Cosa prova un feto prima di nascere? Ve lo sarete chiesti e chissà quali risposte avrete arzigogolato. Bene, a dare una risposta con i dati delle ultime ricerche scientifiche sono un gruppo di scienziati che operano direttamente in questo campo: non giornalisti che si interrogano, ma ricercatori che parlano. E lasciano a bocca aperta. Già, perché la vita fetale è ricca, colorata, appassionante: è la preparazione alla vita dopo l’uscita all’aria aperta, passaggio in cui non cambia proprio niente dal punto di vista sostanziale: il bambino sentiva suoni e sapori già prima di nascere: o credete che magicamente l’aria gli ha conferito per incanto i cinque sensi? Così, Vivette Glover da Londra, Benoit Bayle da Parigi, e altri scienziati da Canada, Stati Uniti, Italia, narrano quello che hanno scoperto e portano per mano dentro i misteri della nostra vita prenatale.
Il libro si intitola “Sento dunque sono”, a cura del sottoscritto, Edizioni Cantagalli. Il testo riprende idealmente il testimone lasciato anni prima da un testo analogo: “L’alba dei sensi”, pubblicato in Francia nel 1980 e aggiornato nel 2000, che lasciava molte domande in sospeso: è possibile il dolore nel feto? Come risentirà dello stile di vita della mamma? I gusti alimentari sono influenzati da quello che la mamma mangia in gravidanza? A queste domande ora siamo in grado di dare una risposta.
Il libro raccoglie anche ricercatori che danno le ultime novità sulle capacità della moderna ecografia fetale di mostrare gli stati comportamentali del feto, e l’ordine di comparsa temporale delle varie capacità. Verrà anche dettagliatamente mostrato come oggi si è anche in grado di eseguire interventi chirurgici sul feto, vero e proprio piccolo paziente, per curare alcune anomalie senza tirarlo fuori dall’utero.
Il testo è stato pensato chiedendo ai ricercatori non solo di mettere a disposizione le loro competenze di prima linea, con un linguaggio semplice e uno stile accattivante, ma anche chiedendo loro di raccontare come l’impatto con questo livello della vita umana li abbia interrogati, e forse cambiati.
Certo non è facile entrare nella mente di un piccolo feto, immedesimarsi con lui (o lei) per capire di cosa ha bisogno, quali sono gli stimoli giusti che gli devono arrivare e quali evitare. Ma questo libro ci porta per mano a scoprire quanto è nascosto nel pancione materno e quanto serve per restare meravigliati e magari già iniziare ad entrare in contatto e chiamare per nome prima ancora che nasca, questo piccolo nuovo membro di una famiglia.
Riportiamo qui un estratto dal capitolo “Quali sono i suoni che il feto è in grado di udire e imaparare?” di Barbara Sikilevsky, di Kingston, Canada.
“Poiché non sapevamo se il feto era in grado di udire, né a quali suoni avrebbe reagito, né l’intensità che essi dovevano avere per raggiungerlo attraverso l’addome e i tessuti della madre, iniziammo le nostre ricerche con un suono che, in base alla nostra esperienza, già suscitava reazioni nel neonato. All’epoca, uno dei metodi con cui esaminavamo i neonati per stabilire se erano in grado di udire consisteva nel produrre un forte suono dietro la loro testa per innescare e provocare una reazione. Il suono che abbiamo utilizzato per il feto era simile ai rumori statici della radio. Conteneva molte frequenze diverse e, se si innescava un modello accendi-spegni-accendi e spegni-accendi-spegni, per appena 2-3 secondi in tutto, provocava un aumento della frequenza cardiaca e dei movimenti nel neonato. Cercammo diversi livelli di intensità dei suoni e fummo ricompensati dal fatto che i nostri primi studi e quelli degli altri con feti a termine dimostravano che un’esposizione di breve durata a suoni relativamente forti provocavano un aumento della frequenza cardiaca e dei movimenti nel feto simili a quelli osservati nel neonato, che indicavano chiaramente che il feto era in grado di udire.
Successivamente cercammo di sapere quando iniziava a mettersi in atto per la prima volta nei feti la facoltà uditiva. Per scoprirlo, ripetemmo il protocollo sperimentale con feti più giovani. Trovammo che, se avevano un’età gestazionale di circa 29 settimane, cioè circa all’inizio del settimo mese di gravidanza, i feti reagivano significativamente ai nostri suoni con un aumento del battito cardiaco e con movimenti corporei; queste manifestazioni non si verificavano se i feti erano più giovani. Questa osservazione ha permesso di collocare l’inizio della facoltà dell’udito a circa 29 settimane11, risultato simile a quello riscontrato nel 1936 dagli scienziati che avevano utilizzato un cronometro e uno stetoscopio5. Questa collocazione temporale permette di situare lo sviluppo dell’apparato uditivo a un’età gestazionale compresa tra la ventiseiesima e la ventottesima settimana"