DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Le Parole del Papa. Sintesi degli interventi della settimana



Parola, Liturgia e Comunità rappresentano le dimensioni fondamentali dell’unità del Corpo visibile della Chiesa fondata nello Spirito Santo


“Essi – leggiamo negli Atti degli Apostoli – erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (At 2,42). È questo il ritratto della prima comunità, nata a Gerusalemme il giorno stesso di Pentecoste, suscitata dalla predicazione che l’Apostolo Pietro, ripieno di Spirito Santo, rivolge a tutti coloro che erano giunti nella Città Santa per la festa. Una comunità non chiusa in se stessa, ma, sin dal suo nascere, cattolica, universale, capace di abbracciare genti di lingue e di culture diverse, come lo stesso libro degli Atti degli Apostoli ci testimonia. Una comunità non fondata su un patto tra i suoi membri, né dalla semplice condivisione di un progetto o di un’ideale, ma dalla comunione profonda con Dio, che si è rivelato nel suo Figlio, dall’incontro con il Cristo morto e risorto.
Quanti avevano accolto la parola predicata da Pietro ed erano stati battezzati, ascoltavano la Parola di Dio, trasmessa dagli Apostoli; stavano volentieri insieme, facendosi carico dei servizi necessari e condividendo liberamente e generosamente i beni materiali; celebravano il sacrificio di Cristo sulla Croce, il suo mistero di morte e risurrezione, nell’Eucaristia, ripetendo il gesto dello spezzare il pane; lodavano e ringraziavano continuamente il Signore, invocando il suo aiuto nelle difficoltà.
Questa descrizione, però, non è semplicemente un ricordo del passato e nemmeno la presentazione di un esempio da imitare o di una meta ideale da raggiungere. Essa è piuttosto affermazione della presenza e dell’azione dello Spirito Santo nella vita della Chiesa. È un’attestazione, piena di fiducia, che lo Spirito Santo, unendo tutti in Cristo, è il principio dell’unità della Chiesa e fa dei credenti una sola cosa... (questi) costituiscono i tratti essenziali di tutte le comunità cristiane, di ogni tempo e di ogni luogo. In altri termini, potremmo dire che essi rappresentano anche le dimensioni fondamentali dell’unità del Corpo visibile della Chiesa.
L’unità alla quale Cristo, mediante il suo Spirito, chiama la Chiesa non si realizza solo sul piano delle strutture organizzative, ma si configura, ad un livello molto più profondo, come unità espressa “nella confessione di una sola fede, nella comune celebrazione del culto divino e nella fraterna concordia della famiglia di Dio”.


Omelia per la Chiusura della Settimana per l'Unità dei Cristiani




Portare il lieto annuncio che non è soltanto parola, ma evento: Dio, Lui stesso, è venuto, da noi.


"La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!" (Lc 10,2). Questa parola dal Vangelo della Messa di oggi ci tocca particolarmente da vicino in quest’ora. È l’ora della missione: il Signore manda voi, cari amici, nella sua messe. Dovete cooperare in quell’incarico di cui parla il profeta Isaia nella prima lettura: "Il Signore mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati" (Is 61,1). È questo il lavoro per la messe nel campo di Dio, nel campo della storia umana: portare agli uomini la luce della verità, liberarli dalla povertà di verità, che è la vera tristezza e la vera povertà dell’uomo. Portare loro il lieto annuncio che non è soltanto parola, ma evento: Dio, Lui stesso, è venuto, da noi. Egli ci prende per mano, ci trae verso l’alto, verso se stesso, e così il cuore spezzato viene risanato.
Tutto questo anelito è presente nel mondo di oggi, l’anelito verso ciò che è grande, verso ciò che è buono. È la nostalgia del Redentore, di Dio stesso, anche lì dove Egli viene negato. Proprio in quest’ora il lavoro nel campo di Dioè particolarmente urgente e proprio in quest’ora sentiamo in modo particolarmente doloroso la verità della parola di Gesù: "Sono pochi gli operai". Al tempo stesso il Signore ci lascia capire che non possiamo essere semplicemente noi da soli a mandare operai nella sua messe; che non è una questione di management, della nostra propria capacità organizzativa. Gli operai per il campo della sua messe li può mandare solo Dio stesso. Ma Egli li vuole mandare attraverso la porta della nostra preghiera. Noi possiamo cooperare per la venuta degli operai, ma possiamo farlo solo cooperando con Dio.

"Erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere" (At2,42). In questi quattro elementi portanti dell’essere della Chiesa è descritto al contempo anche il compito essenziale dei suoi Pastori. Tutti e quattro gli elementi sono tenuti insieme mediante l’espressione "erano perseveranti" – "erant perseverantes": la Bibbia latina traduce così l’espressione greca προσκαρτερέω: la perseveranza, l’assiduità, appartiene all’essenza dell’essere cristiani ed è fondamentale per il compito dei Pastori, degli operai nella messe del Signore. Il Pastore non deve essere una canna di palude che si piega secondo il soffio del vento, un servo dello spirito del tempo. L’essere intrepido, il coraggio di opporsi alle correnti del momento appartiene in modo essenziale al compito del Pastore. Non deve essere una canna di palude, bensì – secondo l’immagine del Salmo primo – deve essere come un albero che ha radici profonde nelle quali sta saldo e ben fondato. Ciò non ha niente a che fare con la rigidità o l’inflessibilità. Solo dove c’è stabilità c’è anche crescita. Il cardinale Newman, il cui cammino fu marcato da tre conversioni, dice che vivere è trasformarsi. Ma le sue tre conversioni e le trasformazioni in esse avvenute sono tuttavia un unico cammino coerente: il cammino dell’obbedienza verso la verità, verso Dio; il cammino della vera continuità che proprio così fa progredire.

"Perseverare nell’insegnamento degli Apostoli" – la fede ha un contenuto concreto. Non è una spiritualità indeterminata, una sensazione indefinibile per la trascendenza. Dio ha agito e proprio Lui ha parlato. Ha realmente fatto qualcosa e ha realmente detto qualcosa. Certamente, la fede è, in primo luogo, un affidarsi a Dio, un rapporto vivo con Lui. Ma il Dio al quale ci affidiamo ha un volto e ci ha donato la sua Parola. Possiamo contare sulla stabilità della sua Parola. La Chiesa antica ha riassunto il nucleo essenziale dell’insegnamento degli Apostoli nella cosiddetta Regula fidei, che, in sostanza, è identica alle Professioni di Fede. È questo il fondamento attendibile, sul quale noi cristiani ci basiamo anche oggi. È la base sicura sulla quale possiamo costruire la casa della nostra fede, della nostra vita (cfr Mt 7,24ss). E di nuovo, la stabilità e la definitività di ciò che crediamo non significano rigidità. Giovanni della Croce ha paragonato il mondo della fede ad una miniera in cui scopriamo sempre nuovi tesori – tesori nei quali si sviluppa l’unica fede, la professione del Dio che si manifesta in Cristo.

Il secondo pilastro dell’esistenza ecclesiale, san Luca lo chiama κοινωνία – communio. Dopo il Concilio Vaticano II, questo termine è diventato una parola centrale della teologia e dell’annuncio, perché in esso, di fatto, si esprimono tutte le dimensioni dell’essere cristiani e della vita ecclesiale. Una prima grande definizione di communio l’ha data san Giovanni all’inizio della sua Prima Lettera: Quello che abbiamo veduto e udito, quello che le nostre mani hanno toccato, noi lo annunciamo a voi, perché anche voi abbiate communio con noi. E la nostra communio è comunione con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo (cfr 1Gv 1,1-4). Dio si è reso per noi visibile e toccabile e così ha creato una reale comunione con Lui stesso. Entriamo in tale comunione attraverso il credere e il vivere insieme con coloro che Lo hanno toccato. Con loro e tramite loro, noi stessi in certo qual modo Lo vediamo, e tocchiamo il Dio fattosi vicino. Così la dimensione orizzontale e quella verticale sono qui inscindibilmente intrecciate l’una con l’altra. Con lo stare in comunione con gli Apostoli, con lo stare nella loro fede, noi stessi stiamo in contatto con il Dio vivente. Cari amici, a tale scopo serve il ministero dei Vescovi: che questa catena della comunione non si interrompa. È questa l’essenza della Successione apostolica: conservare la comunione con coloro che hanno incontrato il Signore in modo visibile e tangibile e così tenere aperto il Cielo, la presenza di Dio in mezzo a noi. Solo mediante la comunione con i Successori degli Apostoli siamo anche in contatto con il Dio incarnato. Ma vale anche l’inverso: solo grazie alla comunione con Dio, solo grazie alla comunione con Gesù Cristo questa catena dei testimoni rimane unita. Vescovi non si è mai da soli, ci dice il Vaticano II, ma sempre soltanto nel collegio dei Vescovi. Questo, poi, non può rinchiudersi nel tempo della propria generazione. Alla collegialità appartiene l’intreccio di tutte le generazioni, la Chiesa vivente di tutti i tempi. Voi, cari Confratelli, avete la missione di conservare questa comunione cattolica. Sapete che il Signore ha incaricato san Pietro e i suoi successori di essere il centro di tale comunione, i garanti dello stare nella totalità della comunione apostolica e della sua fede. Offrite il vostro aiuto perché rimanga viva la gioia per la grande unità della Chiesa, per la comunione di tutti i luoghi e i tempi, per la comunione della fede che abbraccia il cielo e la terra.

Lo spezzare il pane. Spezzare il pane – la santa Eucaristia è il centro della Chiesa e deve essere il centro del nostro essere cristiani e della nostra vita sacerdotale. Il Signore si dona a noi. Il Risorto entra nel mio intimo e vuole trasformarmi per farmi entrare in una profonda comunione con Lui. Così mi apre anche a tutti gli altri: noi, i molti, siamo un solo pane e un solo corpo, dice san Paolo (cfr 1Cor10,17). Cerchiamo di celebrare l’Eucaristia con una dedizione, un fervore sempre più profondo, cerchiamo di impostare i nostri giorni secondo la sua misura, cerchiamo di lasciarci plasmare da essa. Spezzare il pane – con ciò è espresso insieme anche il condividere, il trasmettere il nostro amore agli altri. La dimensione sociale, il condividere non è un’appendice morale che s’aggiunge all’Eucaristia, ma è parte di essa.

Come ultimo pilastro dell’esistenza ecclesiale, Luca menziona "le preghiere". Egli parla al plurale: preghiere. La preghiera, da una parte, deve essere molto personale, un unirmi nel più profondo a Dio. Deve essere la mia lotta con Lui, la mia ricerca di Lui, il mio ringraziamento per Lui e la mia gioia in Lui. Tuttavia, non è mai soltanto una cosa privata del mio "io" individuale, che non riguarda gli altri. Pregare è essenzialmente anche sempre un pregare nel "noi" dei figli di Dio. Solo in questo "noi" siamo figli del nostro Padre, che il Signore ci ha insegnato a pregare. Solo questo "noi" ci apre l’accesso al Padre. Così il pregare non è un’attività tra le altre, un certo angolo del mio tempo. Pregare è la risposta all’imperativo che sta all’inizio del Canone nella Celebrazione eucaristica: Sursum corda – in alto i cuori! È l’ascendere della mia esistenza verso l’altezza di Dio. In san Gregorio Magno si trova una bella parola al riguardo. Egli ricorda che Gesù chiama Giovanni Battista una "lampada che arde e risplende" (Gv 5,35) e continua: "ardente per il desiderio celeste, risplendente per la parola. Quindi, affinché sia conservata la veridicità dell’annuncio, deve essere conservata l’altezza della vita" (Hom. in Ez. 1,11,7 CCL 142, 134). L’altezza, la misura alta della vita, che proprio oggi è così essenziale per la testimonianza in favore di Gesù Cristo, la possiamo trovare solo se nella preghiera ci lasciamo continuamente tirare da Lui verso la sua altezza.


Omelia nell'Ordinazione di nuovi Vescovi



E con il vestito composto da pace, amore e perseveranza, svolgere l'opera di rinnovamento del cattolicesimo


Oggi vorrei parlarvi di san Pietro Kanis, Canisio. Entrò nella Compagnia di Gesù l’8 maggio 1543 a Magonza.
Nel 1548, sant’Ignazio gli fece completare a Roma la formazione spirituale e lo inviò poi nel Collegio di Messina a esercitarsi in umili servizi domestici. Conseguito a Bologna il dottorato in teologia il 4 ottobre 1549, fu destinato da sant'Ignazio all'apostolato in Germania. Il 2 settembre di quell'anno, il '49, visitò Papa Paolo III in Castel Gandolfo e poi si recò nella Basilica di San Pietro per pregare. Qui implorò l'aiuto dei grandi Santi Apostoli Pietro e Paolo, che dessero efficacia permanente alla Benedizione Apostolica per il suo grande destino, per la sua nuova missione. "Là io ho sentito che una grande consolazione e la presenza della grazia mi erano concesse per mezzo di tali intercessori. Essi confermavano la mia missione in Germania e sembravano trasmettermi, come ad apostolo della Germania, l’appoggio della loro benevolenza. Tu conosci, Signore, in quanti modi e quante volte in quello stesso giorno mi hai affidato la Germania per la quale in seguito avrei continuato ad essere sollecito, per la quale avrei desiderato vivere e morire".
Una caratteristica di san Pietro Canisio: saper comporre armoniosamente la fedeltà ai principi dogmatici con il rispetto dovuto ad ogni persona. San Canisio ha distinto l'apostasia consapevole, colpevole, dalla fede, dalla perdita della fede incolpevole, nelle circostanze. E ha dichiarato, nei confronti di Roma, che la maggior parte dei tedeschi passata al Protestantesimo era senza colpa. In un momento storico di forti contrasti confessionali, evitava - questa è una cosa straordinaria - l’asprezza e la retorica dell’ira - cosa rara come ho detto a quei tempi nelle discussioni tra cristiani, - e mirava soltanto alla presentazione delle radici spirituali e alla rivitalizzazione della fede nella Chiesa. A ciò servì la conoscenza vasta e penetrante che ebbe della Sacra Scrittura e dei Padri della Chiesa: la stessa conoscenza che sorresse la sua personale relazione con Dio e l’austera spiritualità che gli derivava dalladevotio moderna e dalla mistica renana.
È caratteristica per la spiritualità di san Canisio una profonda amicizia personale con Gesù. Scrive, per esempio, il 4 settembre 1549 nel suo diario, parlando con il Signore: "Tu, alla fine, come se mi aprissi il cuore del Sacratissimo Corpo, che mi sembrava di vedere davanti a me, mi hai comandato di bere a quella sorgente, invitandomi per così dire ad attingere le acque della mia salvezza dalle tue fonti, o mio Salvatore". E poi vede che il Salvatore gli dà un vestito con tre parti che si chiamano pace, amore e perseveranza. E con questo vestito composto da pace, amore e perseveranza, il Canisio ha svolto la sua opera di rinnovamento del cattolicesimo. Questa sua amicizia con Gesù - che è il centro della sua personalità - nutrita dall'amore della Bibbia, dall'amore del Sacramento, dall'amore dei Padri, questa amicizia era chiaramente unita con la consapevolezza di essere nella Chiesa un continuatore della missione degli Apostoli. E questo ci ricorda che ogni autentico evangelizzatore è sempre uno strumento unito, e perciò stesso fecondo, con Gesù e con la sua Chiesa.
Nella spiritualità cristocentrica di san Pietro Canisio si radica un profondo convincimento: non si dà anima sollecita della propria perfezione che non pratichi ogni giorno la preghiera, l’orazione mentale, mezzo ordinario che permette al discepolo di Gesù di vivere l’intimità con il Maestro divino. Perciò ha cura di mostrare ai fedeli la necessità e la bellezza che la preghiera personale quotidiana affianchi e permei la partecipazione al culto pubblico della Chiesa.

La vita cristiana non cresce se non è alimentata dalla partecipazione alla Liturgia, in modo particolare alla santa Messa domenicale, e dalla preghiera personale quotidiana, dal contatto personale con Dio. In mezzo alle mille attività e ai molteplici stimoli che ci circondano, è necessario trovare ogni giorno dei momenti di raccoglimento davanti al Signore per ascoltarlo e parlare con Lui.

Allo stesso tempo, è sempre attuale e di permanente valore l’esempio che san Pietro Canisio ci ha lasciato, non solo nelle sue opere, ma soprattutto con la sua vita. Egli insegna con chiarezza che il ministero apostolico è incisivo e produce frutti di salvezza nei cuori solo se il predicatore è testimone personale di Gesù e sa essere strumento a sua disposizione, a Lui strettamente unito dalla fede nel suo Vangelo e nella sua Chiesa, da una vita moralmente coerente e da un’orazione incessante come l’amore. E questo vale per ogni cristiano che voglia vivere con impegno e fedeltà la sua adesione a Cristo.


Catechesi nell'Udienza generale dedicata a San Pietro Canisio