DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Cristiani in Medio Oriente aumentano fedeli trucidati. I cristiani in Oriente e la fine del panda

Dopo la strage di Bagdad, solo in Irak sono stati ben 864. E in Turchia e in Egitto il clima peggiora. Parla il vescovo: "Torna la paura, siamo in prima linea"
di Andrea Tornielli
Tratto da Il Giornale del 2 novembre 2010

«Il Corano ordina di imporre la religione con la spada e dà al musulmano il diritto di uccidere i cristiani con la guerra santa». Lo aveva scritto nel suo intervento al Sinodo il vescovo libanese Raboula Antoine Beylouni, chiedendo agli islamici una riforma che contestualizzi certi passaggi coranici e ne impedisca l’uso violento. Ancora una volta, purtroppo, quelle parole si sono trasformate in triste realtà, con l’eccidio nella chiesa siro-cattolica di Bagdad. Certo, si dirà, i fatti che accadono in Irak e che vedono spesso vittime di una guerra intestina gli stessi musulmani sono provocati dall’instabilità e dall’ingovernabilità del Paese, divenuto sentina di ogni terrorismo ed estremismo. Ma colpisce che stiamo aumentando, e proprio nei luoghi che hanno visto il cristianesimo nascere e convivere per secoli con altre religioni, i casi di fedeli cristiani assassinati soltanto perché la domenica hanno partecipato alla messa. Berthold Pelster, ricercatore dell’associazione «Aiuto alla Chiesa che soffre», ha dichiarato di recente ad Avvenire che tra il 75 e l’85 per cento degli atti contro una religione nel mondo avvengono contro i credenti di Cristo. L’Irak «liberato» dopo la guerra del 2003 detiene un triste primato nell’area, dato che negli ultimi sette anni i cristiani ammazzati sono stati 864, e c’è il progetto – a cui si oppongono i cristiani dei vari riti – di creare una sorta di riserva protetta al Nord del Paese, sradicando una presenza millenaria da molte regioni e città.

Ma anche nel «laico» Egitto il fondamentalismo è in crescita. Fino a qualche tempo fa si diceva che l’unico problema nel Paese era l’eventuale volontà di cambiare religione, cioè di abbandonare l’islam per farsi cristiani, dato che il proselitismo è vietato. Poco meno di un anno fa, a Natale, sette cristiani copti erano stati uccisi a Nag Hammadi, villaggio egiziano nel governatorato di Qena, vicino al sito archeologico di Luxor. Stavano uscendo dalla chiesa di Anba Basaya, dopo la messa di mezzanotte.

Così come sono tristemente noti a tutti i problemi che esistono in Turchia, Paese dove i cristiani sono nel mirino: don Andrea Santoro è stato ammazzato dentro la sua chiesa nel 2006, mentre è del maggio scorso il brutale assassinio del vescovo Luigi Padovese, che ha avuto la testa quasi recisa dal suo autista al grido di «Allah è grande». Il coraggioso vicario apostolico di Smirne, l’arcivescovo Ruggero Franceschini, due settimane fa al Sinodo sul Medio Oriente aveva parlato di «omicidio premeditato», denunciando l’«oscura trama di complicità tra ultranazionalisti e fanatici religiosi».

E che dire dell’India e del Pakistan, delle violenze quotidiane, degli attacchi a chiese, scuole cattoliche e protestanti, dei massacri? È del gennaio scorso la notizia della morte di una dodicenne cristiana, Shazia Bashir, uccisa dalle violenze del suo datore di lavoro, un potente avvocato musulmano di Lahore, in Pakistan. Un’altra dodicenne cristiana, Lubna Masih, è stata stuprata e uccisa da un gruppo di giovani musulmani due settimane fa a Rawalpindi, nella stessa città in cui, poco tempo prima, Arshed Masih, autista trentottenne, è stato massacrato perché rifiutava di convertirsi come voleva il suo padrone, mentre la moglie che ha osato denunciare il fatto è stata stuprata dai poliziotti.

Gli atti di violenza cieca non si fermano davanti a niente, è venuto ormai meno il rispetto per i luoghi sacri delle altre religioni. In un comunicato diffuso ieri, il vescovo di San Marino e Montefeltro, Luigi Negri, a proposito delle vittime di Bagdad, ha dichiarato: «Io mi sento di ascrivere alla moltitudine dei santi questi nostri fratelli, fra i quali due sacerdoti, che sono stati massacrati per un atto di terrorismo. Si vede chiaro ogni giorno che passa, che il terrorismo internazionale ha un obiettivo esplicito: la conquista islamica del mondo e, all’interno di questo obiettivo che certamente sarà a più lunga scadenza, un obiettivo più immediato cioè la distruzione del cristianesimo in Terra Santa, nel Medio Oriente e poi, più o meno, in tutti i Paesi anche di antica tradizione cristiana».



Stiamo assistendo all’agonia degli eredi della fede bizantina? «Spariranno senza rumori né drammi, per lenta emorragia»
di Massimo Franco
Tratto da Avvenire del 2 novembre 2010

La «desertificazione» delle Chiese in terra di islam è in atto da un millennio, ma ora il processo d'espulsione o di emarginazione è diventato inesorabile

La desertificazione del cristia nesimo d’Oriente è andata a vanti per quasi mille anni. E adesso se ne vedono gli effetti. Fra il VII e il X secolo è stata la Chiesa caldea di Baghdad a creare la cul tura araba, non musulmana, ricor da Samir Khalil Samir. «I cristiani erano lì prima dell’islam, e hanno plasmato le società arabe. I chirur ghi e i medici del califfo erano cri stiani, figli della Chiesa d’Oriente, la più dinamica, al punto che allora si spinse fino in Mongolia». Ed era anche la maggioranza schiacciante della popolazione. «Poi, intorno al 1000, da maggioranza i cristiani so no diventati minoranza: intorno al 1400, la percentuale era caduta al 10%. Sono riusciti a proteggersi chiudendosi nelle loro enclave. Ma nell’ultimo secolo la mescolanza con gli islamici è aumentata nelle scuole, nelle università. Però – so stiene padre Samir – la gente non sa che il sistema musulmano è concepito per inghiottire lenta mente l’altro, il diverso, l’alieno: il cristiano, appunto». Più che perse cuzioni, apparse in modo vistoso soltanto negli ultimi anni per la ri nascita del fondamentalismo isla mico e dopo la guerra in Afghani stan e in Iraq, si è verificato un pro cesso inesorabile di emarginazio ne, assimilazione o, in alternativa, espulsione. Se n’è accorto nella pri ma metà degli anni Novanta del se colo scorso un diplomatico france se di stanza all’ambasciata a Geru salemme. Sotto lo pseudonimo di Jean-Pierre Valognes, ha pubblica to un tomo più che ponderoso di 972 pagine, scritto in caratteri mi nuscoli, sulla Vita e la morte dei cristiani d’Oriente. Titolo eufemi stico: la tesi del diplomatico, illu strata con una mole impressionan te di cifre, episodi, intrecci storico religiosi, è che in realtà si stia assi stendo all’agonia degli eredi della Chiesa di Bisanzio. Quando il libro uscì, fu accolto con grande interes se ma anche da un ostracismo di fatto delle gerarchie cattoliche. Era troppo «religiosamente scorretto».

«Arrivava a conclusioni negative, e quindi rifiutate dagli stessi respon- sabili cristiani d’Oriente» ricorda padre Samir. Trasmetteva infatti quella sensazione di un soffoca mento progressivo che oggi è opi nione più o meno comune; ma in quegli anni contraddiceva tutti gli sforzi di dialogo fra Vaticano e au torità islamiche sciite e sunnite. E dava per scontata la fine del cristia nesimo d’Oriente proprio mentre gli episcopati locali e la Santa Sede facevano di tutto per ravvivarlo, tentando di imprimere una svolta alla situazione partendo dallo stal lo fra israeliani e palestinesi. Ma ri leggendo a 16 anni di distanza l’a nalisi contenuta in quel volume, si trovano previsioni che sembrano sul punto di avverarsi. In fondo i cristiani d’Oriente sono sopravvis suti alle vicissitudini di duemila anni, scrive l’autore. Ma questa im pressione «non deve indurci in er rore: dopo tante comunità mille narie delle quali il XX secolo è stata la tomba, stanno per morire» an che loro. La loro storia è stata dis seminata di compromessi più che di battaglie, di negoziazioni più che di scontri. La descrizione di Va lognes fotografa il risultato presso ché finale di questa parabola. Nei vecchi quartieri delle città arabe, di solito ferventi di attività, aveva vi sto «chiese museo» che trasmette vano soltanto l’idea del silenzio e della morte. Nell’Anatolia centrale, migliaia di monasteri erano ridotti a fabbriche agricole o depositi di pietre. «Quando il popolo cristiano sarà sparito in Oriente – scrive Va lognes – questi santuari divente ranno le decorazioni di una “Di sneyland spirituale” che prefigura già la Gerusalemme cristiana». A veva osservato lo sradicamento fi nale, ma senza sangue, senza tra gedie. «Scompariranno senza ru more, per un’emorragia discreta e inesorabile». Era il prodotto di una demografia sfavorevole. E soprat tutto di una condizione di mino ranza costretta a confrontarsi con una maggioranza arabo-islamica dominante; e a smettere di essere cristiana per adattarsi a quel mo dello.

Non si vedeva più la mesco lanza, l’ibridazione di culture, reli gioni, costumi ed etnie dei decenni e secoli passati. Si intravedeva l’u niformità, figlia dell’«incapacità della società musulmana di accet­tare quelli che non le somigliano».

Già allora si avevano i segni vistosi di un’emigrazione continua della borghesia cristiana da Egitto, Iraq, Libano, Siria. Quelli che potevano se ne andavano, rendendo più fra gile e precaria la situazione di chi restava. Già, ma quanti erano? E quanti sono oggi? Da tempo le sta tistiche risultano sfuggenti come le persone che ne sono l’oggetto. L’u nica cosa certa è che si tratta di mi noranze sempre più risicate e ac cerchiate. Ma con alcuni paradossi. Ci sono Stati i slamici che ten dono a ingigan tire la residua lità della pre senza cristiana.

Al contrario, gli stessi copti, cal dei, assiri, per paura di subire discriminazio ni, quando non rappresaglie, spesso nascondono la propria fe de. Quanto alle Chiese del Medio Oriente, sono inclini a gonfiare la consistenza delle loro comunità, magari includendo nelle percen tuali anche i fedeli che da anni in grossano la diaspora in alcuni Pae si europei e negli Stati Uniti o addi rittura in Australia. Non si tratta di discrepanze trascurabili. Le varia zioni delle stime spesso raggiungo no «il 50 o addirittura il 100, il 200 o perfino il 300% come in Egitto.

Quanti sono oggi i cristiani medio rientali: fra i 5 e i 6 milioni o più di 15?». Libano a parte, «tutti i Paesi dell’area sottostimano il numero dei loro cittadini cristiani, perché pensano che falsando le percen tuali sul numero reale possano se non risolvere almeno ridurre il problema a quello di una minoran za marginale». Abbracciare una statistica o l’altra significa «far va riare il rapporto cristiani-musul mani in Libano da 55-45% a 30 70%». Significa definire quella na zione «cristiana» oppure «musul mana», con tutte le conseguenze che questo comporta in termini di legislazione, modello di società, al leanze o comunque influenze in ternazionali. Le stime riflettono questa approssimazione. Ma sono in ogni caso coerenti nel segnalare un calo di presenza simile, in alcu ne realtà, a un vero e proprio crol lo. Le cifre possono essere noiose, però aiutano a capire. E quelle for nite da monsignor Robert Stern, presidente della Pontificia Missio ne per la Palestina e segretario del la Catholic Near East Welfare Asso ciation, e riferite al 2007, confer mano il dramma. In Israele, su 7. 337. 000 abi tanti, i cristiani rappresentano il 2% della po polazione: circa 147. 000, perlo più arabi. E a Betlemme sono passati in vent’anni dal 90 al 20%, falcidia ti dalla guerra e dalla politica del gruppo musulmano di Hamas.

In Giordania sono il 4%. In Libano, un tempo a maggioranza cattolica, sono scesi al 30%. E secondo le proiezioni della Cnewa, nello spa zio di 15 o 20 anni i cristiani in tut ta la regione potrebbero ridursi a 6 milioni: un numero considerato la soglia dell’estinzione. Allargando l’orizzonte si ha un 10%, circa 8 mi lioni di cristiani copti, in Egitto. In Siria il 10% su quasi 20 milioni. «E in Turchia – ricorda padre Samir – in meno di cento anni si è passati da un cristianesimo diffuso fra il 20 % della popolazione, a meno dell’1%: ormai è morto. Nella resi denza dei gesuiti ad Ankara sono rimasti 4 religiosi controllati dalla polizia.» E poi c’è l’Iraq, che ha a vuto il triste merito di attirare l’at tenzione su una «sindrome dei panda» già presente altrove, ma ac celerata e drammatizzata dal con flitto iniziato nella primavera 2003.