Che cosa ha da dire alle donne e agli uomini della nostra inquieta post-modernità John Henry Newman, il pensatore inglese che Papa Benedetto XVI ha dichiarato beato oggi a Birmingham? Vorrei evidenziare la forza del suo messaggio attraverso due sottolineature.
La prima è espressa da un testo scritto da Newman poco più che trentenne, quando era ancora soltanto un giovane cercatore della verità, che fosse capace di illuminare il cuore e la vita.
È il 1833 e sulla nave che lo porta dalla Sicilia a Napoli nel suo primo viaggio in Italia la nebbia che scorge gli appare una sorta di metafora della condizione umana, figura di tutti noi che nella scarsa visibilità dell'orizzonte cerchiamo un senso alla vita: «Lead Kindly Light... Guidami, luce gentile, tra la nebbia che mi circonda, guidami tu! Buia è la notte, lontana la casa... Guida i miei passi; non voglio vedere l'orizzonte lontano; un passo alla volta è sufficiente per me».
Newman aveva fatto l'esperienza dell'autonomia presuntuosa della ragione, in questo non diverso da tanti di noi e dalle grandi avventure della coscienza moderna. È lui stesso a confessarlo: «Non sempre invocai così la tua guida. Amavo scegliere la mia strada... Amavo il giorno luminoso, l'orgoglio mi guidava... ma ora, guidami tu!».
Per questa sua vicinanza a tutti gli inquieti cercatori del vero Benedetto XVI ha potuto dire di lui, parlando ai giornalisti sull'aereo che lo portava a Edimburgo: «Newman è soprattutto un uomo moderno che ha vissuto tutto il problema della modernità, che ha vissuto anche l'agnosticismo, il problema dell'impossibilità di conoscere Dio, di credere. Un uomo che è stato tutta la sua vita in cammino, per lasciarsi trasformare dalla verità in una ricerca di grande sincerità e di grande disponibilità di conoscere e di trovare e di accettare la strada che dà la vera vita».
Cercatore di Dio, Newman è approdato alla fede e successivamente al "porto" della Chiesa cattolica attraverso un esemplare esercizio di onestà intellettuale.
Intento a scrivere quella che doveva essere un'apologia del suo anglicanesimo, il Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana, la sua mente fu come rapita dalla forza della verità, che non è il lampo di un'ora estrema o l'illuminazione di una stagione che passa, ma la luce che avvolge la ragione e la conquista nella forza serena della sua permanenza nello spazio e nel tempo: «L'acquisizione della verità non assomiglia in niente all'eccitazione per una scoperta; il nostro spirito è sottomesso alla verità, non le è, quindi, superiore ed è tenuto non tanto a dissertare su di essa, ma a venerarla... Noi ci fondiamo sulla pienezza cattolica».
Ed è struggente la confessione del senso di libertà e di pace così raggiunto, scritta da Newman vari anni dopo nella Apologia pro vita sua: «Al momento della conversione non mi rendevo conto io stesso del cambiamento intellettuale e morale operato nella mia mente. Non mi pareva di avere una fede più salda nelle verità fondamentali della rivelazione, né una maggior padronanza di me; il mio fervore non era cresciuto; ma avevo l'impressione di entrare in porto dopo una traversata agitata; per questo la mia felicità, da allora a oggi, è rimasta inalterata».
Non fu facile mantenere questa pace: abbandonato da molti degli amici e ammiratori di un tempo, osteggiato e guardato con sospetto da molti fra gli stessi cattolici, Newman dovette tener fede alla luce ricevuta con grande fortezza d'animo. A chi gli chiedeva che cosa lo avesse convinto a divenire e rimanere cattolico, rispondeva senza esitazione: «l'obbedienza alla verità».
Ed è questa la seconda sottolineatura con cui vorrei cogliere l'attualità del suo messaggio: in un'epoca di inquietudini e di incertezze, nella permanente insicurezza della nostra "società liquida", Newman dimostra che è possibile conoscere la verità che rende liberi. È la storia della sua vita a dimostrarlo.
Una sorta di confessione, scritta nei suoi ultimi anni, ce lo rivela con la forza di un'esperienza vissuta, custodita con identica passione dai tempi in cui era un neofita a quelli in cui fu fatto cardinale della Chiesa romana: «O mio Dio, tutta la mia vita non è che una catena di misericordie e di benefici, diffusi sopra di un essere che ne è indegno.
Non ho bisogno della fede per credere alla tua provvidenza verso di me, giacché ne ho fatto lunga esperienza. Tu mi hai condotto d'anno in anno, mi hai allontanato dalle strade pericolose, mi hai ritrovato se smarrito, mi hai rianimato, ristorato, mi hai sopportato, mi hai diretto, mi hai sostenuto.
O, non abbandonarmi nel momento in cui la forza mi vien meno! Tu non mi abbandonerai mai! Io posso riposarmi in te con sicurezza».
A chi di noi non parla, almeno nella forma del desiderio, una simile testimonianza?
La prima è espressa da un testo scritto da Newman poco più che trentenne, quando era ancora soltanto un giovane cercatore della verità, che fosse capace di illuminare il cuore e la vita.
È il 1833 e sulla nave che lo porta dalla Sicilia a Napoli nel suo primo viaggio in Italia la nebbia che scorge gli appare una sorta di metafora della condizione umana, figura di tutti noi che nella scarsa visibilità dell'orizzonte cerchiamo un senso alla vita: «Lead Kindly Light... Guidami, luce gentile, tra la nebbia che mi circonda, guidami tu! Buia è la notte, lontana la casa... Guida i miei passi; non voglio vedere l'orizzonte lontano; un passo alla volta è sufficiente per me».
Newman aveva fatto l'esperienza dell'autonomia presuntuosa della ragione, in questo non diverso da tanti di noi e dalle grandi avventure della coscienza moderna. È lui stesso a confessarlo: «Non sempre invocai così la tua guida. Amavo scegliere la mia strada... Amavo il giorno luminoso, l'orgoglio mi guidava... ma ora, guidami tu!».
Per questa sua vicinanza a tutti gli inquieti cercatori del vero Benedetto XVI ha potuto dire di lui, parlando ai giornalisti sull'aereo che lo portava a Edimburgo: «Newman è soprattutto un uomo moderno che ha vissuto tutto il problema della modernità, che ha vissuto anche l'agnosticismo, il problema dell'impossibilità di conoscere Dio, di credere. Un uomo che è stato tutta la sua vita in cammino, per lasciarsi trasformare dalla verità in una ricerca di grande sincerità e di grande disponibilità di conoscere e di trovare e di accettare la strada che dà la vera vita».
Cercatore di Dio, Newman è approdato alla fede e successivamente al "porto" della Chiesa cattolica attraverso un esemplare esercizio di onestà intellettuale.
Intento a scrivere quella che doveva essere un'apologia del suo anglicanesimo, il Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana, la sua mente fu come rapita dalla forza della verità, che non è il lampo di un'ora estrema o l'illuminazione di una stagione che passa, ma la luce che avvolge la ragione e la conquista nella forza serena della sua permanenza nello spazio e nel tempo: «L'acquisizione della verità non assomiglia in niente all'eccitazione per una scoperta; il nostro spirito è sottomesso alla verità, non le è, quindi, superiore ed è tenuto non tanto a dissertare su di essa, ma a venerarla... Noi ci fondiamo sulla pienezza cattolica».
Ed è struggente la confessione del senso di libertà e di pace così raggiunto, scritta da Newman vari anni dopo nella Apologia pro vita sua: «Al momento della conversione non mi rendevo conto io stesso del cambiamento intellettuale e morale operato nella mia mente. Non mi pareva di avere una fede più salda nelle verità fondamentali della rivelazione, né una maggior padronanza di me; il mio fervore non era cresciuto; ma avevo l'impressione di entrare in porto dopo una traversata agitata; per questo la mia felicità, da allora a oggi, è rimasta inalterata».
Non fu facile mantenere questa pace: abbandonato da molti degli amici e ammiratori di un tempo, osteggiato e guardato con sospetto da molti fra gli stessi cattolici, Newman dovette tener fede alla luce ricevuta con grande fortezza d'animo. A chi gli chiedeva che cosa lo avesse convinto a divenire e rimanere cattolico, rispondeva senza esitazione: «l'obbedienza alla verità».
Ed è questa la seconda sottolineatura con cui vorrei cogliere l'attualità del suo messaggio: in un'epoca di inquietudini e di incertezze, nella permanente insicurezza della nostra "società liquida", Newman dimostra che è possibile conoscere la verità che rende liberi. È la storia della sua vita a dimostrarlo.
Una sorta di confessione, scritta nei suoi ultimi anni, ce lo rivela con la forza di un'esperienza vissuta, custodita con identica passione dai tempi in cui era un neofita a quelli in cui fu fatto cardinale della Chiesa romana: «O mio Dio, tutta la mia vita non è che una catena di misericordie e di benefici, diffusi sopra di un essere che ne è indegno.
Non ho bisogno della fede per credere alla tua provvidenza verso di me, giacché ne ho fatto lunga esperienza. Tu mi hai condotto d'anno in anno, mi hai allontanato dalle strade pericolose, mi hai ritrovato se smarrito, mi hai rianimato, ristorato, mi hai sopportato, mi hai diretto, mi hai sostenuto.
O, non abbandonarmi nel momento in cui la forza mi vien meno! Tu non mi abbandonerai mai! Io posso riposarmi in te con sicurezza».
A chi di noi non parla, almeno nella forma del desiderio, una simile testimonianza?
* Bruno Forte è arcivescovo di Chieti-Vasto
IL PROFILO
John Henry Newman (Londra, 21 febbraio 1801 – Edgbaston, 11 agosto 1890), che verrà beatificato oggi da Benedetto XVI, è stato un teologo, filosofo e cardinale inglese. Nato in una famiglia anglicana, diventato diacono nel 1824, si convertì al cattolicesimo nel 1845, dopo essersi dedicato a profondi studi filosofici e teologici. È considerato uno dei più grandi prosatori inglesi, e la sua opera è molto apprezzata anche dai non cattolici. È stato definito uno dei "padri assenti" del Concilio Vaticano II per la profondità e l'originalità del suo pensiero teologico e filosofico.
«Il Sole 24 Ore» del 19 settembre 2010