DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

L’uomo va infinitamente al di là dell’uomo Breve riflessione sul transumano. di Fabrice Hdjadj


1. Perché siamo qui convenuti? È per una cerimonia di protocollo, un po’ formale, nella quale ciascuno eserciterà la sua funzione ma nessuno avrà portato con sé il suo cuore? È per aprire una nuova «finestra di dialogo », come se si trattasse di moltiplicare i mezzi di comunicazione oppure di dare l’impressione di essere aperti e tolleranti? Forse sto rompendo la piacevolezza delle convenienze. Eppure non ho nessuna intenzione di essere provocatorio, ma solo di porre una domanda molto semplice. Il mio scopo non è di essere eccentrico, ma di rivolgermi da uomo ad altri uomini, al di là delle etichette e delle agende all’ordine del giorno. Ora, essere uomo è anzitutto questo: non solo vivere, ma porsi la domanda sulle ragioni per cui si vive. E questa domanda sorge in modo quanto mai brutale per la tensione straziante nella quale l’uomo si situa: desidera la gioia nella verità e nell’amicizia eppure sa che morirà. Sì, tutti, ciascuno di noi che siamo qui ora, che siamo ministri o uscieri, aspiriamo a una felicità che sia condivisa. E nello stesso tempo tutti noi che siamo qui ora, che siamo ambasciatori o addetti al servizio d’ordine, siamo fisicamente votati alla corruzione. Ed è per questo che sotto la luce degli spot e malgrado la potenza dei microfoni e delle altoparlanti, siamo circondati da fitte tenebre e da un grande silenzio….

2. Porre questa domanda è certamente ciò che appartiene all’uomo fin dalla sua origine. L’uomo è un animale che si stupisce per il fatto di esistere. Siamo delle scimmie più evolute, dei primati che abbiano raggiunto un massimo di complessificazione? Perché il massimo della perfezione per un primate starebbe in una suprema agilità nello spostarsi di ramo in ramo, o nell’abilità con cui sa procursi delle banane. Ma non sta per nulla in questa capacità di restare senza fiato, questa facoltà che vi lascia con gli occhi sgranati, stupefatto, impotente di fronte alla vertiginoso fatto d’essere vivo. Essa non sta per nulla in questa tendenza contemplativa che, per esempio, giunge a farvi ammirare tanto le zebrature di una tigre da farvi dimenticare di proteggervi dai suoi artigli.

C’è chi dice che l’uomo sia emerso sugli altri animali nel corso dell’evoluzione per una sua maggiore capacità d’adattamento all’ambiente. E nello stesso tempo l’uomo si documenta essere un grave inadattato: invece di vivere in santa pace seguendo il suo istinto, l’uomo cerca un senso, decifra il mondo come fosse una foresta di simboli, desidera qualcosa al di là di esso, non per forza un altro mondo, ma qualcosa che sia come un penetrare nel segreto di questo mondo, per abbracciarne il mistero, per bere alla sorgente da cui scaturisce.

Tutti noi che siamo qui ora abbiamo perciò la sensazione di essere dei passeggeri, o dei passanti. Non solo per il fatto che siamo mortali; ma anche perché desideriamo oltrepassare qualcosa nella nostra stessa vita, e non necessariamente in direzione di un altrove, perché questo non sarebbe altro che turismo, e il turismo, in materia di spiritualità, è molto più frequente di quanto non immaginiamo. Desideriamo piuttosto oltrepassare il limite nell’intensità di essere qui ed ora, gli uni nei confronti degli altri, vorremmo essere, in fondo, gli uni per gli altri, senza ipocrisie, in una verità e un’amicizia profonde (ammettiamolo, non appena si gratti un pochino la vernice del decoro, siamo ben lontani da questa verità e da una simile amicizia, perché esse suppongono che cadano finalmente tutte le maschere, e che siamo messi spiritualmente a nudo)

Nietzsche lo richiama: «Ciò che nell’uomo è grande, non è di essere un fine, ma di essere ponte : ciò che nell’uomo può essere amato è questo suo essere un passaggio, e una caduta.» Questa frase di Nietzsche fa pensare a Rousseau, secondo il quale l’uomo si distingue dagli altri animali non tanto per la sua perfezione, ma per la sua « perfettibilità », dove sembra soprattutto riprendere un’affermazione di Pascal: « Sappiate che l’uomo va infinitamente al di là dell’uomo. »

3. Porre la domanda dell’uomo che cerca un al di là riveste oggi, in questo luogo, un particolare significato. Perché noi stiamo vivendo oggi la radicale crisi dell’umanesimo. È senza dubbio la crisi più grande fra quelle a cui dobbiamo far fronte oggi: ben più gande di quella finanziaria, di quella ecologica o di quella religiosa è questa crisi antropologica e finanche metafisica. Noi ci troviamo a un punto unico della storia, tanto che i richiami a un nuovo umanesimo, inteso come un ritorno all’illuminismo, possono essere solo segni di cecità.

Quando si pretende fondare l’umanesimo sull’uomo stesso, accade una cosa analoga di quando si pretende erigere una costruzione senza alcun fondamento esterno: non può che crollare. Per potersi reggere, l’edificio deve avere del suolo. Per potersi reggere, l’uomo ha bisogno di un Cielo. Chiamo Cielo una speranza. Gli altri animali si riproducono per istinto. L’uomo ha bisogno di ragioni per poter trasmettere la vita. Senza delle ragioni, senza una speranza, forse non si suiciderà, perché c’è in lui come un’inerzia che lo trascina a continuare la sua corsa come una massa nello spazio vuoto, ma senz’altro non darà la vita ad altri, dal momento che non si capisce perché fare figli se è perché marciscano. La speranza non è una ciliegina sulla torta, occorre che si dichiari nella nostra stessa carne, nel nostro stesso sesso. Gli ebrei lo sanno bene: è nel loro sesso che si trova il segno dell’alleanza con l’Eterno, perché se non credo in questa alleanza, che senso ha continuare l’avventura umana, perché ostinarsi ad alimentare questo carnaio?
Ecco cosa rende l’uomo quest’animale singolare fra tutti: deve tendere al Cielo per poter andare a letto bene con la sua donna.

È in questo – molto semplicemente – che l’uomo va infinitamente al di là dell’uomo. L’uomo cerca le sue ragioni per vivere al di là di se stesso. Aspira a una gioia che non possiede ancora veramente, e si aspetta che a compierla sia qualcosa, diciamolo, di « soprannaturale ». Possiamo prendere a prestito un verbo inventato da Dante, e dire che l’uomo è fatto per «trasumanare ».

4. Ma «trasumanare » come? Come è da intendersi questo «transumanesimo »? Questa parola risuona in modo del tutto particolare fra queste mura. Perché il sostantivo « transumanesimo » è stato forgiato nel 1957 dal biologo Julian Huxley, il primo direttore generale dell’UNESCO. L’interessante è che il primo direttore generale dell’UNESCO intendeva il senso di «transumanesimo » in modo molto diverso da Dante. Il suo pensiero è anzi radicalmente all’opposto di quello della Divina Commedia. Ma ha il vantaggio di manifestare l’unica alternativa che si ponga oggi nel mondo moderno.

Fratello di Aldous Huxley, l’autore del “Il mondo nuovo” [A brave New World], ci si potrebbe attendere che Julian Huxley fosse immune da qualunque tentazione eugenista. Ma è l’esatto opposto. Non è che Julian Huxley fosse inconseguente, anzi è stato di un’estrema coerenza. Nel 1941, nello stesso periodo in cui i nazisti sterminavano con il gas i malti di mente, Julian Huxley scriveva, con una certa audacia: « Una volta che si siano comprese appieno le conseguenze della biologia evolutiva, l’eugenetica diverrà inevitabilmente parte integrante della religione futura, o di quel complesso di sentimenti, quale che sia, che potrà in futuro prendere il posto della religione organizzata. » Queste affermazioni furono scritte nel 1941. Ma è solo nel 1947, quando Julian Huxley è già direttore dell’UNESCO, che vengono pubblicati in francese. E senza che vi fosse cambiata una sola virgola. Certo, Huxley era antinazista, social-democratico e sopratutto antirazzista (senza che questo gli impedisse di scrivere, nello stesso testo citato sopra: «Considero come altamente probabile che i negri autentici abbiano un’intelligenza media leggermente inferiore a quella dei bianchi o dei gialli. ») ma Huxley pretendeva di sostituire le religioni tradizionali con la religione delle biotecnologie.

Certo, non siamo qui per mettere sotto processo a Julian Huxley. Vorrei solo mettere in luce un’ideologia così diffusa da non aver risparmiato neppure questo luogo, e anzi che ha avuto come suo illustre rappresentante il suo primo direttore generale. Se nel 1957 il direttore generale dell’UNESCO inventa il termine « transumanesimo », è per non dover più usare il termine « eugenetica », un termine divenuto difficile da maneggiare dopo l’eugenismo nazista. Ma la cosa che è intesa è la stessa: la redenzione dell’uomo in forza della tecnica. Cito il testo del 1957 nel quale compare per la prima volta questo termine: « Noi dobbiamo mirare alla qualità delle persone e non alla quantità: per questo è necessario applicare una politica di concerto che impedisca al flusso montante della popolazione di sommergere le nostre speranze di un mondo migliore. » Il mondo migliore di Julian non è molto distante dal mondo nuovo di Aldous. Si tratta proprio di migliorare la « qualità » degli individui, così come si migliora la « qualità » dei prodotti, e quindi probabilmente, di eliminare o impedire la nascita di tutto ciò che appaia anormale o deficiente.


5. Vedete dunque che è la definizione stessa di uomo ad essere in gioco in questo nostro incontro. E perciò l’avvenire stesso dell’uomo. L’uomo cerca un al di là. Per essenza è transumano. Ma come si compie il trans del transumano? È in forza della cultura e dell’apertura al Trascendente? O è in forza della tecnica e della manipolazione genetica? Avviene grazie al mistero della parola? O grazie alla volontà di potenza? Certo, l’UNESCO è un’organizzazione mondiale la cui missione è la protezione e lo sviluppo delle culture. Ma è anche, come tutte le organizzazioni attualmente esistenti, divorata dalla logistica tecnocratica, cioè dal desiderio di risolvere dei problemi invece di riconoscere il mistero. Prova ne sia l’ambiguità di cui testimonia il suo primo direttore generale.

Ebbene, la mia domanda è semplice: dobbiamo scegliere come direttore Julian Huxley oppure Dante? La grandezza dell’uomo risiede nel facilitare la vita con la tecnica? Oppure la sua grandezza sta in questa ferita, quest’apertura che è come un grido verso il Cielo, questa domanda a ciò che realmente ci trascende? Vi prego di notare che un transumanesimo di cui l’uomo sia l’artefice non è un vero transumanesimo: non permette di andare verso un al di là, ma costringe a un al di qua, riducendo l’uomo a un oggetto tecnico performante. Ma, voglio ripeterlo, la meraviglia che è l’uomo non sta nella sua performance, perché allora non sarebbe che una prodezza meccanica, e bisognerebbe buttare nella spazzatura tutti i deboli. La meraviglia che è l’uomo sta nella sua presenza stupita. Non è nella sua efficienza, ma nell’epifania del suo volto, qualunque sia, anche se è deforme, anche se è il volto di un crocifisso.

6. La nostra modernità è arrivata a questo punto estremo perché abbiamo ormai la possibilità di realizzare il transumanesimo nella sua accezione tecnologica, e possiamo considerare gli uomini che noi siamo come degli esseri arcaici e obsoleti, rappezzati con poca perizia. Ma questo punto estremo costituisce anche una grazia. Ci permette di accogliere meglio ciò che costituisce la nostra umanità: non uno sviluppo orizzontale della nostra potenza, ma un’elevazione verticale della nostra parola.

Questa è l'opportunità offerta dal Cortile dei Gentili, il prendere cioè atto della novità di questa situazione. Non si tratta affatto solo di un « dialogo fra credenti e non credenti ». Si tratta di porre la questione dell’uomo, e di riconoscere che ciò che ne fa la specificità non è di essere un super-animale più potente degli altri, ma piuttosto di essere quel ricettacolo che accoglie ogni creatura con amore, per orientarla con la sua parola, la sua preghiera, la sua poesia, verso la misteriosa sorgente da cui fluisce.