DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

La domanda più grande oltre ogni disciplina. L'astrofisico Hawking e le «prove» su Dio

di Carlo Cardia
Con periodica cadenza filosofi e scienziati rendono noto di aver trovato la prova definitiva che Dio non esiste, che è morto, che non c’è più bisogno di lui. Quest’ultima affermazione sembra sia contenuta nel libro del celebre astrofisico inglese Stephen Hawking, The Grand Design, che sta per uscire e che preluderebbe alla scoperta della teoria unificata, della teoria che spieghi i passaggi dell’origine dell’universo, le leggi che lo regolano, e cancellino il mistero sino a oggi conservato nelle galassie e nelle particelle infinitamente piccole. Hawking è scienziato tra i più seri, in passato ha riconosciuto che la scienza procede per tappe e approssimazioni, ha rivisto alcune sue teorie, senza escludere l’esistenza di una dimensione religiosa che non appartiene alla sfera della scienza. A quanto sembra, privilegerebbe attualmente la teoria dell’eternità dell’universo, capace di auto riprodursi, e la possibile pluralità di universi.
L’enfatizzazione che la stampa ha dato ad alcuni brani del volume di Hawking, e pubblicati dal Times, va quindi relativizzata e verificata nella lettura del testo. Resta, però, l’importanza dell’interrogativo che gli scienziati ancora pongono circa la possibilità che Dio sia fondamento del cosmo, perché è la grande, eterna, domanda, dell’uomo sulla propria origine e sul proprio destino. E’ una domanda alla quale non può dare una risposta né una scienza particolare, sia essa la fisica o la chimica, la paleontologia o l’astronomia, la medicina o la psicologia, né le scienze tutte insieme perché Dio le trascende e le supera pur essendone la fonte e l’origine.
Le scienze svolgono un’eccezionale funzione per la crescita della conoscenza, ci avvicinano alla comprensione del cosmo, e i loro risultati sono decisivi perché la mente umana ottenga sempre più risposte alle domande che si pone da quando esiste. Ma lo scienziato è di fronte al mistero nella stessa posizione in cui è il poeta di fronte all’infinito, il musicista che cerca melodie e armonie: lo scienziato, il poeta, il musicista, rispondono alla domanda su Dio senza bisogno di equazioni o di coordinate scientifiche, di poesia o di musica, o con ragionamenti più o meno coerente, ma con tutto il proprio essere, con la ragione e il cuore, con la conoscenza e il sentimento, con una sintesi cioè che rappresenta il mistero dell’uomo in sé.
Non è facile trovare un uomo che scelga Dio, o lo rifiuti, perché ha studiato fisica o psicologia, come è difficile che la conoscenza della storia dell’uomo, dell’universo, e di tante altre storie, determini la scelta interiore a favore di Dio. È assai frequente, invece, che scienziati, poeti, storici, musicisti, muovendo dalla speciale propensione (o vocazione) al vero, al bello, al giusto, siano meglio motivati per l’opzione a favore di un Dio che rappresenta la sintesi della verità, della bellezza, della giustizia.
Compiuta la scelta di fede, si forma nell’uomo una corrente ascensionale che trasfigura anche ciò che l’uomo vede e studia, perché l’universo apparirà agli occhi del credente nella sua grandezza e meraviglia, anziché come la somma di tante particelle insignificanti; l’universo, il creato, la natura, faranno sentire una musica che parla all’animo con mille e mille note che si scompongono e si ricompongono in armonie sempre più perfette; anche la storia dell’uomo si presenterà come il grande scenario della nascita e dello sviluppo di una umanità che cerca di raggiungere ideali e traguardi che la trascendono.
La ricorrenza con la quale gli scienziati si pongono la domanda su Dio, al di là delle risposte che danno alternativamente, è il riflesso dell’aspirazione all’infinito che esiste nella coscienza dell’uomo. Ma la scelta di fede non è riducibile ad una legge di natura, ad una teorica scientifica più o meno esauriente, perché è un atto libero e volontario di adesione ad un progetto che dà senso e significato alla vita, alla sofferenza e all’amore, all’impegno e alla speranza più alta: questo concetto, oltre che nella Bibbia, è contenuto nella Critica della ragion pratica di Immanuel Kant per il quale senza la realtà di Dio e dell’immortalità dell’anima viene meno per l’uomo il fondamento della libertà, della moralità, della felicità. La libera scelta di fede è compiuta nelle profondità della coscienza, con motivazioni e modalità che nessuna disciplina saprà mai decrittare perché appartengono alla dimensione dell’infinito.

«Avvenire» del 5 settembre 2010