, ma quella di Cristo, che il Papa si augura che la gente possa veder risplendere in se stesso. In questo modo si presenta a tutti i sacerdoti come un esempio meraviglioso.
Benedetto XVI è impermeabile ai luoghi comuni. Ne ha parlato, tempo fa, anche su "L'Osservatore Romano". In questa sede vale la pena riprendere qualche sua riflessione. Lei conosce i consensi che circondano il Papa e anche qualche riserva, specialmente sulla fedeltà al concilio ecumenico Vaticano II e sulla riforma della Chiesa. I timori sono fondati?
Per capire le intenzioni e l'azione di governo di Benedetto XVI occorre rifarsi alla sua storia personale - un'esperienza variegata che gli ha permesso di attraversare la Chiesa conciliare da vero protagonista - e, una volta eletto Papa, al discorso di inaugurazione del pontificato, a quello alla Curia romana del 22 dicembre 2005 e agli atti precisi da lui voluti e firmati (e talora pazientemente spiegati). Le altre elucubrazioni e i sussurri su presunti interventi di retromarcia sono pura invenzione secondo un cliché standardizzato e ostinatamente riproposto. Vorrei solo citare alcune istanze del concilio Vaticano ii dal Papa costantemente promosse con intelligenza e profondità di pensiero: il rapporto più comprensivo instaurato con le Chiese ortodosse e orientali, il dialogo con l'ebraismo e quello con l'islam, con una reciproca attrazione, che hanno suscitato risposte e approfondimenti mai prima verificati, purificando la memoria e aprendosi alle ricchezze dell'altro. E inoltre mi fa piacere sottolineare il rapporto diretto e fraterno, oltre che paterno, con tutti i membri del collegio episcopale nelle visite ad limina e nelle altre numerose occasioni di contatto. Si ricordi la prassi da lui avviata dei liberi interventi alle assemblee del Sinodo dei vescovi con puntuali risposte e riflessioni dello stesso Pontefice. Non dimentichiamo poi il contatto diretto instaurato con i superiori dei dicasteri della Curia romana con i quali ha ripristinato i periodici incontri di udienza. Quanto alla riforma della Chiesa - che è soprattutto una questione di interiorità e di santità - Benedetto XVI ci ha richiamati alla fonte della Parola di Dio, alla legge evangelica e al cuore della vita della Chiesa: Gesù il Signore conosciuto, amato, adorato e imitato come "colui nel quale piacque a Dio di far abitare ogni pienezza", secondo l'espressione della lettera di san Paolo ai Colossesi. Vorrei, infine, sottolineare quanto ha scritto nella lettera ai vescovi cattolici il 10 marzo 2009 sulla remissione della scomunica dei vescovi consacrati dall'arcivescovo Lefebvre: "Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l'accesso a Dio. Non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell'amore spinto sino alla fine, in Gesù Cristo crocifisso e risorto (Giovanni, 13, 1). Il vero problema, in questo nostro momento della storia, è che Dio sparisce dall'orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l'umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più".
Può spiegare, magari anche con qualche esempio, come nella Chiesa di Benedetto XVI la libertà di pensiero e di ricerca vada di pari passo con la responsabilità della fede?
In relazione a questo tema - che è assai importante e centrale nella Chiesa, e che tocca altri binomi strettamente connessi, come fede e ragione, fede e cultura, scienza e fede, obbedienza e libertà - occorre riandare all'esempio della vita e dell'esperienza di Joseph Ratzinger, pensatore, teologo e maestro di dottrina riconosciuto, come ho appena detto. Non si può ovviamente scindere la sua prassi e il suo stile di governo dalle convinzioni più profonde che hanno nutrito e marcato il suo comportamento di studioso e di ricercatore. Nel suo lungo percorso di intellettuale, assai attivo sulle cattedre universitarie e sui media, si sono aggiunte successivamente due formidabili responsabilità: dapprima quella di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e poi quella di pastore supremo della Chiesa cattolica. È evidente che queste due funzioni hanno segnato gli insegnamenti e gli atti del cardinale e del Papa, orientandoli ancor più efficacemente, se così si può dire, a una interazione e a una sinergia fra la libertà fondamentale di pensiero e di ricerca e la responsabilità dell'atto di fede e dell'adesione di fede a Dio che si rivela, che parla e chiama a essere "nuova creatura". Non quindi una contrapposizione o una "secessione", ma una armonia da ricercare, da costruire con intelligenza d'amore. Tale è l'atteggiamento di Joseph Ratzinger quando parla a organismi come la Pontificia Commissione Biblica, la Commissione Teologica Internazionale, la Pontificia Accademia delle Scienze, la Pontificia Accademia per la Vita, e così via, oppure quando dialoga con singoli studiosi e pensatori. Chiede ai teologi di non essere sradicati dalla fede della Chiesa, per essere veri teologi cattolici. E vorrei ancora citare una bella pagina della Caritas in veritate, ove parla dell'impegno "per far interagire i diversi livelli del sapere umano in vista della promozione di un vero sviluppo dei popoli". Dopo aver spiegato che il sapere non è mai solo opera dell'intelligenza, e che il sapere è sterile senza l'amore, conclude: "Le esigenze dell'amore non contraddicono quelle della ragione. Il sapere umano è insufficiente e le conclusioni delle scienze non potranno indicare da sole la via verso lo sviluppo integrale dell'uomo. C'è sempre bisogno di spingersi più in là: lo richiede la carità nella verità. Andare oltre, però, non significa mai prescindere dalle conclusioni della ragione né contraddire i suoi risultati. Non c'è l'intelligenza e poi l'amore: ci sono l'amore ricco di intelligenza e l'intelligenza piena di amore" (n. 30).
(©L'Osservatore Romano 10-11 maggio 2010)