DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

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La ragionevole fede di Newman. A un mese dalla beatificazione

di Ian Ker

La beatificazione di John Henry Newman, da parte di Benedetto XVI a Birmingham il 19 settembre, non è stata solo la beatificazione di un sacerdote santo che ha vissuto e lavorato come pastore nell'Inghilterra del diciannovesimo secolo, ma anche quella di una figura universale il cui culto è globale. Attraverso i suoi scritti, Newman continua a insegnare e a ispirare innumerevoli persone in tutto il mondo.
Il suo motto cardinalizio Cor ad cor loquitur, il cuore parla al cuore, esprime bene la sua duratura influenza spirituale, personale, un'influenza che ha condotto molti dallo scetticismo alla fede, dalla comunione parziale alla piena comunione con la Chiesa cattolica, e che ha meravigliosamente rinnovato la fede di tanti cristiani. Quelle parole le prese in prestito da un altro grande umanista cristiano, san Francesco di Sales, alcune immagini della cui vita adornano le pareti della cappella privata del cardinale nell'Oratorio di Birmingham.
Spesso chiamato "il padre del concilio Vaticano ii", Newman nella sua opera teologica classica Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana insegna che la Chiesa deve cambiare o svilupparsi non per essere diversa, ma per essere la stessa. Il concilio, quindi, deve essere interpretato autenticamente in continuità e non in rottura con la tradizione della Chiesa. La sua teologia della coscienza, che ha avuto un effetto tanto profondo su Benedetto XVI quando ancora era un giovane seminarista, dopo gli orrori del totalitarismo nazista, ricorda alla Chiesa la distinzione tra una coscienza autentica che sente l'eco della voce di Dio e una coscienza "contraffatta", che non è altro che "un egoismo previdente, un desiderio di essere coerenti con se stessi". Scrive Newman: "Quando gli uomini difendono i diritti della coscienza, in nessun modo intendono i diritti del Creatore né il dovere della creatura verso di Lui, nel pensiero e nei fatti; bensì il diritto di pensare, parlare, scrivere e agire secondo il loro giudizio o umore, senza neanche un pensiero a Dio".
Pertanto, osserva ironicamente, in una società secolarizzata "è diritto e libertà di coscienza fare a meno della coscienza, ignorare un Legislatore e Giudice, essere indipendenti da obblighi invisibili".
L'invito rivolto dal concilio Vaticano ii a tutti i cristiani battezzati a vivere secondo una coscienza ben informata e ad aspirare alla santità è stato più che anticipato dai noti sermoni del beato John Henry, allora ancora anglicano, nella chiesa universitaria di Santa Maria Vergine a Oxford. In essi esortava incessantemente la congregazione a perseguire la perfezione. Queste omelie parlano ancora con forza ai cristiani e sono giustamente considerate classici della spiritualità cristiana.
Newman, il più influente tra i pensatori cattolici moderni, cercò di conciliare la ragione con la fede nei suoi Sermoni all'Università di Oxford - sermoni anglicani - con i quali sfidava la comprensione impoverita che l'Illuminismo aveva della ragione. Completò la sua giustificazione della fede religiosa come del tutto ragionevole nel suo opus magnum cattolico, Grammatica dell'assenso. Newman è considerato uno dei principali filosofi della religione, il cui pensiero riecheggia con forza nella sollecitudine di Benedetto XVI a favore della riconciliazione tra la fede e la ragione.
L'umanesimo cristiano di Newman ricorda il suo connazionale san Tommaso Moro, autore di Utopia, ma il beato John Henry è stato anche un figlio autentico del santo rinascimentale Filippo Neri, fondatore dell'Oratorio, che ha resistito allo "sforzo violento (...) di porre il genio umano, il filosofo e il poeta, l'artista e il musicista, in contrasto con la religione". Nel suo L'idea di università Newman ribadisce che "Conoscenza e Ragione sono ministri certi della Fede" e che la Chiesa "non teme la conoscenza" poiché "tutti i rami della conoscenza sono collegati tra loro, perché il soggetto-materia della conoscenza è intimamente unito in sé, essendo atti e opera del Creatore". Non può esistere vero conflitto tra religione e scienza poiché "la verità non può essere contraria alla verità".
San Tommaso Moro era uno statista e uno studioso, Lord Cancelliere d'Inghilterra e amico di Erasmo. Ma era anche un devoto uomo di famiglia. Chiamato misteriosamente a una vita di verginità quando aveva quindici anni, Newman si rallegrava però di avere una famiglia ristretta di amici e ci ricorda il concetto di amicizia che è andato quasi perso in una cultura secolare che riconosce praticamente solo le cosiddette "relazioni".
Sia nella sua parrocchia anglicana di Santa Maria Vergine a Oxford, sia nella parrocchia dell'Oratorio di Birmingham, Newman è sempre stato un sacerdote pastore. Tuttavia, come documentano le numerose lettere, la sua parrocchia si estendeva ben oltre i propri confini. Tutti coloro che gli scrivevano esprimendo domande e preoccupazioni ricevevano immancabilmente una risposta. La sua estrema cortesia e la sua umiltà verso tutti sono una testimonianza eloquente della sua santità, una santità che ora la Chiesa ha formalmente riconosciuto.

(©L'Osservatore Romano - 16 ottobre 2010)

LA MERCED, LA CAUTIVIDAD, NEWMAN Y LA LIBERTAD

Antonio Orozco Delclós
Arvo Net, 24.09.2010

Nuestra Señora de la Merced y los cautivos

En los últimos siglos de la Edad Media el Mediterráneo estaba infestado de corsarios. Atacaban a los barcos en las costas y hacían cautivos a muchos. Era una tragedia que sufrían muchas familias. La noche del 1 de agosto de 1218, la Virgen María inspiró a san Pedro Nolasco la fundación de la Orden Religiosa de la Merced para redención de cautivos. Jaime I, rey de Aragón y Cataluña tuvieron por separado la misma visión de la Santísima Virgen que les pedía la fundación de una orden religiosa dedicada a rescatar pacíficamente a los numerosos cautivos. Los mercedarios se comprometían con el voto de quedarse ellos mismos como rehenes, si fuera necesario, para liberar a otros más débiles en la fe. La Orden de la Merced, aprobada en 1235 por el Papa Gregorio IX, logró liberar a miles de cristianos prisioneros, convirtiéndose posteriormente en una orden dedicada a las misiones, la enseñanza y las labores en el campo social. La Virgen María sería invocada desde entonces con la advocación de la Merced, o en plural: Santa María de las Mercedes, indicando así la sobreabundancia de sus gracias. Ella concedería a sus hijos la merced de la liberación. Alfonso X el Sabio decía que sacar a los hombres de captivo es cosa que place mucho a Dios, porque es obra de la Merced. (cfr. http://magnificat.ca/cal/esp/09-24.htm)

María y la libertad de amar

Detengámonos en la relación que guarda Santa María con los cautivos y, por tanto, con la liberación y la libertad profunda de sus hijos. Mucho le interesa, porque sin libertad no podemos amar. La libertad es el gran don de Dios para el amor. Para amar es preciso conocer. No se puede amar lo que no se conoce. No se puede amar bien lo que no se conoce bien y es tan fácil conocer mal las cosas y las personas; lo cual es tanto como no conocerlas…

Conocemos mal a Dios y al prójimo. Por eso amamos mal al prójimo y a Dios. Somos esclavos de la oscuridad. Nos ofuscan el egocentrismo, la envidia, la ira, el orgullo vano... En el capítulo VIII del evangelio de Marcos, a Jesús le presentan un ciego. Lo toma de la mano y lo lleva fuera de la aldea. Pone saliva en sus ojos y le pregunta: «¿Ves algo?». El ciego responde: «veo hombres como árboles que andan». Qué cosa más rara. Un milagro a medias. ¿Ha fallado la omnipotencia de Dios o la fe del ciego? Lo primero es imposible, lo segundo no. El ciego es hombre sencillo y habla con sinceridad. Dice lo que ve. Ve cosas, pero las ve como no son. Necesita más ayuda. Tiene ya luz, pero poca. Por fortuna se encuentra ante la Luz misma («Yo soy la Luz del mundo») instándole a crecer en la fe. Jesús reitera la operación y el que era ciego ve todas las cosas con nitidez asombrosa, como son. Ha sido liberado de la oscuridad, ha abierto los ojos a la luz.

María, transparencia de Cristo

María es la transparencia misma de la Luz, la posee en singular manera. Desde que la Luz se hizo carne en su seno, un hombre -¡embrión!-, es Dios: Caro Christi caro Mariae, la carne de Cristo es carne de María, se dice con intención de largo alcance. María es La Mujer implicada en cierto modo en el orden que los teólogos llaman hipostático, esto es, el orden de la unión de la naturaleza humana con la naturaleza divina en el Logos (Verbo, Segunda Persona de la Trinidad).

María no es Dios, pero Cristo-Dios, el Redentor, la unió de tal modo a Sí que forman una relación y una unidad más profunda que la natural de madre-hijo. La expresión adecuada, si pudiéramos desarrollar una explicación, sería una caro, una unidad, una comunión de dos personas que lo comparten todo de un modo virginal-esponsal, en un sentido eminente. Se enriquece así la relación materno-filial. María forma parte de la vida de Cristo y propiamente co-rredime con Cristo en sentido propio. Cristo es suyo. Cristo se le ha donado plenamente y Ella posee toda la Gracia de Cristo. Por eso la puede dispensar, distribuir, administrar. Por lo mismo y con toda razón podemos invocarla como Nuestra Señora de las Mercedes.

Nadie debe temer que nos oculte a Cristo. María es pura transparencia. Diamante nítido, tallado para reflejar, transmitir, con más claridad a nuestros débiles ojos humanos la infinita misericordia de Dios, la incansable paciencia, el amor sin límite de su Hijo, del Padre y del Espíritu Santo. Acercarse a Nuestra Señora de las Mercedes es acercarse a la luz liberadora de la oscuridad, a la ruptura de las cadenas que nos impiden ejercer la libertad profunda en el buen amor. «Un corazón que ama desordenadamente las cosas de la tierra –escribe san Josemaría- está como sujeto por una cadena, o por un "hilillo sutil", que le impide volar a Dios» (Forja 486). Es un cautivo.

Las cosas como son

¿Qué tiene todo esto que ver con el ciego de Marcos 8? Mucho. Sin el buen amor mencionado, los hombres - mujeres y hombres - suelen parecer como árboles andantes, o acaso como rinocerontes de Ionesco, u otros monstruos que atacan y deben ser abatidos sin piedad. Son vidas útiles o inútiles, de usar y tirar, para "pasarlo bien". Así no hay manera de construir el reino de la libertad, si acaso lo que podríamos llamar "el reino de los bultos". En un autobús lleno, la gente se nos antoja ser bultos que nos oprimen a través de los cuales hay que abrirse paso. Su libertad acaba donde comienza la mía. Andar así por la vida sería monstruoso. Lo cierto es que ¡la libertad mía comienza y se enriquece en el encuentro con las demás libertades! Porque yo propiamente no existo, co-existo; no "vivo", "con-vivo". Si no comparto mi libertad soy esclavo.

Dios – ha dicho Benedicto XVI - se venga de los violentos entregándose por ellos en la cruz. Esa es la "venganza" de Dios, que nos conduce al reino de la libertad, de la justicia, de la paz, del amor al prójimo "como a uno mismo"; más, como Cristo le ama, como le ama la Madre de Dios, medianera y administradora de todas las mercedes que nos llegan de Dios.

El ejemplo del beato John Henry Newman

La merced que hoy resulta pertinente rogar a la Señora es la de liberarnos de la oscuridad que nos impide ver la verdad de las cosas. Comenzando por la verdad de la propia conciencia, la verdad del sentido de nuestra existencia, la verdad del que dijo Yo soy la Verdad, la verdad de la Iglesia, la verdad del Romano Pontífice. Qué ejemplo el de el gran John Henry Newman recientemente beatificado por el papa Benedicto XVI. Su conversión al catolicismo, igual en esto que san Pablo, no fue de la increencia a la fe, sino de una conciencia fiel a Dios y a sí misma pero equivocada, a una conciencia que, por fidelidad a sí misma, con la gracia de Dios, fue capaz de recibir la luz de la verdad plena en la Iglesia Católica Romana. Él «solo a solas con Dios», «de corazón a corazón», libró una larga e intensa batalla interior. Su Apología pro Vita Sua, es un testimonio extraordinario de cómo, de buena fe, siendo anglicano, entregado a la misión que consideraba conforme a lo que Dios le pedía, veía a la Iglesia católica como no era. Veía al Papa como no era; veía a los sacerdotes y fieles católicos, como no eran. Se hallaba condicionado por una serie de tópicos y clichés que, por cierto, siguen funcionando e impiden ver a muchos el verdadero rostro de la Iglesia. He leído hace pocos días que en un país vecino, un 20 o 25 % de jóvenes están convencidos de que Jesucristo fue un hombre casado. Así andamos de cultura histórica. Si esto es lo que los medios en general transmiten de Jesucristo, ¿qué será lo que comunican de las enseñanzas de la Iglesia católica?

No es el momento ahora de contar cómo Newman llegó a ver las cosas como son. Las divinas, como divinas; las humanas, como humanas; lo cierto, como cierto; lo dudoso, como dudoso; lo falso, como falso. Tuvo que superar dificultades sin cuento, externas e internas, de amigos y de enemigos. Siempre fiel a su conciencia. Él mismo cuenta cómo al abrazar la Iglesia católica, la luz disipaba toda oscuridad. El suelo que pisaba se tornó firme: «creía sentir una roca bajo [sus] pies; era la solidez de la Cátedra de Pedro». Se sentía tan feliz en su Presente que no albergaba preocupación alguna ni por su Pasado ni por su Futuro (cfr. J.H. Newman, Perder y ganar) . Si antes, según la doctrina anglicana, había sido crítico respecto a los privilegios que la Iglesia católica reconoce a la Madre de Cristo, ahora los consideraba lo más lógico del mundo, es decir, de un coherencia perfecta con todo el conjunto de verdades enseñadas por el Magisterio infalible. Argumenta, además, muy certeramente, que a los católicos "nadie nos obliga", a creer en el dogma de la Inmaculada Concepción de María. «La cosa es mucho más simple, dice: no es que los católicos tengamos que creer eso porque se haya definido, sino al revés, se ha definido porque los católicos lo creíamos». (La definición dogmática era reciente). Es la fe de la Iglesia, el sentido de la fe de los fieles católicos.

Para Newman, hombre como es sabido, de gran agudeza intelectual y vasta cultura, no hay conflicto entre razón y fe. Y aunque la fe supone como un salto a un nivel que le supera, la razón lo da con gusto porque así encuentra respuestas a preguntas que ella misma se formula sin poder por sí sola satisfacer.

La sensibilidad del cardenal Newman acerca de la fidelidad a la propia conciencia como espacio donde se escucha la voz de Dios, se manifiesta también cuando habla de la Virgen María, bendecida por su Hijo Jesús, por dos razones: «una, por ser la criatura más santa, pura, humilde..., como aseguran los Santos Padres al intepretar Lc 11,27. 'mirad, Él dice que es más santo guardar sus mandamientos que ser su Madre'. Y ¿creéis que la Santísima Madre de Dios no guardó los mandamientos de Dios? Nadie, desde luego – ni siquiera los protestantes – negará que los cumplió. Pues bien, siendo así, lo que dice Nuestro Señor es que la Santísima Virgen era más santa porque guardaba los mandamientos que porque fuera su Madre. ¿Qué católico niega esto? Al contrario, todos nosotros los confesamos. Todos los católicos lo confiesan. Los Santos Padres de la Iglesia nos dicen una y otra vez que Nuestra Señora era más bendita por cuanto hacía la voluntad de Dios que por ser su Madre. Era bendita de dos maneras. Era bendita siendo su Madre; era bendita estando llena del espíritu de fe y de obediencia. Y esta última bendición era la mayor. Estoy diciendo lo que dicen tan expresivamente los Santos Padres.» (1)

Abunda en citas y a continuación, Newman explica que «cuando el Ángel le anunció que estaba destinada a gozar de la bendición que las mujeres judías, época tras época, habían anhelado, de ser la Madre del Cristo esperado, Ella no se precipitó, como habría hecho otra, sino que esperó. Esperó hasta que se le dijo que ello sería compatible con su estado de virginidad. No quiso aceptar el más asombroso honor; no quiso hasta que se le satisfizo este punto. '¿Cómo podrá ocurrir esto, si yo no conozco varón?'». Quizá, al decir así, Newman esté pensando en el tiempo en que su conciencia parecía exigirle, de una parte, fidelidad a la iglesia anglicana; y por otra, le mostraba la luz que solo en la Iglesia católica se halla. Newman interpreta las palabras de la Virgen - "¿cómo se hará esto, pues yo soy virgen?"- como apelando a un «voto de virginidad». «Y consideraba, añade nuestro autor- este santo estado como algo más elevado que ser Madre de Cristo». Yo más bien diría que María tenía en su conciencia la certeza de que Dios le había pedido virginidad y, por otra, se le revelaba la elección como Madre del Hijo del Altísimo. De ahí, la perplejidad y la pregunta "¿cómo se hará esto?". (2)

Pero ahora me interesa subrayar que Newman, parece descubrir como por connaturalidad la irrupción de la certeza liberadora del no saber "cómo" y la libertad gloriosa del sí de María. Pues «Dios esperó su consentimiento antes de venir y encarnar en Ella. Así como Él no realizó actos de poder en cierto lugar porque no tenían fe, así este gran milagro, por el cual se hizo hijo de una criatura, se mantuvo en suspenso hasta que Ella fue probada y hallada en disposición para él, hasta que Ella obedeció.» Obviamente este «mantener en suspenso» el momento de algo tan decisivo para la suerte temporal y eterna de la humanidad como es la Encarnación del Hijo de Dios, indica que el acto de obediencia de la esclava del Señor es libre, con la libertad genuina y purísima de una conciencia cierta, luminosa y feliz.

Aprender de "los extranjeros"

Conociendo y respetando la dificultad que tenían los ingleses de la época, de asimilar la devoción a la Virgen que reinaba entre "los extranjeros", les dice en el sermón que citamos: «Yo no deseo que vuestras palabras vayan más allá de vuestros sentimientos. No deseo que cojáis libros conteniendo las alabanzas de la siempre Virgen Bendita y los uséis e imitéis irreflexivamente, sin consideración. Pero estad seguros de que si no sois capaces de participar del calor de los libros extranjeros de devoción, será un defecto por vuestra parte. Usar palabras brillantes no lo arreglará; es un defecto interno que sólo se puede superar poco a poco, pero es un defecto debido a esta razón y por ninguna otra. Contad con él. El camino para penetrar en los sufrimientos del Hijo es penetrar en los sufrimientos de la Madre. Poneos al pie de la cruz, ved a María allí, de pie, mirando hacia arriba y atravesada por la espada. Imaginad sus sentimientos y hacedlos vuestros. Que sea Ella vuestro gran ejemplo. Sentid lo que Ella sintió y lloraréis dignamente la muerte y pasión de vuestro Salvador y suyo. Tened su fe sencilla y creeréis bien. Pedid ser llenados con la gracia que se le concedió a Ella. ¡Ay! Vosotros deberéis tener muchos sentimientos que Ella no conoció; sentimiento del pecado personal, de dolor personal, de contrición, incluso de odio, pero éstos conducirán al pecador naturalmente a la fe, a la humildad, a la sencillez, que fueron los grandes adornos de Ella. Llorad con Ella, creed con Ella y al final experimentaréis sus bienaventuranzas, de la que habla el texto. Nadie puede tener su especial prerrogativa y ser la Madre del Altísimo pero tendréis participación en esa otra bienaventuranza suya que es la mayor: la bienaventuranza de hacer la voluntad de Dios y de guardar sus mandamientos.»

Nuestra Señora de la Merced es una advocación mariana que sería deseable promocionar. Una de las obras más conocidas de Lutero se titula: La libertad esclava. No podemos admitirlo en el mismo sentido del reformador. La corrupción de la naturaleza humana no llega a tanto y aunque la libertad del hombre caído es débil, también es real y capaz de potenciarse con la gracia de Dios y el ejercicio de las virtudes. Es verdad que nacemos bajo la sombra oscura de errores antiguos y nuevos que dificultan el conocimiento de la verdad. Es cierto que nuestra voluntad sola no basta para hacer todo el bien que queremos y podríamos, como bien tenía experimentado san Pablo. Lo que no es verdad es que estemos condenados a entrar en contradicción con la razón o la fe, a renunciar a la santidad de vida.

Dios ha venido a nuestro encuentro. Se ha hecho hombre. Ha introducido una savia nueva en el árbol frondoso de la humanidad. Ha instituido sacramentos que realmente justifican al pecador. El recién bautizado es santo y por tanto responsable de la santidad, vida divina, injertada en su vida humana. La llamada a la santidad es tan universal como la llamada a la existencia de las criaturas hechas a imagen y semejanza de Dios. Aun así muchos son cautivos de la ignorancia y andan encadenados a medios que oscurecen la conciencia y debilitan extraordinariamente la libertad. Que «la verdad os hará libres», aunque parezca increíble, no muchos lo entienden. Sin embargo, ¿cómo puede pensarse que liberan la ignorancia o el error? Creer en la libertad como señorío y dominio sobre los propios actos, con la consiguiente responsabilidad, es cosa de pocos cuando habría de ser cosa de todos. El hábito de ponerse la mano en el corazón y obrar en conciencia resolvería muchos de los problemas que tiene planteados este mundo. La conciencia, es uno de los grandes temas de John Henry Newman. La fidelidad al rumor de Dios en su corazón lo hizo sabio y santo. Ponderó las cosas en su corazón, a imagen de María Santísima. Dice un simpático personajito de Alvaro Pombo: «lo malo de pensar es que de lo que no sales es de dudas». Newman salió de dudas, en Roma, con la fe y la razón. Merced de la Madre de Dios.

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(1) John Henry Cardenal Newman. Sermones católicos, Neblí, Clásicos de Espiritualidad. Ed. Rialp, 1959, pp. 159 - 175
(2) Cfr. Antonio Orozco, Madre de Dios y Madre Nuestra. Iniciación a la Mariología, Ed. Rialp, 9ª ed. Madrid 2009, pp. 66-91; Aprender de María, ed. Rialp, Madrid 2010, p. 93 ss.

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Perché il Papa ha beatificato l'anti-orgoglio di Newman. Bruno Forte

Che cosa ha da dire alle donne e agli uomini della nostra inquieta post-modernità John Henry Newman, il pensatore inglese che Papa Benedetto XVI ha dichiarato beato oggi a Birmingham? Vorrei evidenziare la forza del suo messaggio attraverso due sottolineature.
La prima è espressa da un testo scritto da Newman poco più che trentenne, quando era ancora soltanto un giovane cercatore della verità, che fosse capace di illuminare il cuore e la vita.
È il 1833 e sulla nave che lo porta dalla Sicilia a Napoli nel suo primo viaggio in Italia la nebbia che scorge gli appare una sorta di metafora della condizione umana, figura di tutti noi che nella scarsa visibilità dell'orizzonte cerchiamo un senso alla vita: «Lead Kindly Light... Guidami, luce gentile, tra la nebbia che mi circonda, guidami tu! Buia è la notte, lontana la casa... Guida i miei passi; non voglio vedere l'orizzonte lontano; un passo alla volta è sufficiente per me».
Newman aveva fatto l'esperienza dell'autonomia presuntuosa della ragione, in questo non diverso da tanti di noi e dalle grandi avventure della coscienza moderna. È lui stesso a confessarlo: «Non sempre invocai così la tua guida. Amavo scegliere la mia strada... Amavo il giorno luminoso, l'orgoglio mi guidava... ma ora, guidami tu!».
Per questa sua vicinanza a tutti gli inquieti cercatori del vero Benedetto XVI ha potuto dire di lui, parlando ai giornalisti sull'aereo che lo portava a Edimburgo: «Newman è soprattutto un uomo moderno che ha vissuto tutto il problema della modernità, che ha vissuto anche l'agnosticismo, il problema dell'impossibilità di conoscere Dio, di credere. Un uomo che è stato tutta la sua vita in cammino, per lasciarsi trasformare dalla verità in una ricerca di grande sincerità e di grande disponibilità di conoscere e di trovare e di accettare la strada che dà la vera vita».
Cercatore di Dio, Newman è approdato alla fede e successivamente al "porto" della Chiesa cattolica attraverso un esemplare esercizio di onestà intellettuale.
Intento a scrivere quella che doveva essere un'apologia del suo anglicanesimo, il Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana, la sua mente fu come rapita dalla forza della verità, che non è il lampo di un'ora estrema o l'illuminazione di una stagione che passa, ma la luce che avvolge la ragione e la conquista nella forza serena della sua permanenza nello spazio e nel tempo: «L'acquisizione della verità non assomiglia in niente all'eccitazione per una scoperta; il nostro spirito è sottomesso alla verità, non le è, quindi, superiore ed è tenuto non tanto a dissertare su di essa, ma a venerarla... Noi ci fondiamo sulla pienezza cattolica».
Ed è struggente la confessione del senso di libertà e di pace così raggiunto, scritta da Newman vari anni dopo nella Apologia pro vita sua: «Al momento della conversione non mi rendevo conto io stesso del cambiamento intellettuale e morale operato nella mia mente. Non mi pareva di avere una fede più salda nelle verità fondamentali della rivelazione, né una maggior padronanza di me; il mio fervore non era cresciuto; ma avevo l'impressione di entrare in porto dopo una traversata agitata; per questo la mia felicità, da allora a oggi, è rimasta inalterata».
Non fu facile mantenere questa pace: abbandonato da molti degli amici e ammiratori di un tempo, osteggiato e guardato con sospetto da molti fra gli stessi cattolici, Newman dovette tener fede alla luce ricevuta con grande fortezza d'animo. A chi gli chiedeva che cosa lo avesse convinto a divenire e rimanere cattolico, rispondeva senza esitazione: «l'obbedienza alla verità».
Ed è questa la seconda sottolineatura con cui vorrei cogliere l'attualità del suo messaggio: in un'epoca di inquietudini e di incertezze, nella permanente insicurezza della nostra "società liquida", Newman dimostra che è possibile conoscere la verità che rende liberi. È la storia della sua vita a dimostrarlo.
Una sorta di confessione, scritta nei suoi ultimi anni, ce lo rivela con la forza di un'esperienza vissuta, custodita con identica passione dai tempi in cui era un neofita a quelli in cui fu fatto cardinale della Chiesa romana: «O mio Dio, tutta la mia vita non è che una catena di misericordie e di benefici, diffusi sopra di un essere che ne è indegno.
Non ho bisogno della fede per credere alla tua provvidenza verso di me, giacché ne ho fatto lunga esperienza. Tu mi hai condotto d'anno in anno, mi hai allontanato dalle strade pericolose, mi hai ritrovato se smarrito, mi hai rianimato, ristorato, mi hai sopportato, mi hai diretto, mi hai sostenuto.
O, non abbandonarmi nel momento in cui la forza mi vien meno! Tu non mi abbandonerai mai! Io posso riposarmi in te con sicurezza».
A chi di noi non parla, almeno nella forma del desiderio, una simile testimonianza?


* Bruno Forte è arcivescovo di Chieti-Vasto



IL PROFILO

John Henry Newman (Londra, 21 febbraio 1801 – Edgbaston, 11 agosto 1890), che verrà beatificato oggi da Benedetto XVI, è stato un teologo, filosofo e cardinale inglese. Nato in una famiglia anglicana, diventato diacono nel 1824, si convertì al cattolicesimo nel 1845, dopo essersi dedicato a profondi studi filosofici e teologici. È considerato uno dei più grandi prosatori inglesi, e la sua opera è molto apprezzata anche dai non cattolici. È stato definito uno dei "padri assenti" del Concilio Vaticano II per la profondità e l'originalità del suo pensiero teologico e filosofico.

«Il Sole 24 Ore» del 19 settembre 2010

De Chesterton a Benedicto XVI pasando por John Newman


Alvaro Cortina

En Inglaterra, los católicos pueden ocupar un escaño parlamentariodesde 1829, pero aún hoy no pueden subirse legalmente al trono real. Tampoco sus maridos o mujeres, aunque fueran anglicanos. Es el 'papismo', expresión típicamente suya. Entre los intelectuales católicos ingleses, hay una suerte de arropamiento. Unos papistas llevan a otros. Y todos llevan a John Henry Newman, ahora beato. Pionero. Algunos caminos sí que llevan a Roma, y pasando por este cardenal. La Congregación para las Causas de los Santos lleva trabajando un tiempo en su obra. Al parecer, ha sido decisivo el milagro de la curación de un diácono bostoniano impedido físicamente que le rezó después de ver un documental sobre su vida. Inspiradora, la vida, y acaso también el documental.

Aunque al final de su existencia, en 1877, el Trinity College de Oxford lo nombró su primer miembro honorario, y al de dos años el recién elegido Leon XIII le nombro cardenal, en vida John Newman no tuvo más que problemas. Con las jerarquías oxonianas, anglicanas, y con las papistas de Inglaterra, de Irlanda y de Roma. Siendo miembro de la Iglesia de Inglaterra, en 1833, fundó el Movimiento de Oxford, cuyo primer objetivo era defender la independencia de la Iglesia respecto al Estado, basándola en el origen apostólico de la autoridad eclesiástica. Y se fue acercando al Vaticano. Y mientras tanto hizo crecer la urticaria en los miembros de la junta directiva de los colegios oxonianos con ciertos artículos. Polemismo anglo católico.

Benson y Knox, curas literatos

En 1845 tenía 44 años. Al menos, hay dos sacerdotes literatos, posteriores (seguidores) de carrera semejante, a principios del siglo XX. Dieron este paso más jóvenes. Uno de ellos es Hugh Benson, autor de�El señor del Mundo�, (que según De Prada, "merecería figurar entre las más clarividentes utopías siniestras que jamás se hayan escrito, al lado de '1984' o 'Un mundo feliz'"). Por la novela campa el Anticristo. Y por otro lado, Ronald Knox, de Oxford, como Newman, biografiado porEvelyn Waugh en 'Embajador en el infierno', desheredado por su aventura religiosa. Knox escribió novelas policíacas con el detective Miles Bredon y nunca sufrió precariedades. Tuvo éxito. Ofició, por cierto, la misa fúnebre de Chesterton, su amigo, el rey de los anglos católicos, en la Abadía de Westminster (¡anglicana!). Uno nos lleva a otro. Pero siempre hay escalas en la inspiración común de Newman, en sus sermones y ensayos.

Por otro lado, su obra más famosa quizá sea una novela. Su título primero siendo católico. Sobre un joven, Charles Reding, que busca reposo espiritual sobre las calzadas medievales y húmedas de Oxford. La novela, autobiográfica, se llama 'Perder y ganar'. Su otra novela clave, posterior, es 'Calixta'. Estas obras, como las de autores antedichos, se pueden encontrar en editoriales católicas como Encuentro, Rialp, HomoLegens, o Palabra, o El Buey Mudo. Historiadores como Christopher Dawson ('Los orígenes de Europa') e Hilarie Belloc ('Las cruzadas') reivindican el papel clave de la Iglesia en la fundación de Occidente.

Las torres oscuras sobre San Felipe Neri

Benedicto XVI visitó el pasado día 19 el oratorio de San Felipe Neri, en Birmingham. El Papa Pío IX dio a Newman autoridad para establecer oratorios en Inglaterra y para ello le permitió adaptar la regla de San Felipe. El oratorio fue el marco en que se desarrolló el resto de la larga vida de Newman. De allí era el sacerdote que crió a J. R. Tolkien cuando su madre, conversa, murió, apartada de su familia política por su religión. El joven Tolkien veía alzarse las torres de Perrott's Folly y Edgbaston Waterworksa sobre el Oratorio de Newman. De ahí saldrían la de Sauron y la de Saruman.

Fundó Newman otro oratorio en Londres, pero aquel se volvió en contra del futuro cardenal y beato por considerarlo (los fieles de la capital) un católico demasiado moderado. Tuvo, como se ha dicho muchos detractores. En respuesta al escándalo por la instauración de la jerarquía territorial católica, en 1850, escribió 'Conferencias sobre la situación actual de los católicos en Inglaterra', y le valió una multa de 100 libras por difamación a un aludido. Esta obra es famosa, pero quizá habría que destacar 'Apologia pro vita sua', sus confesiones editadas poco a poco en semanarios, en respuesta a unos ataques públicos, en 1864. Ya estaba curado de espanto. Hasta hay quien quiso por procesarlo por herejía desde el Vaticano, en el 59, a cuenta de un artículo a favor de la consulta a laicos en materia doctrinal. Hay quien opina que Newman es uno de los principales inspiradores del Concilio del Vaticano II.

Concesiones católicas en Westminster

Se podría haber citado a otros anglos católicos eminentes, como Edith Sitwell, poeta y autora de 'Ingleses excéntricos', o Muriel Spark, o el gran Graham Greene, o el poeta Gerald Manley Hopkins, jesuita. Por cierto que hay una losa que recuerda a este último en la Abadía de Westminster. Lo mismo que a Oscar Wilde, católico también. Pero irlandés, que no es igual. ¿Y qué dicen de Chesterton con su homilía de réquiem en Westminster? Este templo de las dinastías inglesas conserva la compostura con excepciones de nivel. No hay sitio para católicos en el trono, pero sí, no obstante, en su gran catedral.

Piénsenlo, Chesterton es, quizá, el padre del papismo del siglo XX. Pero John Henry Newman, tan aficionado a la patrística, sería algo así como el padre de todos ellos. Polémicos apologetas, reconfortantes (por su brava polémica y su ingenio 'british') para el común de los fieles católicos. Siempre está bien tener a Evelyn Waugh en el bando de uno, sobre todo cuando rondan científicos tipo Richard Dawkins (hecho a la medida de Bertrand Russell) 'agnostizando' al personal. Estos católicos, casi hasta mártires, pero sin muerte. O sin casi. Para Tolkien, su madre fue una auténtica mártir, muerta de diabetes en Birmingham, en la pobreza, apartada de los suyos por su papismo. Si quieren seguir buscando, pueden leer 'Conversos', de Joseph Pearce, o 'Siete escritores conversos', de Carlos Pujol.


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El Papa: Él no me ha creado para nada. Haré el bien, ejecutaré su obra; seré un ángel de paz, un predicador de verdad justo en mi sitio

EL PAPA EN GRAN BRETAÑA: HOMILÍA EN LA BEATIFICACIÓN DE J. H. NEWMAN


"El corazón habla al corazón"


BIRMINGHAM, domingo, 19 de septiembre de 2010 (ZENIT.org).-Publicamos la homilía que pronunció Benedicto XVI este domingo al presidir en el Cofton Park de Rednal, Birmingham, la celebración eucarística de beatificación de John Henry Newman (1801-1890), cardenal y fundador de los Oratorios de San Filipino Neri, en Inglaterra.



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Queridos hermanos y hermanas en Cristo:

Nos encontramos aquí en Birmingham en un día realmente feliz. En primer lugar, porque es el día del Señor, el Domingo, el día en que el Señor Jesucristo resucitó de entre los muertos y cambió para siempre el curso de la historia humana, ofreciendo nueva vida y esperanza a todos los que viven en la oscuridad y en sombras de muerte. Es la razón por la que los cristianos de todo el mundo se reúnen en este día para alabar y dar gracias a Dios por las maravillas que ha hecho por nosotros. Este domingo en particular representa también un momento significativo en la vida de la nación británica, al ser el día elegido para conmemorar el setenta aniversario de la Batalla de Inglaterra. Para mí, que estuve entre quienes vivieron y sufrieron los oscuros días del régimen nazi en Alemania, es profundamente conmovedor estar con vosotros en esta ocasión, y poder recordar a tantos conciudadanos vuestros que sacrificaron sus vidas, resistiendo con tesón a las fuerzas de esta ideología demoníaca. Pienso en particular en la vecina Coventry, que sufrió durísimos bombardeos, con numerosas víctimas en noviembre de 1940. Setenta años después recordamos con vergüenza y horror el espantoso precio de muerte y destrucción que la guerra trae consigo, y renovamos nuestra determinación de trabajar por la paz y la reconciliación, donde quiera que amenace un conflicto. Pero existe otra razón, más alegre, por la cual este día es especial para Gran Bretaña, para el centro de Inglaterra, para Birmingham. Éste es el día en que formalmente el Cardenal John Henry Newman ha sido elevado a los altares y declarado beato.

Agradezco al Arzobispo Bernard Longley su amable acogida al comenzar la Misa en esta mañana. Agradezco a cuantos habéis trabajado tan duramente durante tantos años en la promoción de la causa del Cardenal Newman, incluyendo a los Padres del Oratorio de Birminghan y a los miembros de la Familia Espiritual Das Werk. Y os saludo a todos los que habéis venido desde diversas partes de Gran Bretaña, Irlanda y otros puntos más lejanos; gracias por vuestra presencia en esta celebración, en la que alabamos y damos gloria a Dios por las virtudes heroicas de este santo inglés.

Inglaterra tiene un larga tradición de santos mártires, cuyo valiente testimonio ha sostenido e inspirado a la comunidad católica local durante siglos. Es justo y conveniente reconocer hoy la santidad de un confesor, un hijo de esta nación que, si bien no fue llamado a derramar la sangre por el Señor, jamás se cansó de dar un testimonio elocuente de Él a lo largo de una vida entregada al ministerio sacerdotal, y especialmente a predicar, enseñar y escribir. Es digno de formar parte de la larga hilera de santos y eruditos de estas islas, San Beda, Santa Hilda, San Aelred, el Beato Duns Scoto, por nombrar sólo a algunos. En el Beato John Newman, esta tradición de delicada erudición, profunda sabiduría humana y amor intenso por el Señor ha dado grandes frutos, como signo de la presencia constante del Espíritu Santo en el corazón del Pueblo de Dios, suscitando copiosos dones de santidad.

El lema del Cardenal Newman, cor ad cor loquitur, "el corazón habla al corazón", nos da la perspectiva de su comprensión de la vida cristiana como una llamada a la santidad, experimentada como el deseo profundo del corazón humano de entrar en comunión íntima con el Corazón de Dios. Nos recuerda que la fidelidad a la oración nos va transformando gradualmente a semejanza de Dios. Como escribió en uno de sus muchos hermosos sermones, «el hábito de oración, la práctica de buscar a Dios y el mundo invisible en cada momento, en cada lugar, en cada emergencia -os digo que la oración tiene lo que se puede llamar un efecto natural en el alma, espiritualizándola y elevándola. Un hombre ya no es lo que era antes; gradualmente... se ve imbuido de una serie de ideas nuevas, y se ve impregnado de principios diferentes» (Sermones Parroquiales y Comunes, IV, 230-231). El Evangelio de hoy afirma que nadie puede servir a dos señores (cf. Lc 16,13), y el Beato John Henry, en sus enseñanzas sobre la oración, aclara cómo el fiel cristiano toma partido por servir a su único y verdadero Maestro, que pide sólo para sí nuestra devoción incondicional (cf. Mt 23,10). Newman nos ayuda a entender en qué consiste esto para nuestra vida cotidiana: nos dice que nuestro divino Maestro nos ha asignado una tarea específica a cada uno de nosotros, un "servicio concreto", confiado de manera única a cada persona concreta: «Tengo mi misión», escribe, «soy un eslabón en una cadena, un vínculo de unión entre personas. No me ha creado para la nada. Haré el bien, haré su trabajo; seré un ángel de paz, un predicador de la verdad en el lugar que me es propio... si lo hago, me mantendré en sus mandamientos y le serviré a Él en mis quehaceres» (Meditación y Devoción, 301-2).

El servicio concreto al que fue llamado el Beato John Henry incluía la aplicación entusiasta de su inteligencia y su prolífica pluma a muchas de las más urgentes "cuestiones del día". Sus intuiciones sobre la relación entre fe y razón, sobre el lugar vital de la religión revelada en la sociedad civilizada, y sobre la necesidad de un educación esmerada y amplia fueron de gran importancia, no sólo para la Inglaterra victoriana. Hoy también siguen inspirando e iluminando a muchos en todo el mundo. Me gustaría rendir especial homenaje a su visión de la educación, que ha hecho tanto por formar el ethos que es la fuerza motriz de las escuelas y facultades católicas actuales. Firmemente contrario a cualquier enfoque reductivo o utilitarista, buscó lograr unas condiciones educativas en las que se unificara el esfuerzo intelectual, la disciplina moral y el compromiso religioso. El proyecto de fundar una Universidad Católica en Irlanda le brindó la oportunidad de desarrollar sus ideas al respecto, y la colección de discursos que publicó con el título La Idea de una Universidad sostiene un ideal mediante el cual todos los que están inmersos en la formación académica pueden seguir aprendiendo. Más aún, qué mejor meta pueden fijarse los profesores de religión que la famosa llamada del Beato John Henry por unos laicos inteligentes y bien formados: «Quiero un laicado que no sea arrogante ni imprudente a la hora de hablar, ni alborotador, sino hombres que conozcan bien su religión, que profundicen en ella, que sepan bien dónde están, que sepan qué tienen y qué no tienen, que conozcan su credo a tal punto que puedan dar cuentas de él, que conozcan tan bien la historia que puedan defenderla» (La Posición Actual de los Católicos en Inglaterra, IX, 390). Hoy, cuando el autor de estas palabras ha sido elevado a los altares, pido para que, a través de su intercesión y ejemplo, todos los que trabajan en el campo de la enseñanza y de la catequesis se inspiren con mayor ardor en la visión tan clara que el nos dejó.

Aunque la extensa producción literaria sobre su vida y obras ha prestado comprensiblemente mayor atención al legado intelectual de John Henry Newman, en esta ocasión prefiero concluir con una breve reflexión sobre su vida sacerdotal, como pastor de almas. Su visión del ministerio pastoral bajo el prisma de la calidez y la humanidad está expresado de manera maravillosa en otro de sus famosos sermones: «Si vuestros sacerdotes fueran ángeles, hermanos míos, ellos no podrían compartir con vosotros el dolor, sintonizar con vosotros, no podrían haber tenido compasión de vosotros, sentir ternura por vosotros y ser indulgentes con vosotros, como nosotros podemos; ellos no podrían ser ni modelos ni guías, y no te habrían llevado de tu hombre viejo a la vida nueva, como ellos, que vienen de entre nosotros ("Hombres, no ángeles: los Sacerdotes del evangelio", Discursos a las Congregaciones Mixtas, 3). Él vivió profundamente esta visión tan humana del ministerio sacerdotal en sus desvelos pastoral por el pueblo de Birmingham, durante los años dedicados al Oratorio que él mismo fundó, visitando a los enfermos y a los pobres, consolando al triste, o atendiendo a los encarcelados. No sorprende que a su muerte, tantos miles de personas se agolparan en las calles mientras su cuerpo era trasladado al lugar de su sepultura, a no más de media milla de aquí. Ciento veinte años después, una gran multitud se ha congregado de nuevo para celebrar el solemne reconocimiento eclesial de la excepcional santidad de este padre de almas tan amado. Qué mejor que expresar nuestra alegría de este momento que dirigiéndonos a nuestro Padre del cielo con sincera gratitud, rezando con las mismas palabras que el Beato John Henry Newman puso en labios del coro celestial de los ángeles:

"Sea alabado el Santísimo en el cielo,
sea alabado en el abismo;
en todas sus palabras el más maravilloso,
el más seguro en todos sus caminos".
(El Sueño de Gerontius)

Il Papa: Egli non mi ha creato per niente. Farò il bene, compirò la sua opera; sarò un angelo di pace, un predicatore di verità proprio nel mio posto

OMELIA DEL PAPA NELLA MESSA DI BEATIFICAZIONE DEL CARD. NEWMAN


BIRMINGHAM, domenica, 19 settembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata questa domenica da Benedetto XVI nel presiedere, nel Cofton Park di Rednal a Birmingham, la Santa Messa di beatificazione del Servo di Dio John Henry Newman (1801-1890), Cardinale e fondatore degli Oratori di San Filippo Neri in Inghilterra.





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Cari Fratelli e Sorelle in Cristo,

la giornata odierna che ci ha portati qui insieme a Birmingham è di grande auspicio. In primo luogo, è il giorno del Signore, domenica, il giorno in cui nostro Signore Gesù Cristo risuscitò dai morti e cambiò per sempre il corso della storia umana, offrendo vita e speranza nuove a quanti vivevano nelle tenebre e nell’ombra della morte. Questa è la ragione per cui i cristiani in tutto il mondo si riuniscono insieme in questo giorno per dar lode e ringraziare Dio per le grandi meraviglie da lui operate per noi. Questa domenica particolare, inoltre, segna un momento significativo nella vita della nazione britannica, poiché è il giorno prescelto per commemorare il 70mo anniversario della "Battle of Britain". Per me, che ho vissuto e sofferto lungo i tenebrosi giorni del regime nazista in Germania, è profondamente commovente essere qui con voi in tale occasione, e ricordare quanti dei vostri concittadini hanno sacrificato la propria vita, resistendo coraggiosamente alle forze di quella ideologia maligna. Il mio pensiero va in particolare alla vicina Coventry, che ebbe a soffrire un così pesante bombardamento e una grave perdita di vite umane nel novembre del 1940. Settant’anni dopo, ricordiamo con vergogna ed orrore la spaventosa quantità di morte e distruzione che la guerra porta con sé al suo destarsi, e rinnoviamo il nostro proposito di agire per la pace e la riconciliazione in qualunque luogo in cui sorga la minaccia di conflitti. Ma vi è un ulteriore, più gioiosa ragione del perché questo è un giorno fausto per la Gran Bretagna, per le Midlands e per Birmingham. E’ il giorno che vede il Cardinale John Henry Newman formalmente elevato agli altari e dichiarato Beato.

Ringrazio l’Arcivescovo Bernard Longley per il cortese benvenuto rivoltomi questa mattina, all’inizio della Messa. Rendo omaggio a tutti coloro che hanno lavorato così intensamente per molti anni per promuovere la causa del Cardinale Newman, inclusi i Padri dell’Oratorio di Birmingham e i membri della Famiglia spirituale Das Werk. E saluto tutti coloro che sono qui venuti dall’intera Gran Bretagna, dall’Irlanda e da altrove; vi ringrazio per la vostra presenza a questa celebrazione, durante la quale rendiamo gloria e lode a Dio per le virtù eroiche di questo sant’uomo inglese.

L’Inghilterra ha una grande tradizione di Santi martiri, la cui coraggiosa testimonianza ha sostenuto ed ispirato la comunità cattolica locale per secoli. E tuttavia è giusto e conveniente che riconosciamo oggi la santità di un confessore, un figlio di questa Nazione che, pur non essendo chiamato a versare il proprio sangue per il Signore, gli ha tuttavia dato testimonianza eloquente nel corso di una vita lunga dedicata al ministero sacerdotale, specialmente alla predicazione, all’insegnamento e agli scritti. E’ degno di prendere il proprio posto in una lunga scia di Santi e Maestri di queste isole, san Beda, sant’Hilda, san Aelredo, il beato Duns Scoto solo per nominarne alcuni. Nel beato John Henry quella gentile tradizione di insegnamento, di profonda saggezza umana e di intenso amore per il Signore ha dato ricchi frutti quale segno della continua presenza dello Spirito Santo nel profondo del cuore del Popolo di Dio, facendo emergere abbondanti doni di santità.

Il motto del Cardinale Newman, Cor ad cor loquitur, "il cuore parla al cuore", ci permette di penetrare nella sua comprensione della vita cristiana come chiamata alla santità, sperimentata come l’intenso desiderio del cuore umano di entrare in intima comunione con il Cuore di Dio. Egli ci rammenta che la fedeltà alla preghiera ci trasforma gradualmente nell’immagine divina. Come scrisse in uno dei suoi forbiti sermoni: "l’abitudine alla preghiera, che è pratica di rivolgersi a Dio e al mondo invisibile in ogni stagione, in ogni luogo, in ogni emergenza, la preghiera, dico, ha ciò che può essere chiamato un effetto naturale nello spiritualizzare ed elevare l’anima. Un uomo non è più ciò che era prima; gradualmente… ha interiorizzato un nuovo sistema di idee ed è divenuto impregnato di freschi principi" (Parochial and plain sermons, IV, 230-231). Il Vangelo odierno ci dice che nessuno può essere servo di due padroni (cfr Lc 16,13), e l’insegnamento del Beato John Henry sulla preghiera spiega come il fedele cristiano si sia posto in maniera definitiva al servizio dell’unico vero Maestro, il quale soltanto ha il diritto alla nostra devozione incondizionata (cfr Mt 23,10). Newman ci aiuta a comprendere cosa significhi questo nella nostra vita quotidiana: ci dice che il nostro divino Maestro ha assegnato un compito specifico a ciascuno di noi, un "servizio ben definito", affidato unicamente ad ogni singolo: "io ho la mia missione – scrisse – sono un anello in una catena, un vincolo di connessione fra persone. Egli non mi ha creato per niente. Farò il bene, compirò la sua opera; sarò un angelo di pace, un predicatore di verità proprio nel mio posto… se lo faccio obbedirò ai suoi comandamenti e lo servirò nella mia vocazione" (Meditations and devotions, 301-2).

Lo specifico servizio al quale il Beato John Henry Newman fu chiamato comportò l’applicazione del suo sottile intelletto e della sua prolifica penna a molti dei più urgenti "problemi del giorno". Le sue intuizioni sulla relazione fra fede e ragione, sullo spazio vitale della religione rivelata nella società civilizzata, e sulla necessità di un approccio all’educazione ampiamente fondato e a lungo raggio, non furono soltanto di importanza profonda per l’Inghilterra vittoriana, ma continuano ancor oggi ad ispirare e ad illuminare molti in tutto il mondo. Desidero rendere onore alla sua visione dell’educazione, che ha fatto così tanto per plasmare l’"ethos" che è la forza sottostante alle scuole ed agli istituti universitari cattolici di oggi. Fermamente contrario ad ogni approccio riduttivo o utilitaristico, egli cercò di raggiungere un ambiente educativo nel quale la formazione intellettuale, la disciplina morale e l’impegno religioso procedessero assieme. Il progetto di fondare un’università cattolica in Irlanda gli diede l’opportunità di sviluppare le proprie idee su tale argomento e la raccolta di discorsi da lui pubblicati come The Idea of a University contiene un ideale dal quale possono imparare quanti sono impegnati nella formazione accademica. Ed in verità, quale meta migliore potrebbero proporsi gli insegnanti di religione se non quel famoso appello del Beato John Henry per un laicato intelligente e ben istruito: "Voglio un laicato non arrogante, non precipitoso nei discorsi, non polemico, ma uomini che conoscono la propria religione, che in essa vi entrino, che sappiano bene dove si ergono, che sanno cosa credono e cosa non credono, che conoscono il proprio credo così bene da dare conto di esso, che conoscono così bene la storia da poterlo difendere" (The Present Position of Catholics in England, IX, 390). Oggi quando l’autore di queste parole viene innalzato sugli altari, prego che, mediante la sua intercessione ed il suo esempio, quanti sono impegnati nel compito dell’insegnamento e della catechesi siano ispirati ad un più grande sforzo dalla sua visione, che così chiaramente pone davanti a noi.

Mentre il testamento intellettuale di John Henry Newman è stato quello che comprensibilmente ha ricevuto le maggiori attenzioni nella vasta pubblicistica sulla sua vita e la sua opera, preferisco in questa occasione, concludere con una breve riflessione sulla sua vita di sacerdote e di pastore d’anime. Il calore e l’umanità che sottostanno al suo apprezzamento del ministero pastorale vengono magnificamente espressi da un altro dei suoi famosi discorsi: "Se gli angeli fossero stati i vostri sacerdoti, cari fratelli, non avrebbero potuto partecipare alle vostre sofferenze, né compatirvi, né aver compassione per voi, né provare tenerezza nei vostri confronti e trovare motivi per giustificarvi, come possiamo noi; non avrebbero potuto essere modelli e guide per voi, ed avervi condotto dal vostro uomo vecchio a vita nuova, come lo possono quanti vengono dal vostro stesso ambiente ("Men, not Angels: the Priests of the Gospel", Discourses to mixed congregations, 3). Egli visse quella visione profondamente umana del ministero sacerdotale nella devota cura per la gente di Birmingham durante gli anni spesi nell’Oratorio da lui fondato, visitando i malati ed i poveri, confortando i derelitti, prendendosi cura di quanti erano in prigione. Non meraviglia che alla sua morte molte migliaia di persone si posero in fila per le strade del luogo mentre il suo corpo veniva portato alla sepoltura a mezzo miglio da qui. Cento vent’anni dopo, grandi folle si sono nuovamente qui riunite per rallegrarsi del solenne riconoscimento della Chiesa per l’eccezionale santità di questo amatissimo padre di anime. Quale modo migliore per esprimere la gioia di questo momento se non quella di rivolgerci al nostro Padre celeste in cordiale ringraziamento, pregando con le parole poste dal Beato John Henry Newman sulle labbra dei cori degli angeli in cielo:

Lode a Colui che è Santissimo nell’alto dei cieli
E lode sia nelle profondità;
Bellissimo in tutte le sue parole,
ma ben di più in tutte le sue vie!
(The dream of Gerontius).

El Papa: No a separación fe-vida. Acoger la Verdad a través de una dinámica espiritual que penetra hasta a las más íntimas fibras de nuestro ser

Vigilia de oración para la beatificación del cardenal Newman


LONDRES, sábado 18 de septiembre de 2010 (ZENIT.org).- Ofrecemos a continuación el discurso que pronunció hoy el Papa Benedicto XVI durante la celebración de la Vigilia de oración por la beatificación del cardenal John Henry Newman, en el Hyde Park de Londres.



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Hermanos y hermanas en Cristo:

Ésta es una noche de alegría, de gozo espiritual inmenso para todos nosotros. Nos hemos reunido aquí en esta vigilia de oración para preparar la Misa de mañana, durante la que un gran hijo de esta nación, el cardenal John Henry Newman, será declarado beato. Cuántas personas han anhelado este momento, en Inglaterra y en todo el mundo. También es una gran alegría para mí, personalmente, compartir con vosotros esta experiencia. Como sabéis, durante mucho tiempo, Newman ha ejercido una importante influencia en mi vida y pensamiento, como también en otras muchas personas más allá de estas islas. El drama de la vida de Newman nos invita a examinar nuestras vidas, para verlas en el amplio horizonte del plan de Dios y crecer en comunión con la Iglesia de todo tiempo y lugar: la Iglesia de los apóstoles, la Iglesia de los mártires, la Iglesia de los santos, la Iglesia que Newman amaba y a cuya misión dedicó toda su vida.

Agradezco al Arzobispo Peter Smith sus amables palabras de bienvenida en vuestro nombre, y me complace vivamente ver a tantos jóvenes presentes en esta vigilia. Esta tarde, en el contexto de nuestra oración común, me gustaría reflexionar con vosotros sobre algunos aspectos de la vida de Newman, que considero muy relevantes para nuestra vida como creyentes y para la vida de la Iglesia de hoy.

Permitidme empezar recordando que Newman, por su propia cuenta, trazó el curso de toda su vida a la luz de una poderosa experiencia de conversión que tuvo siendo joven. Fue una experiencia inmediata de la verdad de la Palabra de Dios, de la realidad objetiva de la revelación cristiana tal y como se recibió en la Iglesia. Esta experiencia, a la vez religiosa e intelectual, inspiraría su vocación a ser ministro del Evangelio, su discernimiento de la fuente de la enseñanza autorizada en la Iglesia de Dios y su celo por la renovación de la vida eclesial en fidelidad a la tradición apostólica. Al final de su vida, Newman describe el trabajo de su vida como una lucha contra la creciente tendencia a percibir la religión como un asunto puramente privado y subjetivo, una cuestión de opinión personal. He aquí la primera lección que podemos aprender de su vida: en nuestros días, cuando un relativismo intelectual y moral amenaza con minar la base misma de nuestra sociedad, Newman nos recuerda que, como hombres y mujeres a imagen y semejanza de Dios, fuimos creados para conocer la verdad, y encontrar en esta verdad nuestra libertad última y el cumplimiento de nuestras aspiraciones humanas más profundas. En una palabra, estamos destinados a conocer a Cristo, que es "el camino, y la verdad, y la vida" (Jn 14,6).

La vida de Newman nos enseña también que la pasión por la verdad, la honestidad intelectual y la auténtica conversión son costosas. No podemos guardar para nosotros mismos la verdad que nos hace libres; hay que dar testimonio de ella, que pide ser escuchada, y al final su poder de convicción proviene de sí misma y no de la elocuencia humana o de los argumentos que la expongan. No lejos de aquí, en Tyburn, un gran número de hermanos y hermanas nuestros murieron por la fe. Su testimonio de fidelidad hasta el final fue más poderoso que las palabras inspiradas que muchos de ellos pronunciaron antes de entregar todo al Señor. En nuestro tiempo, el precio que hay que pagar por la fidelidad al Evangelio ya no es ser ahorcado, descoyuntado y descuartizado, pero a menudo implica ser excluido, ridiculizado o parodiado. Y, sin embargo, la Iglesia no puede sustraerse a la misión de anunciar a Cristo y su Evangelio como verdad salvadora, fuente de nuestra felicidad definitiva como individuos y fundamento de una sociedad justa y humana.

Por último, Newman nos enseña que si hemos aceptado la verdad de Cristo y nos hemos comprometido con él, no puede haber separación entre lo que creemos y lo que vivimos. Cada uno de nuestros pensamientos, palabras y obras deben buscar la gloria de Dios y la extensión de su Reino. Newman comprendió esto, y fue el gran valedor de la misión profética de los laicos cristianos. Vio claramente que lo que hacemos no es tanto aceptar la verdad en un acto puramente intelectual, sino abrazarla en una dinámica espiritual que penetra hasta la esencia de nuestro ser. Verdad que se transmite no sólo por la enseñanza formal, por importante que ésta sea, sino también por el testimonio de una vida íntegra, fiel y santa; y los que viven en y por la verdad instintivamente reconocen lo que es falso y, precisamente como falso, perjudicial para la belleza y la bondad que acompañan el esplendor de la verdad, veritatis splendor.

La primera lectura de esta noche es la magnífica oración en la que San Pablo pide que comprendamos "lo que trasciende toda filosofía: el amor cristiano" (Ef 3,14-21). El apóstol desea que Cristo habite en nuestros corazones por la fe (cf. Ef 3,17) y que podamos comprender con todos los santos "lo ancho, lo largo, lo alto y lo profundo" de ese amor. Por la fe, llegamos a ver la palabra de Dios como lámpara para nuestros pasos y luz en nuestro sendero (cf. Sal 119,105). Newman, igual que innumerables santos que le precedieron en el camino del discipulado cristiano, enseñó que la "bondadosa luz" de la fe nos lleva a comprender la verdad sobre nosotros mismos, nuestra dignidad como hijos de Dios y el destino sublime que nos espera en el cielo. Al permitir que brille la luz de la fe en nuestros corazones, y permaneciendo en esa luz a través de nuestra unión cotidiana con el Señor en la oración y la participación en la vida que brota de los sacramentos de la Iglesia, llegamos a ser luz para los que nos rodean; ejercemos nuestra "misión profética"; con frecuencia, sin saberlo si quiera, atraemos a la gente un poco más cerca del Señor y su verdad. Sin la vida de oración, sin la transformación interior que se lleva a cabo a través de la gracia de los sacramentos, no podemos, en palabras de Newman, "irradiar a Cristo"; nos convertimos en otros "platillos que aturden" (1 Co 13,1) en un mundo lleno de creciente ruido y confusión, lleno de falsos caminos que sólo conducen a angustias y espejismos.

En una de las meditaciones más queridas del Cardenal se dice: "Dios me ha creado para una misión concreta. Me ha confiado una tarea que no ha encomendado a otro" (Meditaciones sobre la doctrina cristiana). Aquí vemos el agudo realismo cristiano de Newman, el punto en que fe y vida inevitablemente se cruzan. La fe busca dar frutos en la transformación de nuestro mundo a través del poder del Espíritu Santo, que actúa en la vida y obra de los creyentes. Nadie que contemple con realismo nuestro mundo de hoy podría pensar que los cristianos pueden permitirse el lujo de continuar como si no pasara nada, haciendo caso omiso de la profunda crisis de fe que impregna nuestra sociedad, o confiando sencillamente en que el patrimonio de valores transmitido durante siglos de cristianismo seguirá inspirando y configurando el futuro de nuestra sociedad. Sabemos que en tiempos de crisis y turbación Dios ha suscitado grandes santos y profetas para la renovación de la Iglesia y la sociedad cristiana; confiamos en su providencia y pedimos que nos guíe constantemente. Pero cada uno de nosotros, de acuerdo con su estado de vida, está llamado a trabajar por el progreso del Reino de Dios, infundiendo en la vida temporal los valores del Evangelio. Cada uno de nosotros tiene una misión, cada uno de nosotros está llamado a cambiar el mundo, a trabajar por una cultura de la vida, una cultura forjada por el amor y el respeto a la dignidad de cada persona humana. Como el Señor nos dice en el Evangelio que acabamos de escuchar, nuestra luz debe alumbrar a todos, para que, viendo nuestras buenas obras, den gloria a nuestro Padre, que está en el cielo (cf. Mt 5,16).

Deseo ahora dirigir una palabra especial a los numerosos jóvenes presentes. Queridos jóvenes amigos: sólo Jesús conoce la "misión concreta" que piensa para vosotros. Dejad que su voz resuene en lo más profundo de vuestro corazón: incluso ahora mismo, su corazón está hablando a vuestro corazón. Cristo necesita familias para recordar al mundo la dignidad del amor humano y la belleza de la vida familiar. Necesita hombres y mujeres que dediquen su vida a la noble labor de educar, atendiendo a los jóvenes y formándolos en el camino del Evangelio. Necesita a quienes consagrarán su vida a la búsqueda de la caridad perfecta, siguiéndole en castidad, pobreza y obediencia y sirviéndole en sus hermanos y hermanas más pequeños. Necesita el gran amor de la vida religiosa contemplativa, que sostiene el testimonio y la actividad de la Iglesia con su oración constante. Y necesita sacerdotes, buenos y santos sacerdotes, hombres dispuestos a dar su vida por sus ovejas. Preguntadle al Señor lo que desea de vosotros. Pedidle la generosidad de decir sí. No tengáis miedo a entregaros completamente a Jesús. Él os dará la gracia que necesitáis para acoger su llamada. Permitidme terminar estas pocas palabras invitándoos vivamente a acompañarme el próximo año en Madrid en la Jornada Mundial de la Juventud. Siempre es una magnífica ocasión para crecer en el amor a Cristo y animaros a una gozosa vida de fe junto a miles de jóvenes. Espero ver a muchos de vosotros allí.

Y ahora, queridos amigos, sigamos con nuestra vigilia de oración para preparar nuestro encuentro con Cristo, presente entre nosotros en el Santísimo Sacramento del Altar. Juntos, en el silencio de nuestra adoración en común, abramos nuestras mentes y corazones a su presencia, a su amor y al poder convincente de su verdad. Démosle gracias especialmente por el testimonio perenne de la verdad, ofrecido por el Cardenal John Henry Newman. Confiando en sus oraciones, pidamos al Señor que ilumine nuestro camino y el camino de toda la sociedad británica, con la luz amable de su verdad, su amor y su paz. Amén.

[©Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

Il Papa: No a separazione fede-vita. Accogliere la Verità mediante una dinamica spirituale che penetra sino alle più intime fibre del nostro essere

IL PAPA NELLA VEGLIA DI PREGHIERA PER LA BEATIFICAZIONE DEL CARDINALE NEWMAN


LONDRA, sabato, 18 settembre 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo il testo del discorso che Papa Benedetto XVI ha pronunciato questo sabato pomeriggio presiedendo la veglia di preghiera per la beatificazione del Cardinale John Henry Newman.





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Cari Fratelli e Sorelle in Cristo,

questa è una serata di gioia, di immensa gioia spirituale per tutti noi. Siamo qui riuniti in questa veglia di preghiera per prepararci alla Messa di domani, durante la quale un grande figlio di questa Nazione, il Cardinale John Henry Newman, sarà dichiarato Beato. Quante persone, in Inghilterra e in tutto il mondo, hanno atteso questo momento! Anche per me personalmente è una grande gioia condividere questa esperienza con voi. Come sapete, Newman ha avuto da tanto tempo un influsso importante nella mia vita e nel mio pensiero, come lo è stato per moltissime persone al di là di queste isole. Il dramma della vita di Newman ci invita ad esaminare le nostre vite, a vederle nel contesto del vasto orizzonte del piano di Dio, e a crescere in comunione con la Chiesa di ogni tempo e di ogni luogo: la Chiesa degli Apostoli, la Chiesa dei martiri, la Chiesa dei santi, la Chiesa che Newman amò ed alla cui missione consacrò la propria intera esistenza.

Ringrazio l’Arcivescovo Peter Smith per le gentili parole di benvenuto pronunciate a vostro nome, e sono particolarmente lieto di vedere molti giovani presenti a questa veglia. Questa sera, nel contesto della preghiera comune, desidero riflettere con voi su alcuni aspetti della vita di Newman, che considero importanti per le nostre vite di credenti e per la vita della Chiesa oggi.

Permettetemi di cominciare ricordando che Newman, secondo il suo stesso racconto, ha ripercorso il cammino della sua intera vita alla luce di una potente esperienza di conversione, che ebbe quando era giovane. Fu un’esperienza immediata della verità della Parola di Dio, dell’oggettiva realtà della rivelazione cristiana quale era stata trasmessa nella Chiesa. Tale esperienza, al contempo religiosa e intellettuale, avrebbe ispirato la sua vocazione ad essere ministro del Vangelo, il suo discernimento della sorgente di insegnamento autorevole nella Chiesa di Dio ed il suo zelo per il rinnovamento della vita ecclesiale nella fedeltà alla tradizione apostolica. Alla fine della vita, Newman avrebbe descritto il proprio lavoro come una lotta contro la tendenza crescente a considerare la religione come un fatto puramente privato e soggettivo, una questione di opinione personale. Qui vi è la prima lezione che possiamo apprendere dalla sua vita: ai nostri giorni, quando un relativismo intellettuale e morale minaccia di fiaccare i fondamenti stessi della nostra società, Newman ci rammenta che, quali uomini e donne creati ad immagine e somiglianza di Dio, siamo stati creati per conoscere la verità, per trovare in essa la nostra definitiva libertà e l’adempimento delle più profonde aspirazioni umane. In una parola, siamo stati pensati per conoscere Cristo, che è Lui stesso "la via, la verità e la vita" (Gv 14,6).

L’esistenza di Newman, inoltre, ci insegna che la passione per la verità, per l’onestà intellettuale e per la conversione genuina comportano un grande prezzo da pagare. La verità che ci rende liberi non può essere trattenuta per noi stessi; esige la testimonianza, ha bisogno di essere udita, ed in fondo la sua potenza di convincere viene da essa stessa e non dall’umana eloquenza o dai ragionamenti nei quali può essere adagiata. Non lontano da qui, a Tyburn, un gran numero di nostri fratelli e sorelle morirono per la fede; la testimonianza della loro fedeltà sino alla fine fu ben più potente delle parole ispirate che molti di loro dissero prima di abbandonare ogni cosa al Signore. Nella nostra epoca, il prezzo da pagare per la fedeltà al Vangelo non è tanto quello di essere impiccati, affogati e squartati, ma spesso implica l’essere additati come irrilevanti, ridicolizzati o fatti segno di parodia. E tuttavia la Chiesa non si può esimere dal dovere di proclamare Cristo e il suo Vangelo quale verità salvifica, la sorgente della nostra felicità ultima come individui, e quale fondamento di una società giusta e umana.

Infine, Newman ci insegna che se abbiamo accolto la verità di Cristo e abbiamo impegnato la nostra vita per lui, non vi può essere separazione tra ciò che crediamo ed il modo in cui viviamo la nostra esistenza. Ogni nostro pensiero, parola e azione devono essere rivolti alla gloria di Dio e alla diffusione del suo Regno. Newman comprese questo e fu il grande campione dell’ufficio profetico del laicato cristiano. Vide chiaramente che non dobbiamo tanto accettare la verità come un atto puramente intellettuale, quanto piuttosto accoglierla mediante una dinamica spirituale che penetra sino alle più intime fibre del nostro essere. La verità non viene trasmessa semplicemente mediante un insegnamento formale, pur importante che sia, ma anche mediante la testimonianza di vite vissute integralmente, fedelmente e santamente; coloro che vivono della e nella verità riconoscono istintivamente ciò che è falso e, proprio perché falso, è nemico della bellezza e della bontà che accompagna lo splendore della verità, veritatis splendor.

La prima lettura di stasera è la magnifica preghiera con la quale san Paolo chiede che ci sia dato di conoscere "l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza" (cfr Ef 3,14-21). L’Apostolo prega affinché Cristo dimori nei nostri cuori mediante la fede (cfr Ef 3,17) e perché possiamo giungere a "comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità" di quell’amore. Mediante la fede giungiamo a vedere la parola di Dio come una lampada per i nostri passi e luce del nostro cammino (cfr Sal 119, 105). Come innumerevoli santi che lo precedettero sulla via del discepolato cristiano, Newman insegnò che la "luce gentile" della fede ci conduce a renderci conto della verità su noi stessi, sulla nostra dignità di figli di Dio, e sul sublime destino che ci attende in cielo. Permettendo a questa luce della fede di risplendere nei nostri cuori e abbandonandoci ad essa mediante la quotidiana unione al Signore nella preghiera e nella partecipazione ai sacramenti della Chiesa, datori di vita, diventiamo noi stessi luce per quanti ci stanno attorno; esercitiamo il nostro "ufficio profetico"; spesso, senza saperlo, attiriamo le persone più vicino al Signore ed alla sua verità. Senza la vita di preghiera, senza l’interiore trasformazione che avviene mediante la grazia dei sacramenti, non possiamo – con le parole di Newman – "irradiare Cristo"; diveniamo semplicemente un altro "cembalo squillante" (1Cor 13,1) in un mondo già pieno di crescente rumore e confusione, pieno di false vie che conducono solo a profondo dolore del cuore e ad illusione.

Una delle più amate meditazioni del Cardinale contiene queste parole: "Dio mi ha creato per offrire a lui un certo specifico servizio. Mi ha affidato un certo lavoro che non ha affidato ad altri" (Meditations on Christian Doctrine). Vediamo qui il preciso realismo cristiano di Newman, il punto nel quale la fede e la vita inevitabilmente si incrociano. La fede è destinata a portare frutto nella trasformazione del nostro mondo mediante la potenza dello Spirito Santo che opera nella vita e nell’attività dei credenti. Nessuno che guardi realisticamente al nostro mondo d’oggi può pensare che i cristiani possano continuare a far le cose di ogni giorno, ignorando la profonda crisi di fede che è sopraggiunta nella società, o semplicemente confidando che il patrimonio di valori trasmesso lungo i secoli cristiani possa continuare ad ispirare e plasmare il futuro della nostra società. Sappiamo che in tempi di crisi e di ribellioni Dio ha fatto sorgere grandi santi e profeti per il rinnovamento della Chiesa e della società cristiana; noi abbiamo fiducia nella sua provvidenza e preghiamo per la sua continua guida. Ma ciascuno di noi, secondo il proprio stato di vita, è chiamato ad operare per la diffusione del Regno di Dio impregnando la vita temporale dei valori del Vangelo. Ciascuno di noi ha una missione, ciascuno è chiamato a cambiare il mondo, ad operare per una cultura della vita, una cultura forgiata dall’amore e dal rispetto per la dignità di ogni persona umana. Come il Signore ci insegna nel Vangelo appena ascoltato, la nostra luce deve risplendere al cospetto di tutti, così che, vedendo le nostre opere buone, possano dar gloria al nostro Padre celeste (cfr Mt 5,16).

Qui desidero dire una parola speciale ai molti giovani presenti. Cari giovani amici: solo Gesù conosce quale "specifico servizio" ha in mente per voi. Siate aperti alla sua voce che risuona nel profondo del vostro cuore: anche ora il suo cuore parla al vostro cuore. Cristo ha bisogno di famiglie che ricordano al mondo la dignità dell’amore umano e la bellezza della vita familiare. Egli ha bisogno di uomini e donne che dedichino la loro vita al nobile compito dell’educazione, prendendosi cura dei giovani e formandoli secondo le vie del Vangelo. Ha bisogno di quanti consacreranno la propria vita al perseguimento della carità perfetta, seguendolo in castità, povertà e obbedienza, e servendoLo nel più piccolo dei nostri fratelli e sorelle. Ha bisogno dell’amore potente dei religiosi contemplativi che sorreggono la testimonianza e l’attività della Chiesa mediante la loro continua orazione. Ed ha bisogno di sacerdoti, buoni e santi sacerdoti, uomini disposti a perdere la propria vita per il proprio gregge. Chiedete a Dio cosa ha in mente per voi! Chiedetegli la generosità di dirgli di sì! Non abbiate paura di donarvi interamente a Gesù. Vi darà la grazia necessaria per adempiere alla vostra vocazione. Permettetemi di concludere queste poche parole invitandovi ad unirvi a me il prossimo anno a Madrid per la Giornata Mondiale della Gioventù. Si tratta sempre di una splendida occasione per crescere nell’amore per Cristo ed essere incoraggiati nella vostra gioiosa vita di fede assieme a migliaia di altri giovani. Spero di vedere là molti di voi!

Ed ora, cari amici, continuiamo questa veglia di preghiera preparandoci ad incontrare Cristo, presente fra noi nel Santissimo Sacramento dell’Altare. Insieme, nel silenzio della nostra comune adorazione, apriamo le menti ed i cuori alla sua presenza, al suo amore, alla potenza convincente della sua verità. In modo speciale, ringraziamolo per la continua testimonianza a quella verità, offerta dal Cardinale John Henry Newman. Confidando nelle sue preghiere, chiediamo a Dio di illuminare i nostri passi e quelli della società britannica, con la luce gentile della sua verità, del suo amore, della sua pace. Amen.

La verità non è un'opinione. Per una sintesi del pensiero del nuovo beato (John Henry Newman)

di Edoardo Aldo Cerrato
Tratto da L'Osservatore Romano del 16 settembre 2010

La beatificazione di John Henry Newman certifica che egli ha vissuto da vero discepolo di Cristo, lui che alla domanda rivoltagli da un bambino - "Chi è più grande: un cardinale o un santo?" - aveva risposto: "Vedi, piccolo mio, un cardinale appartiene alla terra: è terrestre; un santo appartiene al cielo, è celeste". Ma mette in evidenza anche - è elemento fondamentale della vita di Newman - l'uomo che per tutta la vita ha cercato la verità con una onestà intellettuale e una capacità di tener conto di tutti i fattori che lo hanno reso un precursore di molte scoperte divenute patrimonio comune della Chiesa.

Il pensiero newmaniano non è facile da sintetizzare in un sistema unitario: Newman è un profondo pensatore, una personalità intellettualmente poliedrica che, anche negli scritti apparentemente più teorici, si è lasciata guidare da avvenimenti interiori ed esterni, come ha messo in evidenza Roderick Strange nel suo recente John Henry Newman. Una biografia spirituale: "fu sempre più interessato alla realtà che alla teoria. Si occupava di ciò che veramente accadeva".

Se da sempre il pensiero di Newman ha suscitato interesse per la ricchezza, oggi esercita un fascino particolare anche per la sua attualità.

Tra gli innumerevoli elementi che giustamente dovrebbero essere sottolineati ne scegliamo uno, che ci pare, tra l'altro, sotteso a tutti: quello che Newman stesso volle porre al centro del "discorso del biglietto" - per la nomina a cardinale - da lui pronunciato il 12 maggio 1879 a Palazzo della Pigna a Roma e riportato integralmente due giorni dopo sulla prima pagina de "L'Osservatore Romano": "Per trenta, quaranta, cinquant'anni ho cercato di contrastare con tutte le mie forze lo spirito del liberalismo nella religione. Mai la santa Chiesa ha avuto maggiore necessità di qualcuno che vi si opponesse più di oggi, quando, ahimé! si tratta ormai di un errore che si estende come trappola mortale su tutta la terra; e nella presente occasione, così grande per me, quando è naturale che io estenda lo sguardo a tutto il mondo, alla santa Chiesa e al suo futuro, non sarà spero ritenuto inopportuno che io rinnovi quella condanna che già così spesso ho pronunciato. Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c'è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza. È contro qualunque riconoscimento di una religione come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire tutto ciò che più colpisce la sua fantasia. La devozione non si fonda necessariamente sulla fede. Si possono frequentare le Chiese protestanti e le Chiese cattoliche, sedere alla mensa di entrambe e non appartenere a nessuna. Si può fraternizzare e avere pensieri e sentimenti spirituali in comune, senza nemmeno porsi il problema di una comune dottrina o sentirne l'esigenza. Poiché dunque la religione è una caratteristica così personale e una proprietà così privata, si deve assolutamente ignorarla nei rapporti tra le persone. Se anche uno cambiasse religione ogni mattina, a te che cosa dovrebbe importare?".

Al Simposio organizzato dal Centro degli Amici di Newman nel 1990 per il primo centenario della morte del fondatore dell'Oratorio inglese, il cardinale Joseph Ratzinger affermava: "Tutta la vita di Newman fu il superamento della posizione del soggettivismo evangelico, in favore d'una concezione del cristianesimo fondata sull'oggettività del dogma. A questo proposito trovo sempre grandemente significativa, ma particolarmente oggi, una formulazione tratta da una delle sue prediche dell'epoca anglicana. Il vero cristianesimo si dimostra nell'obbedienza, e non in uno stato di coscienza. Così tutto il compito e il lavoro di un cristiano si organizza attorno a questi due elementi: la fede e l'obbedienza; "egli guarda a Gesù" (Ebrei, 2, 9) e agisce secondo la sua volontà. Mi sembra che oggi corriamo il pericolo di non dare il peso che dovremmo a nessuno dei due. Consideriamo qualsiasi vera e accurata riflessione sul contenuto della fede come sterile ortodossia, come astruseria tecnica. Di conseguenza facciamo consistere il criterio della nostra pietà nel possesso di una cosiddetta disposizione d'animo spirituale". E continuò sottolineando il legame tra verità e coscienza personale: "Newman insegnava che la coscienza doveva essere nutrita come "un modo di obbedienza alla verità oggettiva"" ("Euntes Docete. Commentaria Urbaniana", Roma, xliii/1990/3, pp. 431-436).

Newman testimonia con la sua vita intera la centralità che in lui occupa questa convinzione e quanto disastrose egli ritenesse le conseguenze del mancato riconoscimento della religione rivelata come vera, oggettiva, del considerarla qualcosa di privato da cui scegliere per sé quel che pare: viene alla mente, pensando a tali conseguenze, ciò che ancora alla vigilia della sua elezione al pontificato, nella messa pro eligendo Pontifice, disse il cardinale Ratzinger: una barca scossa dalle onde create da correnti ideologiche, "dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all'individualismo radicale; dall'ateismo a un vago misticismo religioso; dall'agnosticismo al sincretismo e così via. (...) Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie".

Tutto il cammino di Newman testimonia che la via della coscienza non è chiusura nel proprio "Io", ma è apertura, conversione, obbedienza a Colui che è l'amore e la verità: tra coscienza e verità c'è un legame intrinseco, e la dignità della coscienza non comporta il minimo cedimento all'arbitrarietà o al relativismo. E testimonia che la ragione - lo diciamo con le parole di Fortunato Morrone nella relazione al convegno "John Henry Newman oggi, lògos e dialogo" dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (2009) - "colta nella concretezza dell'esperienza umana dei singoli, fatta di relazioni, di immaginazione, di sentimenti, di puntuali e limitate contingenze storiche (...) possiede una sua dinamica che tende inevitabilmente alla verità".

"Ex umbra et imaginibus ad veritatem". "Cor ad cor loquitur". Nelle parole dettate da Newman per l'epigrafe della sua tomba e in quelle da lui scelte come motto per lo stemma cardinalizio, c'è davvero la potente sintesi di un immenso patrimonio di pensiero e di convinzioni.