Normalmente si pensa ai venditori, nella migliore delle ipotesi, come dei bugiardi e nella peggiore come dei perfetti imbroglioni. In questo modo si viene a creare un’etica per l’uomo comune e un’etica per l’uomo dedito al commercio. Ha un senso, anche economico, questa distinzione? Noi crediamo di no.
Sicuramente questa distinzione non esisteva nel Medioevo, quando il mercante aveva la stessa etica degli altri cattolici. La virtù dell’onestà nell’età di mezzo si andava ad unire all’altro concetto del buon nome o della buona fame. Il mercante era onesto non solo per evitare le fiamme dell’Inferno, ma anche per avere una buona fama, per non infangare il nome della famiglia ed anzi renderlo sempre più rispettabile. L’importanza di appartenere ad una famiglia con un nome rispettabile non era solo un buon viatico per gli affari, ma era una necessità tout court.
Nel Medioevo, in cui l’analfabetismo era piuttosto diffuso, era molto importante la parola data che risultava vincolante. Per esempio l’eresia Catara che predicava l’inutilità dei giuramenti, minava alla base la stessa civiltà occidentale. Se non era possibile giurare, come ci si poteva impegnare reciprocamente, per qualsiasi interazione umana, dal vassallo che prestava fedeltà al suo signore garantendogli di accorrere in sua difesa, al semplice scambio di beni agricoli fra contadini? Quindi l’onestà da virtù cristiana diventava essenziale per il mercante per i suoi affari: chi avrebbe mai fatto affari con un mercante di cui era nota la disonestà?
L’onestà si trasforma in una virtù capitalista, con buona pace di chi pensa che il capitalismo nasca in ambiente protestante e non cattolico.
Ma l’onestà continua ad essere un valore “capitalista”? La risposta è piuttosto ovvia: si. Comprereste qualcosa da un operatore economico di cui è nota la disonestà? Tra l’altro, l’onestà ha un suo valore economico bene definito che è il valore economico che si riconosce alla marca. Tutti o quasi compreremmo una Ferrari ad occhi chiusi. Perché? Perché è un marchio affermato, ma detto in altre parole, la compreremmo perché ha una buona fama, di auto di qualità. Non ci aspettiamo di trovare difetti in una Ferrari, al contrario di altre marche. Certo nel concetto di marca c’è molto di più che solo una buona fama, c’è il concetto di stile di vita e di tutti un’altra serie di fattori più o meno ponderabili che si possono trovare in un buon manuale di marketing. Ma una marca avrebbe un valore se l’associassimo ad un’azienda disonesta? Non credo proprio.
Quella virtù dell’onestà del mercante medievale che si traduceva nella buona fama, la ritroviamo nel moderno concetto di marca. In conclusione non credo che ci possa essere un’etica negli affari diversa da quella dell’uomo comune. A lungo andare, se un operatore continua ad avere comportamenti scorretti, quanto può durare nella comunità, prima che ne venga espulso? Certo oggi il mondo è grande, non è il villaggio medievale, ma con i nuovi mezzi di comunicazione forse è ancora più piccolo. Dopotutto hanno licenziato dei dipendenti per opinioni scritte su Internet, volete che un operatore disonesto possa farla franca per sempre?
Un esempio di onestà è una famosa multinazionale alimentare: Mc Donalds. Si è cercato in tutti i modi di distruggerne la reputazione dicendone di tutti i colori e sinceramente non si capisce perché tanto odio, eppure la società è ancora qui viva e vegeta. Questo perché, sostanzialmente, la società è più o meno onesta: quando una persona si reca in un Mc Donalds si aspetta di trovare del cibo più o meno decente ad un prezzo modico e nulla più. Nessuno si aspetta dei piatti da gran gourmet o del cibo dietetico o biologico. Semplicemente Mc Donalds vende cibo economico e non pretende altro, la gente lo sa e non si fa ingannare da tante maldicenze che puntano a distruggere la società.
Queste considerazioni generali hanno delle importanti conseguenze sull’idea di creare nuove regole sempre più rigide per gli operatori di mercato. Sono proprio necessarie, se il mercato fa fuori comunque l’operatore disonesto? Qualcuno potrebbe obiettare sui costi che l’espulsione “naturale” potrebbe comportare rispetto a quella ex-legge. Il discorso però può facilmente rovesciato: quanto costa imporre nuove regole a tutti gli operatori per evitare i danni di pochi operatori disonesti? Il costo complessivo quale sarà nei due casi? E poi siamo sicuri che regole più stringenti impediscono l’agire dell’operatore disonesto?
Se pensiamo ai salvataggi delle banche, il messaggio che è passato è che non si è puniti per i propri errori. In soldoni, gli operatori che hanno sbagliato con più o meno malafede hanno ricevuto soldi pubblici!
L’idea che debba essere la legge ad espellere l’operatore disonesto parte dal presupposto che la persona non sia in grado di tutelarsi da solo e lo Stato-Mamma lo debba tutelare. Possiamo accettare questa prospettiva?
In conclusione, al di là dei costi da stimare c’è anche un problema di libertà. Ammettendo che sia meno costoso imporre delle regole rispetto al naturale decorso del mercato, siamo sicuri che non convenga sopportare quel costo in più in cambio di una maggiore libertà?
Vito Foschi