DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Intorno al viaggio del Papa: coloro che non difesero la civiltà

Grazie al cielo possiamo dire che il viaggio del Papa nel Regno Unito è stato un successo. Si temeva - qualcuno dei soliti più o meno noti sperava - in un insuccesso, ma, grazie a Dio, lo Spirito soffia dove vuole Lui.
Addirittura i giornalisti inglesi hanno iniziato a dire ciò che dovrebbe essere evidente a chiunque usi la ragione a un livello sub-elementare: quello che il Papa dice va comunque la pena ascoltarlo, anche se poi, riflettendo, si giunge a dirsi in disaccordo. Grande riconoscimento, finalmente! Ma il fatto che ce ne sia voluta per riconoscere qualche cosa di così “banale” la dice lunga su quanto la nostra “moderna” ed “evoluta” società “scientifico-tecnologica” (assai più “tecnologica” che “scientifica”) del XXI secolo sia così invischiata in una rancida pece di pregiudizi da non usare la ragione a un livello basilare.
I timori per un fallimento del viaggio del Papa non erano dovuti tanto alla tradizionale ostilità di un paese a tradizione protestante nei confronti del papato, ma alla forma (“s-forma”) assunta dalla società britannica negli ultimi decenni. Non protestantesimo, ma ostilità e indifferenza nei confronti del problema religioso. Il quale problema religioso, forse è bene precisarlo, non si riduce a una questione di “sapere verso Chi inginocchiarmi e che nome darGli”: esso è il problema di quale sia la Verità, di dove vada il tempo che ogni giorno mi è dato.

Qualcosa di estremamente contingente e concreto. Che ne è rimasto in Gran Bretagna? Indifferenza od ostilità: più del quaranta per cento degli abitanti del Regno Unito dice di non credere in niente (con tutte le sfumature di ateismo piuttosto che agnosticismo, ecc.)! Ma non stiamo forse parlando dell’unico Stato Confessionale ancora esistente in Europa? Uno Stato in cui perfino le cerimonie di consegna dei diplomi universitari hanno sempre un richiamo alla religione, e alla religione cristiana!
Che cosa è accaduto? Libri interi di storici, sociologi, filosofi, teologi sono stati scritti sulla cosiddetta “secolarizzazione” dell’Occidente, gente molto più intelligente di me e che ci ha speso molte più energie per venirne a capo. Un ritratto esemplare di questo fenomeno, del di dentro, ci è dato da un articolo sul settimanale Tempi del 22 settembre “Come siamo diventati anticristiani”. Vi è descritta l’esperienza del giornalista e scrittore Peter Hitchens. Famiglia particolare, questi Hitchens: due fratelli, Christopher e Peter, entrambi nati negli anni ’50, che fecero un simile percorso. Essi abbandonarono la Fede per una ribellione feroce che li portò all’ateismo militante. Negli corso di parecchi anni, Peter giunse infine a riabbracciare le Fede, ed è ora anglicano. Christopher invece è divenuto uno dei più feroci pubblicisti atei militanti del Regno Unito. I due fratelli giornalisti ora si fronteggiano nelle librerie e sui giornali britannici.
La storia di Hitchens (Peter), riportata da Tempi, è esemplare, ed è lo spunto che mi ha fatto riflettere. Egli abbandona la Fede, si ribella come un adolescente, all’età di quindici anni, nel 1967. Brucia la Bibbia, rifiuta i valori tradizionali. La cosa impressionante, racconta, è che il suo comportamento non incontrò alcuna resistenza. Non fu stigmatizzato dagli educatori, dagli adulti, i quali, “anzi, mostravano un certo compiacimento”. Da questo, il ragazzo Hitchens trasse la convinzione che neanche essi credessero più nei valori che insegnavano.

Ecco, questa arrendevolezza del “vecchio mondo” è ciò che più mi ha scosso. A livello antropologico il ’68 è stato assai più sconvolgente della Rivoluzione Francese. Il tessuto sociale, i valori, il modo di pensare, il rapporto con la vita, con il lavoro, con l’autorità, tutto ciò che in occidente si era sedimentato pazientemente nel corso di secoli nelle coscienze degli individui, tutto quello che chiamiamo “civiltà”, il “vecchio mondo”, spazzato via, rimesso in discussione, rivoluzionato nel giro di pochi anni! Si badi, la Rivoluzione Francese, col periodo napoleonico successivo, fece qualcosa di simile, ma essa mutò i sistemi politici, gli Stati, essa toccò le classi dirigenti, i governanti e i grandi intellettuali. La stragrande maggioranza della gente, la forma mentis degli europei, e anche quella di molti di quegli stessi intellettuali, non cambiò, l’atteggiamento verso le cose e verso la vita non cambiò, non cambiò questo “vecchio mondo” occidentale. La tradizione in genere non si metteva in discussione, si potevano cambiare delle cose, criticare più o meno certi aspetti, come sempre nel corso della storia erano presenti i più conservatori e i più innovatori, ma la tradizione era evidentemente percepita come un lascito positivo, forse da correggere e da emendare, ma non da rifiutare in blocco. Ciascuno andava fiero, pur tra mille difficoltà e mille diseguaglianze, di occupare il suo un posto nella società. L’autorità c’era, ed era giusto che ci fosse; il problema era semmai come questa autorità potesse essere giusta, e non tirannica. Ma l’autorità in sé era giusta. L’educazione aveva un valore fondamentale. Di molte “convenzioni sociali” si percepiva l’utilità, che erano frutto di buonsenso e di lunga esperienza. Non voglio fare un quadro idillico: c’erano ingiustizie feroci, conformismi beceri, discriminazioni gratuite e inspiegabili. Cose che, traslate in altri ambiti , sono presenti tutt’ora.
In ogni caso tutto ciò che di sbagliato c’era non giustifica come secoli di mentalità, il “vecchio mondo”, siano stati spazzati via in pochi decenni, per non dire pochi anni. Tuttavia la cosa peggiore... è che il “vecchio mondo” non fu difeso. Gli educatori di Peter Hitchens non lo arginarono, non gli spiegarono perché non era giusto fare ciò che faceva. Quanti professori nelle nostre università non si opposero alle prevaricazioni sessantottarde, ai 18 politici, alle occupazioni? Quanti sacerdoti e vescovi, cattolici, decisero di fare di testa loro e voltarono le spalle al Papa? Sono solo esempi... di una generazione che ereditò una civiltà intera e non la seppe difendere. In fondo chi la picconava non era così temibile, né fisicamente né numericamente. Adolescenti, figli di papà, che, insieme a ciò che veramanete, sanamente andava cambiato, misero in discussione anche ciò che non andava messo in discussione. Essi furono coloro che pensarono che per liberarsi da quella che ritenevano la schiavitù del lavoro, cioè dalle fatiche proprie della vita umana, ci si dovesse tagliare le gambe e le braccia. Lo fecero. Non furono fermati.

Sì, ha ragione Hitchens, evidentemente quella generazione, la generazione dei miei nonni, non ci credeva già più. Ormai era un mondo giunto al declino. Come durante la Rivoluzione Francese: se Luigi XVI, o qualcuno per lui, avesse avuto un po’ più di polso, la Rivoluzione sarebbe stata spezzata facilmente sul nascere. Tutta la storia europea sarebbe cambiata e milioni di vite sarebbero state risparmiate. Allo stesso modo la generazione dei miei nonni non difese i secoli di civiltà che, con tutti i difetti tipici di tutte le umane costruzioni -per carità- erano stati pazientemente eretti. E la civiltà umana cadde in preda agli adolescenti, come è tutt’ora, ché adolescenti siamo rimasti noi tutti contemporanei, anche da adulti. Ché c’è stato bisogno di un viaggio pastorale, di tutta l’intelligenza e la pazienza di un grande maestro di umanità e di ragione quale Papa Ratzinger, c’è bisogno dell’intervento dello Spirito che continua a soffiare sull’umanità, per arrivare ad accorgerci che forse - forse - le questioni che la Chiesa pone da ventuno secoli non sono stupidaggini, non possono essere liquidate brevemente, non possono essere eluse.
C’è voluto tutto questo enorme spiegamento per tornare, almeno per qualche giorno, a usare la ragione da persone adulte.
Per tornare a usare la ragione.

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Autore: Parravicini, Jacopo Curatore: Buggio, Nerella
Fonte: CulturaCattolica.it