DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Il corpo del nemico. Esercizio sulla fotografia dal “Che” a Osama

di Simone Trebbi

Nessuna sorpresa dunque, se la fotografia di un corpo, o meglio, di un cadavere, sia in grado di scatenare panico e confusione, tutto sotto il grande cielo della curiosità quasi morbosa intrinseca nel nostro essere. Un argomento, quest'ultimo, di strettissima attualità.

Rendere le foto pubbliche rischiando di renderlo un pretesto per l'ideologia islamica nel continuare un processo anti-occidentale ed anti-americano già in atto da diversi anni o mantenerle segrete, evitando così di scatenare repressioni ancora più feroci e devastanti? E' questo il problema che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha dovuto affrontare durante questa settimana. La foto in questione, ovviamente, è quella dell'ex leader di Al Qaida Osama Bin Laden, ucciso in un blitz delle forze americane in un rifugio nel cuore del Pakistan. Nonostante la espressa volontà dell'amministrazione Usa di mantenere momentaneamente il riservo, in tanti sul web si sono prodigati arrivando addirittura a compiere fotomontaggi e pubblicare presunte 'foto rubate' chissà dove. Nel frattempo, la conferma è arrivata: dalla Casa Bianca, no categorico alla divulgazione delle fotografie del leader del terrore, che ha tenuto sotto scacco una discreta fetta di globo per circa una decina d'anni, terminando poi la propria avventura terrestre con un colpo in fronte sparato da un militare dei mitici "team six" dei Navy Seal.

Un trattamento sostanzialmente analogo fu riservato al corpo di uno dei personaggi più conosciuti dell'intero novecento, il guerrigliero e rivoluzionario argentino Ernesto Guevara de la Serna detto "il Che". Lasciata Cuba nel 1965 per esportare ideali rivoluzionari in Bolivia, venne successivamente ferito, catturato ed ucciso. Al suo corpo, furono mutilati polsi e caviglie, un interrogativo che perdurò per circa quarant'anni e fu svelato soltanto il 30 ottobre del 2005, quando Maria Seoane, penna del quotidiano argentino El Clarin, riuscì grazie alla testimonianza di tre periti della polizia scientifica a ricostruire quei momenti ed arrivando alla risposta finale: le mani, conservate in liquido formol, divennero oggetto di studi da parte di esperti, con il fine di confrontare le impronte digitali del cadavere con quelle sicuramente appartenenti al Che e prelevate diversi anni prima.

Stabilità l'assonanza («Le dita erano rattrappite come l' uva passa»), il cadavere fu sepolto in luogo segreto.

Il ritrovamento avvenne qualche anno dopo, durante una missione di antropologi forensi.

La fotografia della pubblica esposizione del cadavere del Che, occhi socchiusi e barba incolta, girarono il mondo portandosi appresso un chiaro messaggio di fallimento per la Rivoluzione auspicata dai Paesi dell'America Latina. L'ultima fotografia scattata non rende decisamente giustizia ad una vita avventurosa come quella del nativo di Rosario: ufficiali dell'esercito e gli altri presenti sembrano decisamente più interessati a comparire all'interno di una delle immagini più viste in assoluto nella storia. Una tremenda somiglianza con l'ultima immagine del torero Manuel Granero, leggendario matador spagnolo deceduto dopo una tremenda cornata nell'Arena di Madrid. Rodero, autore dello scatto annotò impietosamente sul retro della fotografia: "Granero morto nell'ambulatorio. Soltanto due in tutto il gruppo pensano a Granero. Gli altri sono tutti preoccupati di come riusciranno nella fotografia".

Intanto, dati alla mano, la fotografia più stampata di tutti i tempi è quella che periodicamente invade mercati, bancarelle e negozi. Alberto Korda, come più volte ha raccontato nel corso della sua vita, intento a scorrere i personaggi affacciati ad una tribuna a breve distanza dal cimitero di Colon con la sua Leica, nota con la coda dell'occhio «una immagine molto particolare, il volto teso, il sopracciglio sinistro lievemente alzato, il basco con la Stella, il giaccone di capretto ben stretto intorno al collo ed il vento che gli agita i capelli».

Il volto è del Che, e Korda scatta. Anni dopo, l'editore Giangiacomo Feltrinelli nota la foto sulla parete di casa del fotografo e gliene chiede una copia. Korda gliela regala. Feltrinelli decide senza troppa convinzione di farne un poster; mal gliene incoglie. Decine di milioni di copie invadono il mondo, comparendo su libri, riviste, cartoline, vestiti, bandiere e calendari. Renè Girard ci insegna a diffidare, anzi, a temere le folle e ne ha ben donde. Infatti, le fotografie possono essere armi assai pericolose: quando finiscono nelle mani sbagliate (vedi ancora le masse di Girard - ndr), è facile ritrovarle poi smussate di ogni valenza simbolica sulle bancarelle. E quindi, diventano inutili.

© Copyright L'Occidentale l'8 maggio 2011