A Bologna sapevano che quando ci si metteva Italia Betti era imbattibile. Per almeno ottocento delle nuove tessere occorreva ringraziare lei e la sua fervente fede. Professoressa di matematica e fisica al liceo Galvani, pasionaria comunista e parente del sindaco della città, Italia non era di casa tra i banchi delle chiese; in tutta l’Emilia Romagna era nota per la sua capacità di battersi «con calore per portare nuovi aderenti al partito». Quando la donna si ammala di cancro, è la sorella minore, unica credente della famiglia, a convincerla a recarsi a San Giovanni Rotondo. Sono gli anni Cinquanta e padre Pio da Pietrelcina è già famoso oltre i confini della Puglia e dell’Italia. A lui si attribuiscono miracoli e guarigioni straordinarie. Per Italia Betti l’incontro è una folgorazione, lascia tutto e decide di trasferirsi a San Giovani Rotondo. La notizia non passa inosservata sui giornali di quella primavera: “Nota comunista bolognese si converte davanti a padre Pio” titola un trafiletto del Giornale dell’Emilia del 24 maggio 1950. Italia resterà nel paesino del Gargano fino alla morte. Perché a lei il frate con le stimmate non ottiene la guarigione. Non quella del corpo.
Oggi nella piccola chiesa di Santa Maria delle Grazie di San Giovanni Rotondo il confessionale di padre Pio è protetto da una teca di vetro, incorniciato da fototessere di ragazzi, donne, uomini, bambini. Alcuni ringraziano per il miracolo, altri lo domandano. Per terra un tappeto di bigliettini, lettere vergate su carta semplice o su quella prestampata con effigie del Santo predisposta dai cappuccini. In quel confessionale il frate di Pietrelcina ha passato la vita intera, a volte fino a 16 ore al giorno per «prosciogliere i fratelli dai lacci di Satana». Una processione ininterrotta di persone, soprattutto di donne. Capitava spesso che le rimandasse via quando si presentavano in minigonna (intendesi: qualunque sottana che scoprisse il ginocchio) o con le braccia scoperte. Su quelle donne padre Pio da Pietrelcina aveva un ascendente particolare. A loro dedicava una dedizione fervente e un’amicizia preziosa. Un’amicizia che non gli risparmiò sospetti e guai.
Le figlie spirituali
La corrispondenza con coloro che presto diverranno note come le sue figlie spirituali, padre Pio la intreccia tra il 1915 e il 1923, quando ha dai 28 ai 35 anni. Direttore spirituale egli diviene per un’inclinazione naturale alla comprensione e all’indirizzo delle anime (per la verità non soltanto femminili), che sono i suoi superiori a scorgere in lui e incoraggiare fin dall’inizio. A loro, e in particolare al suo padre spirituale padre Agostino, il frate di Pietrelcina chiede costantemente il permesso di portare avanti le corrispondenze, consigli nelle situazioni particolarmente ingarbugliate. Quando si diffonde la notizia delle stigmate (comparse il 20 settembre 1918), le lettere aumentano a dismisura. Il frate è duramente provato ma non manca mai una risposta, seppure breve, a chi gliela domanda; così come non dimentica di troncare le aspirazioni di curiosi e semplici fanatici, non temendo di mostrarsi schietto e diretto.
Ad Annita Rodote, 24enne sartina foggiana sempre in bilico tra l’ingresso in un monastero piuttosto che in un altro e a cui il frate ha più volte raccomandato prudenza, rimprovera indispettito di chiedere consiglio e poi far sempre di testa propria. Numerose sono le vocazioni claustrali che rallenta, addirittura sconsiglia. «Per lui la conversione – spiega padre Luciano Lotti, direttore del Centro Studi Padre Pio – è un cammino graduale. Era in grado di comprendere quale percorso fosse necessario per ogni persona: non chiedeva perfezione a chi gli stava intorno, ma non cedeva mai in rigore e discernimento. Così capitava che respingesse una donna che andava a confessarsi con la sottana sopra il ginocchio e un attimo dopo, incontrandola, fuori dalla chiesa la salutasse con affetto». A Raffaellina Cerase, istruita nobildonna foggiana e sua prima figlia spirituale in assoluto, consiglia di leggere i libri dei padri della Chiesa. Quando la donna risponde che in verità preferirebbe i romanzi le dà senza mezzi termini della “signorina capricciosetta”. Stana i trucchi femminili, le debolezze, mette in guardia da storture caratteriali. Sempre sconsiglia qualunque «esagerata agitazione», convinto che l’anima debba liberarsi dall’«eccessiva sollecitudine sia materiale che spirituale», poiché l’una e l’altra sono «la peste della vita spirituale». Nelle sue lettere padre Pio esorta a non dubitare mai di essere amate da Dio, non di un amore generico, impersonale, ma di un amore di scelta e di predilezione, il cui acme si raggiunge nel dolore: esso è la prova dell’amore di Dio verso la sua creatura.
Le vette spirituali di questi carteggi si mescolano ai rimproveri e alle incomprensioni tipiche di un rapporto che non astrae la vita spirituale da quella materiale. Nella corrispondenza con i membri della famiglia sangiovannese dei Campanile, padre Pio mostra una preferenza spiccata per Maria Anna detta Nina. Maestra, Nina è l’unica della numerosa famiglia che rifiuta l’invito della madre a salire su al monastero a vedere il «monaco santo». Dai cappuccini Nina ci salirà pochi mesi dopo, costretta dalla madre a informarsi dal frate sulla sorte del giovane fratello Pasqualino morto al fronte. Comincia così un rapporto di predilezione con padre Pio, una corrispondenza vivace. Alla donna volubile che lamenta di non trarre alcun giovamento dalla meditazione il frate rimprovera l’impazienza: «Tu ti accosti a meditare con una certa speciale alterazione congiunta con una grande ansietà di trovare qualche oggetto che possa far rimanere contento e consolato il tuo spirito; e questo basta a far che tu non trovi mai quel che cerchi e non posi la tua mente nella verità che mediti ed il tuo cuore vuoto di affetti. Figlia mia, sappi che quando uno cerca con gran fretta ed avidità una cosa perduta, la toccherà con le mani, la vedrà con gli occhi cento volte, e non se ne accorgerà mai». A Nina forse ancora più che alle altre figlie ripete con insistenza: “Confortare in Deo et viriliter age” (mostrati uomo e si conforti il tuo cuore). E ancora: «Di che ti lamenti dunque, o figliuola? Su dunque non bisogna essere più bambina e neppure donna, bisogna avere un cuore virile; e finché avrai l’anima ferma nella volontà di vivere e morire nel servire e nell’amare Dio, non ti turbare, né delle tenebre, né delle impotenze né di qualsiasi altro impedimento».
Istruite e lavoratrici
La chiamata a una statura umana virile e proprio per questo consapevolmente femminile passa dal richiamo al decoro della casa e della persona, all’educazione dei figli fino alla scelta di molte donne come sue collaboratrici. È il caso dell’avventura della Casa sollievo della sofferenza. In quell’ospedale lavorano dall’inizio tante donne, ce ne sono tre anche nel comitato promotore, che si riunisce per la prima volta il 9 gennaio 1940: Maria Antonietta Sonvico, Ida Seitz e la signora Mary Kisvarday. «Si era prima della seconda guerra mondiale – riprende padre Lotti – e allora le donne stavano in casa. Vederle impegnate in altro era assolutamente innovativo».
L’antropologia femminile di padre Pio emerge dunque nel rapporto con le donne che incontra durante la sua missione ed è basata sulle tre figure femminili che hanno guidato la sua vita: la nonna, la mamma e la Madonna. «Nella radicale tensione verso Dio che ha avuto fin da piccolo, padre Pio non ha mai perso la sua statura di uomo e per questo non ha mai perso l’essenzialità della figura della donna. “Aiutate questo Cireneo a portare la croce”, chiede alla figlia spirituale Girolama Longoni. Le donne sono infatti per lui coloro che aiutano il Cireneo. La figura femminile è colei di cui padre Pio ha bisogno perché celebri con lui la grandezza di Dio. In questo c’è una grande analogia con il rapporto che legò Francesco e Chiara». Per queste donne, spesso colte e istruite, il rapporto col frate diviene perno della vita, detonatore di un cambiamento che le investe fino a generare opere. Basti citare Elena Bandini, cofondatrice dell’ospizio di San Carlo a Borgo San Lorenzo (Firenze), tutt’ora in funzione; o Giuseppina Morgera, che diede vita a un’opera sociale di assistenza per i poveri ad Ischia, anch’essa ancora in funzione. E la lista sarebbe ancora lunga.
Eppure ci furono periodi dolorosi in cui al frate fu impedito di confessare o anche solo avvicinare le donne. Le restrizioni conoscono due momenti: dal 1923 al 1934 e dal 1960 al 1964 e in entrambi i momenti il suo rapporto con le donne è la pietra del sospetto quando non di un pilotato scandalo.
Il rumore di un bacio
Dopo la comparsa delle stigmate e la conseguente diffusione della popolarità di padre Pio, il fondatore della Cattolica Agostino Gemelli si reca a San Giovanni Rotondo. Il monaco e medico non visita il religioso, ma emette una diagnosi senza appello: padre Pio è isterico. Falliti i tentativi di trasferire il frate lontano da San Giovanni Rotondo, il Vaticano emette i primi provvedimenti restrittivi nel 1923. Gli è proibito scrivere lettere. Nel 1931 gli è vietato anche dire messa in pubblico e confessare. Le restrizioni vengono revocate nel 1934. Ripresa l’attività in confessionale capita talvolta che allontani bruscamente qualche fedele. Padre Benedetto, altro direttore spirituale del frate di Pietrelcina, chiede spiegazioni e padre Pio rivela che quando di fronte a lui si presenta un peccatore non pentito o, peggio ancora, che non si è accostato al sacramento per ricevere l’assoluzione, ma perché è l’unico modo per avvicinare il frate che conosce il futuro e dispensa miracoli, vede «Dio che è sul punto di scaricare i suoi fulmini. E per pararli altro rimedio non vi è se non alzando una mano a trattenere il suo braccio e l’altra rivolgerla concitata al proprio fratello, per un duplice motivo: che gitti via il male e che si scosti, e presto, da quel “luogo” dov’è, perché la mano del giudice è per scaricarsi su di esso».
All’inizio del 1960, invece, a finire sotto accusa è il gruppo delle cosiddette predilette. Il cardinale Alfredo Ottaviani inviato a San Giovanni Rotondo, mette sotto accusa il «gruppetto di uomini e donne che si autodefinisce dei fedelissimi il quale si arroga il “monopolio” di padre Pio». Oggetto del contendere è la gestione di Casa Sollievo della sofferenza, come spiega a Tempi Stefano Campanella, direttore di TeleRadio Padre Pio e autore di una preziosa biografia del frate (La missione di padre Pio, Edinorba). Se Ottaviani non nutre dubbi sulla correttezza del direttore della clinica Angelo Battisti, ritiene però che nella gestione della clinica e in quella del convento padre Pio sia manovrato dalla cerchia di donne che gli stanno vicine. Alla vigilia di una nuova inchiesta riservata da parte del Vaticano alcuni frati ci mettono del loro piazzando dei microfoni nella foresteria, dove il padre incontra le donne, e nella cella numero 5 del convento, dove avvengono gli incontri col direttore Battisti. In una delle registrazioni realizzate nell’incontro con Cleonice Morcaldi, altra figlia spirituale di padre Pio, i frati sostengono di riconoscere «il rumore di un bacio». I nastri vengono inviati al Sant’Uffizio. Giovanni XXIII, profondamente turbato, si rifiuterà sempre di ascoltarli. Le registrazioni sono poco comprensibili, sia padre Pio che la sua interlocutrice sono anziani e corpulenti, pensare che siano riusciti a baciarsi tramite la finestrella del parlatoio in foresteria appare alquanto fantasioso. Eppure la coltre dei sospetti e dei divieti pesa fino a che l’arcivescovo di Manfredonia monsignor Casarano non intercede presso il Papa, di cui è vecchio amico. Casarano spiega che sua sorella, quando va a trovare padre Pio, insiste a baciare le mani del frate, già dolorante per le stigmate e assicura che se bacio c’è stato in quella foresteria, non c’è alcuna malizia in quel frate.
La globetrotter si ferma sul Gargano
Una delle menti più brillanti che visse a lungo a fianco di padre Pio fu quella di Adelia Pyle. Adelia è una intelligente ragazza della media borghesia americana quando la sua fede protestante inizia a vacillare. L’incontro con Maria Montessori le spalanca le porte dell’Europa e così decide di partire al seguito della grande pedagoga. Ne diverrà collaboratrice preziosa per oltre dieci anni. Nel frattempo si converte al cattolicesimo, rompe con la famiglia e prende il nome di Maria. In lei resta viva un’inquietudine che neanche quella stimolante vita lavorativa riesce a colmare. Il primo incontro con padre Pio la segna profondamente. Maria ne rivelerà solo poche parole: «Sul mio capo si fermò la mano stimmatizzata del padre che mi disse: “Figlia mia, non andare più in giro. Fermati qui”». È quello che Maria farà anni dopo, stabilendosi a San Giovanni Rotondo con grande disappunto della Montessori. Qui “la signorina americana”, come la chiamavano, diviene donna di grande carità e fervore intellettuale. Nell’abbraccio limpido di quel frate ha trovato la pace.
DISCERNERE
Uno sguardo profetico sugli eventi