Autore: Amato, Gianfranco Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
sabato 9 ottobre 2010
La Provvidenza, o il caso per chi non crede, si è incaricata di dare un altro duro colpo ai sostenitori del suicidio assistito in Gran Bretagna. Lo ha fatto attraverso la vicenda della guarigione di Graham Miles, affetto dalla sindrome neurologica chiamata “locked-in” (imprigionato dentro), che lo ha paralizzato dalla testa ai piedi, costringendolo in quella condizione che i giudici della prima sezione civile della Corte d’Appello di Milano avrebbero considerato «vita non degna di essere vissuta», in quanto priva di una «pienezza di facoltà motorie e psichiche» (decreto 9 luglio 2008 sul caso Englaro).
Miles, che ora è un pensionato di 66 anni, non solo riesce a camminare e parlare, ma si è persino dedicato all’hobby delle corse automobilistiche al volante della sua Jaguard E-type.
La storia di quest’uomo merita di essere raccontata.
Graham Miles, ingegnere nel settore energetico, viveva a Sanderstead, nel Surrey, con la moglie Brenda ed i figli Claire e Richard. Una splendida famiglia ed un’ottima professione. E’ però il suo disordinato stile di vita – fumo eccessivo e stress da lavoro – a tradirlo, all’età di quarantanove anni. La sera del 2 dicembre 1993, durante il viaggio di ritorno a casa dall’ufficio, viene gravemente colpito da un ictus celebrale che determinerà la paralisi totale del suo corpo, ad eccezione degli occhi.
Trascorre sei mesi al Mayday University Hospital di Croydon, e sei medi in una struttura riabilitativa, prima di essere mandato a casa.
La diagnosi è di quelle che non lasciano scampo: paralisi totale irreversibile. Al punto che Miles percepisce di essere «left to die», lasciato morire dallo staff medico.
Il racconto di quell’esperienza è davvero drammatico. «All’inizio», spiega Miles, «il problema era riuscire a respirare, perché sebbene i muscoli involontari come il cuore ed i polmoni funzionassero, la paralisi del petto ostacolava la respirazione». Solo il suo ostinato desiderio di vivere è riuscito a fargli superare quell’incubo.
Poi, il miracolo. Sbalordendo prima di tutto gli stessi medici, Graham Miles ha clamorosamente smentito la sicumera degli specialisti che lo davano senza speranza, la stessa sicumera sulla presunta irreversibilità, dimostrata dai giudici milanesi nel caso della povera Eluana Englaro.
Colpisce, in realtà, il fatto che nonostante siano diversi e abbastanza frequenti i casi di guarigione dalla “locked-in syndrome” (mi viene in mente anche il caso di Kerry Pink reso noto agli inizi di agosto), i media preferiscano non parlarne. La spinta ideologica pro-eutanasia, e gli interessi economici che la sostengono, è ancora troppo forte. Graham Miles, tra l’altro, era affetto dalla stessa identica sindrome che colpì il giornalista francese Jean-Dominique Bauby, autore nel 1997 delle celebri memorie intitolate Lo scafandro e la farlalla, da cui è stato tratto l’omonimo film di Julian Schnabel, premiato al festival di Cannes nel 2007.
Il caso di Graham Miles appare, inoltre, diametralmente speculare a quello di Tony Nicklinson, anche lui ingegnere e affetto da “locked-in syndrome” a causa di un ictus celebrale, il quale ha adito la Suprema Corte britannica per chiedere che la moglie Jane possa accompagnarlo nel suo ultimo viaggio in Svizzera, presso la clinica Dignitas specializzata in eutanasia, senza che essa venga incriminata secondo le leggi inglesi. E’ interessante vedere come due uomini della stessa provenienza culturale, della medesima professione, di identica condizione sociale, colpiti entrambi alla stessa età di 49 anni da un evento tragico, possano avere una reazione così diversa. Uno che combatte ostinatamente per vivere, spinto da una forza misteriosa capace di sconfiggere la malattia, ed uno che invoca la morte, imprecando contro la vita («sono stufo di vivere e non sono affatto grato ai medici che mi hanno salvato la vita; se potessi tornare indietro, non chiamerei mai più quella maledetta ambulanza»).
Questa differenza mi ha fatto venire in mente la domanda posta da mons. Giussani nella sua opera Il Senso Religioso: «Non è più vero e grande amare l’Infinito, che bestemmiare la vita, il destino?».
Graham Miles ci ha dato la risposta a quest’interrogativo. E ha anche dimostrato che i miracoli possono sempre accadere.
Miles, che ora è un pensionato di 66 anni, non solo riesce a camminare e parlare, ma si è persino dedicato all’hobby delle corse automobilistiche al volante della sua Jaguard E-type.
La storia di quest’uomo merita di essere raccontata.
Graham Miles, ingegnere nel settore energetico, viveva a Sanderstead, nel Surrey, con la moglie Brenda ed i figli Claire e Richard. Una splendida famiglia ed un’ottima professione. E’ però il suo disordinato stile di vita – fumo eccessivo e stress da lavoro – a tradirlo, all’età di quarantanove anni. La sera del 2 dicembre 1993, durante il viaggio di ritorno a casa dall’ufficio, viene gravemente colpito da un ictus celebrale che determinerà la paralisi totale del suo corpo, ad eccezione degli occhi.
Trascorre sei mesi al Mayday University Hospital di Croydon, e sei medi in una struttura riabilitativa, prima di essere mandato a casa.
La diagnosi è di quelle che non lasciano scampo: paralisi totale irreversibile. Al punto che Miles percepisce di essere «left to die», lasciato morire dallo staff medico.
Il racconto di quell’esperienza è davvero drammatico. «All’inizio», spiega Miles, «il problema era riuscire a respirare, perché sebbene i muscoli involontari come il cuore ed i polmoni funzionassero, la paralisi del petto ostacolava la respirazione». Solo il suo ostinato desiderio di vivere è riuscito a fargli superare quell’incubo.
Poi, il miracolo. Sbalordendo prima di tutto gli stessi medici, Graham Miles ha clamorosamente smentito la sicumera degli specialisti che lo davano senza speranza, la stessa sicumera sulla presunta irreversibilità, dimostrata dai giudici milanesi nel caso della povera Eluana Englaro.
Colpisce, in realtà, il fatto che nonostante siano diversi e abbastanza frequenti i casi di guarigione dalla “locked-in syndrome” (mi viene in mente anche il caso di Kerry Pink reso noto agli inizi di agosto), i media preferiscano non parlarne. La spinta ideologica pro-eutanasia, e gli interessi economici che la sostengono, è ancora troppo forte. Graham Miles, tra l’altro, era affetto dalla stessa identica sindrome che colpì il giornalista francese Jean-Dominique Bauby, autore nel 1997 delle celebri memorie intitolate Lo scafandro e la farlalla, da cui è stato tratto l’omonimo film di Julian Schnabel, premiato al festival di Cannes nel 2007.
Il caso di Graham Miles appare, inoltre, diametralmente speculare a quello di Tony Nicklinson, anche lui ingegnere e affetto da “locked-in syndrome” a causa di un ictus celebrale, il quale ha adito la Suprema Corte britannica per chiedere che la moglie Jane possa accompagnarlo nel suo ultimo viaggio in Svizzera, presso la clinica Dignitas specializzata in eutanasia, senza che essa venga incriminata secondo le leggi inglesi. E’ interessante vedere come due uomini della stessa provenienza culturale, della medesima professione, di identica condizione sociale, colpiti entrambi alla stessa età di 49 anni da un evento tragico, possano avere una reazione così diversa. Uno che combatte ostinatamente per vivere, spinto da una forza misteriosa capace di sconfiggere la malattia, ed uno che invoca la morte, imprecando contro la vita («sono stufo di vivere e non sono affatto grato ai medici che mi hanno salvato la vita; se potessi tornare indietro, non chiamerei mai più quella maledetta ambulanza»).
Questa differenza mi ha fatto venire in mente la domanda posta da mons. Giussani nella sua opera Il Senso Religioso: «Non è più vero e grande amare l’Infinito, che bestemmiare la vita, il destino?».
Graham Miles ci ha dato la risposta a quest’interrogativo. E ha anche dimostrato che i miracoli possono sempre accadere.