DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Pesach: schiavi di chi?


Uno dei brani più noti della Haggadà di Pèsach è Avadìm hayìnu. Ne citiamo una parte: “Siamo stati schiavi del faraone in Egitto … e se Dio non avesse fatto uscire i nostri padri dall’Egitto, noi, i nostri figli, e i figli dei nostri figli saremmo ancora schiavi del Faraone in Egitto”.

I commentatori pongono alcune domande su questo brano.

1. Perché ripetere per due volte “Del faraone, in Egitto”? Se si è schiavi del faraone è ovvio che si sta parlando dell’Egitto.

2. Che senso ha dire che noi, i nostri figli, i figli dei nostri figli saremmo ancora schiavi?

Sembra una negazione della storia. I faraoni sono scomparsi e anche l’Egitto descritto nella Torà non esiste più. Rav Eliahu Dessler propone una risposta a queste domande attraverso l’interpretazione delle parole Par’ò(faraone) e Mitzràim (Egitto). La parola Mitzràim deriva dalla radice metzàr che significa ristrettezza, chiusura. L’Egitto è un’immensa prigione in cui si è ristretti e da cui è impossibile uscire. Secondo il Midràsh nessuno schiavo prima degli ebrei è mai stato liberato dall’Egitto.La parola Par’ò invece deriva da una radice che significa apertura, libertà (parù’a in ebraico moderno vuol dire selvaggio).

Proviamo ora a tradurre il passo di Avadìm hayìnu basandoci su questa interpretazione. Viene fuori qualcosa del genere: siamo stati schiavi dell’apertura nella chiusura. È una frase apparentemente senza senso; in realtà secondo Rav Dessler questo passo indica due tipi diversi di schiavitù. C’è una schiavitù che può essere identificata con la parola Mitzraim. L’uomo che non è libero di parlare, camminare, uscire, entrare senza che ciò gli sia ordinato dal padrone, è un uomo continuamente ristretto, imprigionato. L’Egitto era sicuramente questo: costringere gli uomini a lavori sfiancanti, umilianti, spesso inutili che avevano lo scopo di dimostrare che quegli uomini non erano uomini ma oggetti in mano al padrone che poteva disporne a piacimento.

Ma c’è anche un altro tipo di schiavitù ed è quella rappresentata nella parola Par’ò. In Egitto non c’erano regole morali per gli schiavi, a loro era permesso qualsiasi tipo di comportamento senza remore e senza limitazioni. In un passo della Torà gli ebrei rimpiangono l’Egitto in cui si mangiava gratis e il Midràsh si chiede come potevano parlare di cibo gratuito visto che lo pagavano con un lavoro terribile. Il Midrash risponde che essi intendono dire “gratis dalle mitzvòt”. È vero, in Egitto si lavorava tanto, si era oppressi e perseguitati ma non c’erano regole da seguire all’infuori di quelle imposte arbitrariamente dal padrone.

La mancanza di regole, la libertà assoluta e selvaggia è in realtà un’altra prigione perché è libertà di seguire i propri istinti e i propri desideri. Questa situazione, apparentemente ideale, può in realtà toglierci quella che è la libertà fondamentale dell’uomo, la libertà di pensiero.

Un grande Maestro dell’Ottocento, Rabbi Israel Salanter dice che a volte il pensiero dell’uomo è un pensiero corrotto e la corruzione deriva dalla volontà di soddisfare i propri desideri. Salanter spiega che quando desideriamo qualcosa di sbagliato, il nostro pensiero ci frena e ci impedisce di realizzare un desiderio che può essere deleterio per noi o per gli altri. Ma a volte il pensiero viene corrotto dal desiderio e trova una giustificazione alla soddisfazione del desiderio stesso.

Il passo della Haggadà che stiamo commentando dice che se Dio non avesse liberato i nostri padri dall’Egitto saremmo ancora schiavi dell’Egitto. Abbiamo detto che questo passo sembra una negazione della storia, non è così. L’Egitto sarebbe comunque finito prima o poi, i faraoni sarebbero scomparsi prima o poi ma se il faraone fosse riuscito a renderci schiavi nel pensiero, quella schiavitù non sarebbe più scomparsa. Il Maharal di Praga si chiede perché insistiamo tanto a ricordare l’uscita dell’Egitto, dopotutto ci sono state altre dominazioni e siamo tornati a essere schiavi di altre nazioni; e risponde che dopo l’uscita dell’Egitto noi possiamo essere sempre schiavi di qualcuno ma rimarremmo sempre liberi nella nostra essenza.


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