di Raffaella Frullone
“Gesù, che cosa ho fatto?”. Disperate, angosciate, terrorizzate, sono le uniche cinque parole che giravano vorticosamente in testa ad un padre l’attimo dopo aver assistito all’aborto del figlio.
Non un padre qualunque, non un inesperto adolescente, non un uomo timido e insicuro alle prese con una situazione che non sapeva gestire, non un cattolico fervente la cui donna aveva deciso per due, no. Il grido silenzioso di rimorso è quello di Steve Tyler, rock star di fama internazionale nonché leader degli Aerosmith.
Era il 1975, anno dei primi travolgenti successi per il gruppo, esploso, anche sotto il profilo commerciale, con Toys in the attic, che ha venduto circa 8 milioni di copie, Sweet Emotion e Walk this way. Tyler, allora 27enne, si era trasferito a Boston ed aveva voluto con sé la giovanissima fidanzata Julia Holcomb. La ragazza allora aveva solo 14 anni e per consentire la convivenza tra i due, i genitori di Julia avevano firmato un permesso per affidare a Tyler la custodia legale della figlia.
A distanza di 35 anni, la vicenda viene a galla dalle pagine dell’autobiografia del gruppo, “Walk in this way”, curata da Stephen Davis e da poco disponibile nelle librerie americane. Secondo quanto riportato nelle pagine del libro, Julia rimase incinta e l’enturage degli Arosmith convinse Tyler a prendere l’unica strada ragionevolmente possibile: quella dell’aborto. Un’esperienza di cui Tyler stesso parla proprio nel volume: «Ero davvero in crisi. Per me era un momento importante, stavo costruendo un progetto di vita con una donna, ma ci convinsero che non avrebbe mai funzionato e che avrebbe rovinato le nostre vite». Tyler e Julia si lasciano convincere ed è proprio la rock star a descrivere con poche, crude parole il momento che davvero segna la reale rovina delle loro vite. «E’ semplice. Vai dal medico, si mette un ago nel ventre della mamma, e viene iniettato il veleno. Tu resti lì, a guardare. Poi tirano fuori il bambino, morto. Pochi minuti. Ero devastato, nella mia testa continuavo a ripetere “Gesù, cosa ho fatto?”».
A descrivere lo stato d’animo di Tyler dopo l’aborto del figlio è anche l’amico Ray Tabano, chitarrista del gruppo che ha vissuto di riflesso il dramma del cantante «Tyler uscì stravolto da quell’esperienza. Era solo un ragazzo e il fatto di aver visto tutto, di avere vissuto tutto, lo distrusse».
Sebbene negli anni dell’adolescenza Tyler avesse già avuto esperienze con alcool e marjuana, è l’aborto della sua fidanzata a segnare lo spartiacque più importante della sua vita, che degenera in maniera irreversibile. Pur continuando a vedere Julia, piombata in una crisi depressiva che la porterà a tentare più volte il suicidio, inizia una relazione con una modella di Playboy, Bebe Buell, che lo accompagna in un tour Europeo. La modella è la prima diretta testimone del baratro in cui cade Tyler: “Era pazzo, sempre completamente ubriaco, più volte è stato capace di distruggere il camerino che gli assegnavano. Tornati a Boston le cose non sono migliorate, un giorno tornando a casa l’ho trovato disteso in bagno completamente imbottito di droga. Era distrutto dal dolore». La situazione degenera a tal punto che la Buell, quando rimane incinta della figlia Lyv, nata nel 1977, realizza che è impossibile crescere un figlio con un uomo completamente fuori controllo al suo fianco e torna con il suo ex fidanzato, il produttore Todd Rundgren, che crescerà Lyv come fosse sua figlia.
Sebbene la vita disordinata di Tyler possa essere vista come la conseguenza del successo misto all’animo rock, gli esperti riconoscono in questo tipo di atteggiamento i tratti tipici di uno stress seguito ad un grosso trauma: assumere droghe infatti non è che il tentativo di rimuovere ricordi e sensazioni. La rabbia inoltre, specialmente per un uomo è spesso espressione di un grosso senso di colpa che ha bisogno di essere espresso.
Di come la sua vita sia stata rovinata dalla droga, Tyler parla anche nella sua stessa autobiografia: «Mi sono sniffato la mia Porsche, il mio aereo e la mia casa. Ho buttato via 20 milioni di dollari per colpa della droga. Nonostante negli anni 80 fossi uno dei cantanti più celebri e pagati al mondo, ero sempre senza soldi per via degli stupefacenti».
Il libro è presentato dal cantante come «il racconto della sua discesa agli inferi»: «Salivo spesso sul palco con una cassetta piena di droga – scrive il cantante –Sono fortunato di essere ancora vivo». A nulla è valsa la sua permanenza in diversi centri di riabilitazione per disintossicarsi: «Se non fossi stato aiutato dagli altri, probabilmente sarei morto diverse volte» ha dichiarato «Ecco che cosa ho avuto dalla droga. Mi ha fatto allontanare dai figli, ha segnato in negativo la mia band, ha distrutto i miei matrimoni e spesso mi ha messo in ginocchio».
Una storia triste. Squallida se pensiamo che stiamo parlando di un talentuoso rocker che nella vita ha avuto possibilità straordinarie di successo oltre che di guadagno. Una storia che Tyler ha messo per iscritto in un libro che probabilmente è specchio del suo stato d’animo oggi “Does the noise in my haed bother you?” ovvero “Ti dà fastidio il chiasso nella mia testa?”. No, non ci dà fastidio Tyler, e forse il chiasso è figlio di quella frase che come un vortice ti girava in testa in quella spoglia stanza d’ospedale “Gesù, che cosa ho fatto?”