DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

A TAVOLA CON VITTORIO MESSORI. Africa, paternità e gli altri fatti della settimana commentati


09-04-2011


di VITTORIO MESSORI e ANDREA TORNIELLI


Caro Vittorio, in Costa d’Avorio è in corso una sanguinosa guerra civile. Il Papa nelle scorse settimane ha mandato un suo inviato, il cardinale Turkson, e ha lanciato appelli per una soluzione negoziata. Insomma, la Chiesa ancora una volta si muove avendo come prospettiva il mondo intero, e non soltanto le aree strategicamente importanti a causa dei giacimenti petroliferi, come la Libia. Che cosa ne pensi?
In effetti l’Africa nera non interessa più a nessuno. Affonda giorno per giorno e sparisce dalla storia senza che nessuno, nella politica, se ne preoccupi. Ovviamente la Chiesa è, come al solito, l’eccezione, dato che non ha mai smesso di occuparsi di quei Paesi. Il disinteresse generale è un effetto della fine della cosiddetta “guerra fredda”, perché quelle nazioni campavano di ricatti: stavano con l’Urss o con gli Usa a seconda di chi offriva di più. I soldi che ottenevano venivano in maggior parte spesi in armi o rubati dagli establishment locali o sprecati in iniziative fallimentari , ma almeno la piccola parte che restava serviva per infrastrutture e qualche servizio sociale. Con la fine del confronto USA-URSS, l’Africa è stata abbandonata a se stessa. Ma non da tutti: la Cina è infatti sempre più presente in quei Paesi e non teme concorrenza. Li usa con cinismo, senza preoccuparsi affatto del contorno umano, pagando il meno possibile, come deposito di materie prime, soprattutto minerarie. È il caso anche della Costa d’Avorio, ricca di preziosi frutti coloniali e soprattutto di metalli, che sono serviti per lo sfruttamento in epoca coloniale e oggi servono all’industra rampante dei cinesi. Vedi, Andrea, si continua a usare la retorica espressione di «Paesi in via di sviluppo». Dopo cinquant’anni e più dalla decolonizzazione dovremmo concludere che lo sviluppo non c’è, e a viste umane non ci sarà. Un mio amico oculista trascorre un mese all’anno nell’Africa nera come volontario curando chi ha bisogno, ovviamente in un ospedaletto creato e gestito da religiosi cattolici. Mi spiegava la situazione sempre più disperata che trova: ci sono infinite malattie endemiche, tante persone che perdono la vista a causa dei glaucomi già a trent’anni, l’AIDS che si propaga a ritmi allucinanti, la malaria con la quale già nascono i bambini, un clima di caldo torrido che toglie ogni energia per pensare e lavorare… Dovremmo ripensare a certe ottimistiche speranze degli anni Sessanta sulle magnifiche sorti e progressive dell’Africa “liberata“… Oggi solo la Chiesa sembra avere a cuore le sorti di queste regioni. La Chiesa che non va alla ricerca di materie prime, che non si muove in un modo o in un altro a seconda della presenza di giacimenti petroliferi. La Chiesa che è interessata a un’unica «materia prima»: le persone.

Vittorio, cambiamo argomento. Ha fatto un certo scalpore in questi giorni la soluzione del giallo dell’Olgiata. Grazie al test sul DNA, che vent’anni fa non si poteva fare, è stato incastrato uno dei sospettati – allora giovanissimo – il filippino Wiston Manuel Reves, che aveva lavorato nella villa della contessa Alberica Filo della Torre per alcuni mesi…
Lascio volentieri la cronaca nera ai carabinieri e ai magistrati. Come sai, la cronaca nera non mi appassiona affatto, tanto che sarei favorevole a un patto tra i giornali che decidesse di non dedicare mai a queste notizie più di due colonne in cronaca. Il primo giorno: poi basta… Dunque, ti confesso che non penso nulla: in fondo, vivaddio, non bisogna per forza avere un’idea su tutto! Ti confesso che l’unica mia reazione alla lettura dei titoli – non degli articoli, ribadisco, che non mi interessano – è stata un sorriso un po’ amaro, perché conosco una delle regole del giallo classico, all’Agatha Christie: l’assassino è sempre il maggiordomo. E questa volta si è dimostrato vero. Semmai mi interessa il discorso sul DNA, per alcuni risvolti che trovo un tantino inquietanti…

Inquietanti? E perché?
Vedi, può servire a incastrare gli assassini, e questa è cosa utile e buona, ovviamente non lo nego. Ma presenta anche altri aspetti inquietanti, soprattutto agli occhi di noi maschietti. Guarda che uno degli effetti dell’esame del DNA è che non puoi più “dar la colpa“ al marito se metti incinta una signora sposata. Si individuano i colpevoli degli omicidi, ma anche – infallibilmente – quelli delle gravidanze indesiderate e clandestine…

Beh, ammetterai che il test di paternità è una conquista anche in questo caso: gli uomini non possono più smentire o far finta di niente. Gli antichi dicevano «mater semper certa». Ora anche il «pater» non può più fuggire...
Certo, non prendermi sempre così sul serio. La mia era solo una battuta. Anche se il presupposto è vero non sto certo commiserando gli uomini che non si prendono le loro responsabilità, ci mancherebbe! E per questi l’inventore dell’esame del DNA deve essere davvero un rompiscatole da detestare…

Un’altra notizia della settimana sono i dati sulla diffusione dell’alcolismo tra i giovani e giovanissimi nel Nordest. Non è più soltanto un fenomeno del fine settimana. Ormai ogni sera è buona per bere, anche sei drink alcolici a notte. E si comincia poco più che teenager.
Ti confesso che non so dirti ciò che bisogna fare. Ho invece un’idea precisa su ciò che non bisogna fare: innanzitutto, non bisogna cadere in tentazioni proibizioniste. Ne abbiamo già avuto un esempio disastroso negli Stati Uniti degli anni Venti, quando il proibizionismo (voluto dal puritanesimo protestante) ha permesso alla mafia italomericana e a quella cinese ed ebraica di diventare ciò che sono diventate. Si è aperto l’enorme mercato del contrabbando di alcolici, costato migliaia di morti non solo negli scontri tra gang ma anche a causa delle distillerie clandestine fuori da ogni controllo, che hanno finito per distillare di tutto, compresa la benzina! Ogni proibizionismo - la storia è pronta a confermarlo - finisce per aggravare i mali invece che risolverli…

Scusami: posso capire che non si debba tornare al proibizionismo degli anni Venti in America. Ma un controllo credo ci voglia. E poi, qualcuno potrebbe applicare le tue parole anche alla droga. Sei antiproibizionista anche in quel caso?
So che molti lettori non approveranno. Ma, da realista prima ancora che da libertario, mi sono posto più volte la domanda sull’opportunità di liberalizzare alcune droghe leggere che toglierebbe ossigeno alle grandi organizzazioni criminali. Il colpo per la criminalità mondiale sarebbe molto duro. Ma a che prezzo? Di fronte a possibili scenari tragici che rispondono a queste domande, mi fermo. Non ho una posizione precisa, so che quando si crede di risolvere un problema se ne crea immancabilmente un altro e riconosco che c’è una differenza profonda con altre abitudini, come il fumo da tabacco. Se fumi due pacchetti di sigarette al giorno e poi ti metti alla guida dell’auto, dai al massimo qualche colpo di tosse ma non metti a repentaglio la vita di nessuno. Ma se fai la stessa cosa dopo esserti sbronzato o, peggio, drogato, metti a rischio la vita degli altri. Quindi prendi questo mio dubbio con beneficio di inventario, anche perché liberalizzare le droghe farebbe passare un messaggio sbagliato. Si combatterebbe la criminalità ma si rischierebbe di avvicinare ancora più giovani alla droga.

Il problema segnalato da quelle statistiche dice però qualcos’altro: parla, mi sembra, del diffondersi di un disagio…
Anche qui, bisogna stare attenti a non pensare di risolvere tutto con qualche corso scolastico per mettere in guardia i ragazzi. La solita utopia illuminista, alla Rousseau, l’educazione (quella statale, poi!) come toccasana! Mi dicono che ottenga qualche risultato quella organizzazione internazionale che si chiama “Alcolisti Anonimi “. Li ho visti anche a Lourdes, mi hanno commosso per l’umiltà con cui andavano in giro per la città , uomini e donne, con un cartello al collo : "Signore, liberami dall’alcol! Merci". Non essendo mai stato un uomo di utopie, mi sento di condividere ciò che mi diceva il mio amico André Frossard: «Ricordiamoci che il Dio cristiano sa contare solo fino a uno». Dio si rivolge alla persona singola, con un nome e un cognome, ama il tu per tu. Dunque affronterei il problema con il caso per caso. Che ciascuno si attivi per il suo giovane: sia suo figlio, suo nipote, il figlio del vicino o del suo amico. Cerchi di capire quale sia la domanda sottesa a questo abuso di alcool. Molto spesso però non si ha il coraggio di dire che almeno una parte di coloro che bevono o sniffano lo fanno semplicemente per provare sensazioni gradevoli e anestetizzare le loro coscienze, perché la durezza della vita in questo modo appare illusioriamente meno presente. Ti ricordo comunque che Gesù stesso non ha mai voluto cambiare la società in quanto tale, ma ogni singola persona. Il suo non è un messaggio collettivo ma individuale: la società si può e si deve cambiare ma cambiando uno ad uno, a cominciare da noi stessi.

Veniamo alla notizia positiva della settimana. Posso chiederti se ce n’è stata una che ti abbia particolarmente colpito?
Sì, quella che dimostra come la Chiesa abbia finalmente deciso di recuperare il copyright sulla parola «cattolico». Il presidente del Pontificio consiglio per i laici, il cardinale polacco Stanislaw Rylko, ha chiesto formalmente la cancellazione della qualifica di cattolico nella definizione ufficiale dell’UCIP, l’unione cattolica internazionale della stampa. Notizia confortante, perché l’UCIP, nata nel 1927 come unione di giornalisti cattolici, oggi ha poco o nulla di cattolico e ha preso più volte posizione in rotta di collisione con la dottrina della Chiesa. Ci sono tante scuole e università, associazioni e ospedali che si fregiano del titolo di cattolico ma di cattolico non c’è ormai più niente. Ricorderai ad esempio, che un recente film su Lourdes fatto da una regista ex-cattolica al punto di avere chiesto lo sbattezzo, sia stato premiato sia dall’unione degli atei italiani, sia dall’organismo cattolico chiamato a dare pareri “morali“ sui film che si proiettano nelle sale italiane. Conosco genitori che si sono illusi, mandando i loro figli a una scuola sedicente “cattolica”, e si li sono ritrovati formati al politicamente corretto più banale. Insomma, sono – lo sai bene - per la open society alla Carl Popper, tutti devono poter dire ciò che vogliono, pochi sono allergici alle censure – anche, soprattutto, religiose – come me. Ma abbiamo il diritto di sapere se chi si definisce cattolico sulla carta intestata lo sia davvero.

Qual è stata, invece, dal tuo punto di vista, la notizia cattiva della settimana?
Ancora una volta, l’avanzata implacabile del «clericalmente corretto». Ho letto che la Chiesa francese ha pensato – c’è da mettersi le mani nei capelli – di sostituire le parole «missione» e «missionari» con altre più adeguate, che non suonino colonialiste e, chissà perché, offensive. È la stessa ipocrisia secondo la quale si pretende che diciamo rom e non zingaro, diversamente abile e non handicappato, non vedente invece di cieco, operatore ecologico e non spazzino, operatore pastorale e non prete. Così, la Conferenza episcopale francese vuole chiamare i missionari «envoyés», inviati. A noi giornalisti viene subito in mente l’inviato speciale, ad altri il rappresentante di commercio. Dunque non più missionari, bensì inviati. Ma anche «missione» non è più clericalmente corretto, ed ecco che si vuole sostituirlo con «présence», presenza: dunque, caro Andrea, aggiòrnati, guardati dall’essere offensivo dicendo “missionari in missione”, ma sii corretto parlando di envoyés dans la présence. Prima si dava l’idea dell’annuncio evangelico, il kerygma, dato da chi aveva lasciato tutto per amore delle anime dei non cristiani. Ora si dà l’idea di qualcuno che arriva con la valigetta e invece dei ricambi dell’aspirapolvere ti mette sotto il naso il Vangelo. Purtroppo, le chiacchiere, anche quelle tra “presibiteri adulti“, non cambiano le cose: mentre si pensa a cambiare loro il nome, i missionari sono in via di estinzione, come dimostrano i loro noviziati sempre più deserti. E allora, chi “invieranno“ tra poco?

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