Erri De Luca non è nuovo alle storie bibliche: prima In nome della madre, dedicato a Maria, poi E disse con Mosè sul Sinai, infine, ora, Le sante dello scandalo, titolo, solo in apparenza provocatorio, per raccontare cinque figure bibliche femminili della genealogia di Gesù. Tamar di Cananea, Rahav di Gerico, Rut la Moabita, Bat Sheva/Betsabea, infine Miriam/Maria madre di Gesù.
Partiamo dalla scelta delle donne “scandalose” della Bibbia. Ha qualcosa a che fare con il parlare di donne che in questo paese si fa oggi e con il tono con cui lo si fa?
«Io frequento la scrittura sacra proprio per togliermi di mezzo dall’attualità, per procurarmi una distanza sufficiente».
Un modo per fuggire?
«Un modo per essere estemporaneo rispetto a quello che ci succede intorno. Quelle cinque donne, i loro nomi sono nella pagina “1″ del Nuovo testamento, il Vangelo di matteo, la pagina della genealogia che da Abramo passa a Gesù. Hanno la caratteristica di avere con il loro corpo violato e applicato meglio la legge, avendo avuto una ragione superiore alla legge, e poi, tre di loro, sono straniere. Dunque la genealogia più preziosa, quella del messia è contaminata da vari ceppi sanguigni, il Messia non ha pedigree, è innestato come gli alberi che portano frutto».
Nelle prime pagine c’è un riferimento preciso al corpo delle donne e al suo assoggettarsi a un canone estetico pensato dagli uomini. A volte si riflette sul fatto che attraverso l’immagine che si dà del corpo delle donne passa la misura della civiltà. Fino a che punto questo è vero?
«Per me civiltà è una parola plurale, non mi sembra che ce ne sia una sola e che magari coincida con la nostra. Ci sono state molte civiltà nel passato e molte ce ne sono adesso. Considero per esempio incivile (ride) l’uso degli occhiali da sole perché coprono lo sguardo, persino il burqa copre tutto ma lascia scoperta la finestra degli occhi, la più bella».
Maria/Miriam, la madre di Gesù, è comparsa nella sua scrittura e nelle sue riflessioni: scrive che attraverso questa donna passa la “storia più ambiziosa del mondo”. Ambiziosa in che senso?
«È la storia di una madre che mette al mondo un figlio e lo offre della salvezza del mondo, una storia che allarga i limiti del mondo allora conosciuto, una storia di sacrificio e di amore, perché la madre genera il figlio e lo consegna al mondo e al suo destino com’è scritto nel Vangelo di Giovanni. È alle nozze di Cana che la madre chiede di esporsi, di uscire allo scoperto di provvedere con un atto festivo, molto diverso da tutti gli atti necessari, da tutti i miracoli che farà successivamente. Gli altri miracoli sono per sanare qualcuno, per aggiustare un guasto di natura, per appianare una tempesta, lì invece serve per prolungare la festa».
Lei ha scelto di far riferimento alla voce di uno dei quattro evangelisti, Matteo, e di visualizzare le immagini attraverso l’iconografia di Caravaggio. È un caso la scelta di un pittore giudicato scandaloso per la sua epoca?
«Caravaggio è uno fuori piazza, uno che sta ai margini, accolto e fininanziato per la sua qualità eccelese ma muore da fuorilegge. Nella prima versione di Matteo e l’angelo Caravaggio fa scrivere a Matteo sulla pagina in ebraico, l’inizio del libro dell’Esodo, le Generazioni, ma non piacque ai committenti che gliene commissionarono un altro in cui il libro non è in favore di lettore. Lo scandalo di quel quadro è che è stato distrutto a Dresda durante la seconda guerra mondiale».
A proposito di Tamar in Le sante dello scandalo e di Giuseppe in In nome della madre fa notare che la loro prima preoccupazione, pur da ”vittime” è non esporre i presunti colpevoli allo scandalo, nonostante possano ritenersi da quello scandalo risarciti. La sottolinatura di questo supplemento di attenzione alla persona ha qualcosa a che fare – proposito di fuga dal presente – con la nostra quotidiana caccia allo scandalo?
«Josef/Giuseppe, che è lecito immaginare giovane - nel Vangelo non si dice che sia annziano - si trova di fronte allo scandalo della sua promessa incinta non di lui e fa una cosa ancor più scandalosa: la sposa. Non pareggia i conti, li raddoppia, raddoppia lo scandalo salvandole la vita e accettando di essere un vice in terra di quelle nozze e di quella paternità.
Perciò è una figura che esclama a tutta forza la sua intenzione amorosa, rivendica l’amore a qualunque costo ed è facile immaginarsi l’isolamento in quella comunità che probabilmente lo considerava un poveraccio che si era fatto ingannare. Che c’entra con l’oggi? Non lo so, è una storia a lieto fine, mentre per tante ragazze madri oggi che all’improvviso si trovano ad affrontare questa avventura, l’avventura finisce male per loro e per il bambino».
È per questo amore che sfida le convenzioni sociali che lei scrive che la storia sacra ha molti meno pregiudizi rispetto alla storia profana?
«La storia sacra fa i conti con la figura femminile, la seconda figura di questa genealogia è una prostituta che accetta di ospitare le spie di Israele, le salva e affida loro la sua stessa salvezza. Non solo è una prostituta, tradisce il suo popolo e nei commentari ebraici si legge che “divenne la moglie di Giosuè”. Segue il conquistatore della terra promessa. Nella storia sacra leggiamo notizie che ci fanno pensare a un mondo che sapeva guardare al caso singolo oltre la legge.
Quando Gesù salva l’adultera interviene sulla giurisdizione una donna ufficialmente condannata a morte dal massimo tribunale. Gesù inventa una formula per quella donna, per quel singolo caso che non verrà più applicato altrove, che non fa giurisprudenza. È ammessa la possibilità che anche una vita condannata a morte per legge possa essere salvata: Questa è la mancanza di pre-giudizi»
Sceglie quasi sempre il punto di vista delle donne per raccontare la storia sacra. E’ casuale o c’è una ragione che magari attiene al fatto che l’ebraismo si tramette per parte madre?
«C’è una potente impronta femminile nella storia sacra, anche nella storia di Mosè sul Sinai che non è la trasimssione della legge da Dio a Mosè ma dalla divinità all’assemblea riunita sotto il Sinai, Mosè è solo il portatore di quel carico, ma il carico se lo assumeranno tutti.
È interessante per me tenere presente la reazione delle donne che sentono quella legge pronunciata con un “tu”, (maschile che l’ebraico distingue dal “tu” femminile), le dieci frasi di quell’alleanza sono rivolte un tu maschile, non per escludere il femminile ma come ad assegnare al tu maschile la trasmissione di quel ramo secondario che è la conoscenza della legge, mentre alle donne spetta l’immensità del ramo della trasmissione della vita. Immagino che le donne in quel momento abbiano pensato: Ecco facciano qualcosa anche gli uomini».
Alla fine del suo nuovo libro c’è la storia di Ante, costretto a spaccare pietre in prigionia, che si tiene vivo pensando che le pietre si debbano spaccare per liberare le scintille. È estraneo al resto questo racconto finale o queste figure di donne a loro modo sono scintille?
«La scrittura sacra è femminile, le lettere sono tutte femminili e le lettere fanno attrito nel formare le parole, quell’attrito produce scintille».
Elisa Chiari