Cattedrale di Pennabilli, Lunedì 19 Aprile 2010
Sia lodato Gesù Cristo.
Lo Spirito Santo del Signore ci educhi a vivere il gesto profondo, semplice e drammatico di affezione incondizionata al Santo Padre Benedetto XVI, nella gratitudine al Signore e allo Spirito che lo hanno scelto come guida certa e amabile di tutta la Chiesa. Il brano tratto dal Vangelo di San Giovanni, che la Chiesa ci ha fatto proclamare ieri, racconta la concretezza di una esperienza vissuta, il formarsi della funzione di Pietro e di tutti i suoi successori. Così si rivolse a lui il Signore: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene» (Gv 21,15). Per tre volte la risposta di Pietro è stata senza incertezze, senza condizionamenti ed egli ha amato non sul presupposto della sua intelligenza: molte volte infatti nei brani del santo Evangelo emergono delle difficoltà di comprensione del mistero di Cristo. Lui che nel breve spazio di poche ore, nel momento tragico del tradimento, tre volte aveva rinnegato il Signore, non ha amato sul presentimento dell’intelligenza o sulla previsione di una forza. E il Signore, presenza definitiva nella vita di Pietro, ha accettato il bene incondizionato che gli veniva offerto.
Per Pietro non c’era altro che Cristo, non poteva esserci altro che Cristo, che avrebbe giudicato i suoi errori, soprattutto che li avrebbe perdonato, che nei Suoi confronti lo avrebbe rimesso continuamente nell'atteggiamento giusto. Atteggiamento della fede, cioè dell’ amore, perché in Pietro la fede è amore e raggiunge il massimo della profondità, della semplicità, il massimo della chiarezza. Pietro per parte sua è la roccia di questo amore che diventa dedizione al popolo di Dio nella misura in cui la sua vita è dedita al mistero di Cristo. La vita di Pietro è dunque la funzione di Pietro, è la responsabilità affidatagli di rappresentare il Signore, di renderLo presente nel Suo popolo come fondamento e contenuto della fede, di renderLo presente come forma di vita nuova, di comunione vissuta, di carità vissuta, come la grande presenza da sperimentare e proporre a tutti gli uomini.
Fin dai primi decenni della vita della Chiesa il Vescovo di Roma è già significativamente riconosciuto come colui che ha la responsabilità di guidarla nell'unità e nella carità. Succede immediatamente e direttamente a Pietro, ogni Papa è suo successore, chiamato quindi a rivivere l’amore incondizionato a Cristo e la totale dedizione alla Chiesa. Ogni Papa custodisce l’unità della fede, l’unità della comunione e rende, con la sua presenza, la Santa Chiesa di Dio nella varietà delle sue forme, dei suoi modi, delle sue comunità, delle sue esperienze. Senza l’unità in Pietro non esisterebbero la Chiesa e la sua obiettiva unità, sarebbe rimasta interdetta la capacità di convivenza fra questa radicale unità e la varietà delle forme con cui è stata vissuta nel corso dei secoli. Per questo, quando la Chiesa aveva forse una maggiore consapevolezza del suo mistero di comunione con Cristo e di missione verso gli uomini, il nome del Papa veniva pubblicamente preceduto dall'espressione misteriosa e profondissima Santità di Nostro Signore Gesù Cristo. Con la sua vita umana, col suo temperamento, con la sua storia, con la sua cultura, il Papa rendeva e rende ancora presente, qui ed ora, la santità di Nostro Signore Gesù Cristo. Serve in modo assolutamente personale questo mistero di dedizione a Cristo e alla Chiesa.
Questa sera guardiamo così Benedetto XVI, il grande Papa che il Signore ci ha dato in un grave periodo della vita della Chiesa e dell'umanità. Colui che seppe presentarsi al mondo con infinita umiltà, come un lavoratore nella vigna del Signore senza altri meriti se non quello di aver seguito puntualmente, appassionatamente, quotidianamente e ordinatamente i compiti che la Chiesa, in una delle stagioni della sua vita e del suo servizio ecclesiale, gli aveva proposto. Questo umile operaio della vigna del Signore è apparso fin dall’inizio, e in ogni istante della sua testimonianza, come una personalità gigantesca nella dedizione a Cristo, inflessibile nella proclamazione e nel continuo ritorno a Cristo, nella continua proclamazione del Figlio di Dio incarnato, unica possibilità di verità e di salvezza per gli uomini di tutti i tempi.
In questi cinque anni la proclamazione del Signore e la presentazione del mistero della Sua morte e resurrezione, attraverso cui ciascuno è chiamato a sperimentare concretamente la redenzione, hanno occupato interamente le preoccupazioni del Sommo Pontefice, fino ad aver trovato una forma di comunicazione inedita e per certi aspetti eccezionale. Le pagine del volume su Gesù di Nazareth lo hanno visto impegnato nello sforzo di ripresentarne la storicità come qualche cosa di indiscutibile contro le troppe tentazioni di sostituirla con la pertinenza dei messaggi o degli atteggiamenti morali. Colpisce la fermezza di Benedetto XVI nel proclamare il Signore, nel difendere la coscienza autentica del mistero di Cristo dinnanzi alle riduzioni, alle devianze che affliggono il corpo della Chiesa, anzitutto nei punti che si vogliono più acculturati o che si presentano come tali; nel difendere il mistero di Cristo che incontra l'uomo, il cristianesimo, cioè l'incontro con Cristo e non dunque una idea religiosa, non un programma etico, ma l'incontro con la Sua persona da seguire e da amare senza porre condizioni.
Nella fede, in questa sequela del mistero di Cristo riproposto con radicalità e compiutezza nella difesa dell'organismo del dogma della Chiesa cattolica, il Papa rivela in maniera straordinaria una corrispondenza, la corrispondenza fra Cristo e il cuore dell'uomo e la sua attesa. Egli proclamando l’ avvenimento di grazia e di dono dell'irruzione della misericordia del Signore Iddio dentro la nostra vita, lo declina al contempo come accoglienza incondizionata, come riedificazione, come possibilità per l'uomo di approfondire e vivere integralmente la sua umanità.
Cristo non toglie nulla, restituisce tutto, per di più con una misura oltre ogni misura, oltre ogni previsione, oltre ogni ristrettezza, ogni diffidenza, facendo fiorire l'umanità in tutte le sue dimensioni, i suoi aspetti. Pensate a quanto Benedetto XVI ci ha insegnato negli ultimi cinque anni relativamente alla ragione, alla larghezza della ragione, all’uso nuovo, ampio, umano della ragione, che proprio nell'impatto con il Signore è chiamata a ritrovare la sua natura profonda, la sua vera grandezza, il suo intimo desiderio di misurarsi col mistero e di non chiudersi in se stessa, magari inseguendo inutilmente un’ adeguata conoscenza scientifica della realtà o la manipolazione tecnologica di essa fino della realtà degli uomini che ci circondano. È davvero una redenzione la grande restituzione dell’uomo alla sua vera natura, alla sua vera identità in una esaltazione che diventa esperienza positiva e bella.
Il Papa Benedetto affermando che solo la vita di chi crede è una vita bella ed è povera e brutta quella di chi invece -negando il mistero di Cristo- fa apostasia da Cristo, smarrisce il senso della sua identità ed è renitente a vivere una vita autenticamente umana e quindi gioiosamente cristiana, ha sfidato l’umanità. Lo ha fatto ancora un volta nella proclamazione del mistero di Cristo, nella difesa dell’ unità della Chiesa affermata e vissuta come posizione di tutte le esperienze che intendono riconoscersi così rappresentate e significate dal Padre.
È insieme una testimonianza amabile e impossibile da non amare: con tutta evidenza diventa in lui cambiamento, insegnamento a tutti i cristiani di come la nostra umanità possa cambiare nell'esperienza della fede in Cristo e, soprattutto, di quanto possa essere singolarmente bella la vita dei cristiani. D’altronde che l’esperienza della bellezza e pertanto dell'arte è la sintesi suprema della verità, lo splendore della verità, ce lo ha insegnato in modo puntuale ed elementare Benedetto XVI stesso in ripetuti interventi.
Questo è il Papa che ci guida, irremovibile nei principi, nella difesa dell’ unità della Chiesa cattolica, nel tentativo di raccogliervi dentro tutte le esperienze che accettano di riconoscere e di vivere questa unità, nel tentativo infine di contraddire in maniera esplicita i pregiudizi, le prove di discriminazione reciproca all’interno della Chiesa. È il Papa che vuole di recuperare la varietà dell’esperienza del cattolicesimo all’umiltà, garanzia della valorizzazione di tutte le differenze.
Eppure l’ inflessibilità sul dogma e sulla morale, la sua difesa appassionata di una concezione nuova della vita personale e sociale (mirabilmente sintetizzata nell'insegnamento sui valori non negoziabili, che nessuna presenza cristiana potrà mai mettere in discussione, pena l’inincidenza della Chiesa sul piano della cultura e della società) questa inflessibilità -dicevamo- ha il volto dell'uomo mite che non ha altra forza che la saldezza dei principi, dove la verità si fa carità. La terza Enciclica, Caritas in Veritate, con la necessaria sintesi, con quella essenziale circolarità fra carità e verità, è certamente uno dei punti più alti del suo magistero.
In lui questa sera ci rifugiamo, convinti che il nostro è un abbraccio profondamente critico, intento cioè a capire che cosa egli sia nella vita della Chiesa in questo momento, quale sia la sua funzione, quale la sua testimonianza, la sua sofferenza, il suo martirio. Ai successori dell'apostolo Pietro, il Signore infatti molte volte non ha risparmiato il martirio. Similmente a Benedetto XVI, nella Sua imperscrutabile volontà, non sta risparmiando un’esistenza che -come ho ribadito in più circostanze- dal martirio è tutta intensamente segnata. Non sta risparmiando una testimonianza della Verità e della Libertà cristiana che spezza la sua vita, la sua sensibilità, spezza la sua intelligenza, e più di ogni altra cosa il suo cuore.
Noi lo abbracciamo perché riteniamo che senza di lui tutto è finito. Un grande laico, Marcello Pera, mi ha scritto una frase che mi sono permesso di ricordare nella lettera aperta al Santo Padre: “ma come è possibile che un miliardo di cristiani assistano impotenti e silenziosi a questo tentativo di distruzione dell’ immagine e della presenza del Papa, senza capire che se cade non c'è più salvezza per nessuno?”
Di certo il Papa non cade, non può cadere, non cadrà, è difeso singolarmente e totalmente dal mistero e dalla protezione di Cristo. Tuttavia in questo frangente noi dobbiamo sentirci chiamati a testimoniargli la nostra incondizionata devozione perché del suo insegnamento viviamo, della sua testimonianza viviamo. Dalla sua testimonianza siamo ogni giorno confortati, nella straordinaria esperienza di cambiamento della vita, senza la quale non avrebbe nessun senso non solamente il cristianesimo, ma la vita umana. Se il Signore non ci avesse redento non sarebbe valsa la pena di nascere. Questa grande espressione di Sant’Ambrogio, Vescovo di Milano, trova una sua icastica conferma nella vita, nella testimonianza e nella presenza di Benedetto XVI.
Siamo certi, fratelli miei, che questo nostro gesto, vissuto in comunione profonda con lui, in unità totale con lui, è certamente un vanto. D’altro canto la Chiesa della Diocesi di San Marino- Montefeltro, anche quando era unicamente Diocesi del Montefeltro, è stata sempre caratterizzata da una granitica ed indiscussa fedeltà a Roma, tanto che il Papa ha sempre potuto contare sui suoi Vescovi e sulla loro comunione con il Pontefice. In forza di questa grande tradizione che ci precede, ci sostiene e ci conforta diciamo a Benedetto XVI -come una volta gli ho scritto- che saremmo disposti a dare la vita per lui. La nostra Chiesa è disposta a dare la vita perché il Papa è la rappresentanza viva e concreta del mistero del Signore Gesù Cristo e della comunità cristiana, che è misteriosamente e radicalmente connessa con l'unità della Chiesa da Pietro significata. Ebbene, perché questa realtà ci sia ed esista e continui a sostenere il cammino dei cristiani, siamo disposti a mettere in gioco tutto, anche la nostra vita, affinchè il Papa possa essere perennemente il punto cardinale della nostra intelligenza e del nostro cuore, il sostegno della quotidiana fatica e il testimone di Cristo agli uomini di questo tempo.
Che il Signore Gesù ci consenta dunque di partecipare alla letizia della vita cristiana, di partecipare finalmente all’espressione del Salmo la cui verità si lascia comprendere nel Papa: “Il Signore sta sempre dinanzi ai miei occhi: se sta alla mia destra non vacillerò. Per questo è lieto il mio cuore”. (Salmi 15,9)
E così sia.
+Luigi Negri
Vescovo di San Marino-Montefeltro
http://www.diocesi-sanmarino-montefeltro.it/default.asp?id=343&id_n=1591