dal Giornale di Brescia, 28 aprile 2011
Lo psicologo Claudio Risé ha dedicato un saggio al narcisismo, disturbo tipico della nostra «società dell’apparire»: «La ricerca dell’approvazione cancella il proprio io e rischia di generare solitudine»
Intervista a Claudio Risé, di Maria Pia Forte
Nel mito greco l’avvenente Narciso s’innamora della propria immagine riflessa nell’acqua fino a morirne: al posto dell’altero giovane spunterà un delicato fiore, che tuttora porta il suo nome. Anche gli odierni Narcisi amano un’immagine di sé, quell’immagine con cui aspirano a fare colpo sul prossimo, e di Narcisi oggi è pieno il mondo. Ce lo dicono non solo, quotidianamente, fatti di cronaca, rotocalchi e tv, ma anche diversi studi su quella che può considerarsi la malattia del secolo. Su 16.000 studenti americani di 18-19 anni intervistati dalla psicologa Jean Twenge della San Diego State University, il 30per cento sono risultati narcisisti, il doppio rispetto al 1982. «Siamo di fronte - ha commentato Jean Twenge – a una svolta generazionale».
Del dilagare di questo disturbo della personalità si è occupato già in passato Claudio Risé, (nel saggio «Felicità è donarsi. Contro la cultura del narcisismo e per la scoperta dell’altro»), e ne parlerà nel libro di prossima pubblicazione «Guarda, tocca, vivi. Riscoprire i sensi per essere felici» (entrambi per Sperling & Kupfer).
Professor Risé, il narcisismo oggi colpisce in particolare i giovani?
È certo che il narcisismo è il disturbo psicologico più diffuso del nostro tempo. La sua diffusione è tale da spingere i curatori dell’autorevole Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali, a chiedersi se non sia il caso di toglierlo dai malesseri elencati, in quanto ormai presente in modo epidemico tra adulti e giovani.
Un pizzico di narcisismo non è innato? Quando esso degenera in patologia?
Il narcisismo è normale quando è «primario», vale a dire una manifestazione nelle prime fasi della vita del bambino, che ha una necessità vitale di conferma da parte degli altri, attraverso la quale sviluppa la consapevolezza della propria identità. Più tardi, invece, il bisogno di rispecchiarsi negli altri e nella loro approvazione diventa pericoloso perché impedisce, o almeno rallenta, il riconoscimento e l’approfondimento degli aspetti individuali, autentici, della personalità.
Il narcisismo è divenuto una psicopatologia collettiva, ascrivibile a quello che Freud chiamò «disagio della civiltà»?
Il narcisismo attuale è, a mio avviso, più che una patologia individuale,un disturbo indotto dal modello di cultura delle società postmoderne, dove l’immagine ha un’enorme importanza in quanto motore dei consumi, e quindi del benessere. Anche chi non è narcisista è costretto a fingere di esserlo (per esempio attribuendo alla propria immagine una cura che non gli viene spontanea) se aspira ad una buona affermazione nella vita. Molti vip, per esempio, sono obbligati a suscitare attenzione e curiosità attorno alla propria persona se vogliono che le loro attività e iniziative ottengano successo. I giovani percepiscono questa situazione, e dal narcisismo naturale della prima infanzia non escono mai.
Nella nostra società competitiva il narcisismo è un’arma in più per «sfondare»?
Sì, a prezzo di gravi squilibri psicologi e fisici, tutti riconducibili al tradimento di sé per ottenere l’applauso degli altri.
Qual è il punto debole del narcisista?
Una grande insicurezza, che deriva dall’aver costruito solo in funzione dell’approvazione degli altri, e non a partire dai contenuti personali.
Tv e internet, luoghi di trionfo dell’apparenza, hanno responsabilità?
Tv e internet possono essere messi a servizio del narcisismo, o essere mezzi di formazione personale, a seconda di come sono fatti e di come vengono usati. Come spiego nel mio libro di prossima uscita, il loro rischio è quello di sostituirsi ai sensi nella comunicazione dell’individuo col mondo esterno.
I sensi, dunque, oggi atrofizzati, vanno riscoperti e rieducati in quanto «porta» di quelle emozioni che Narciso, tutto preso da se stesso, non sa provare. Il narcisista, incapace di donarsi e di instaurare un rapporto reale col prossimo, è condannato a ritrovarsi solo?
Sì, perché è preoccupato solo di ricevere (attenzione, approvazione, conferme), in quanto non si è mai chiesto quali siano davvero i suoi contenuti personali. Questa sterilità, e «bisognosità», è ricambiata dagli altri con l’abbandono.
Tra i personaggi famosi del passato, D’Annunzio e Oscar Wilde possono essere considerati narcisisti?
Del dilagare di questo disturbo della personalità si è occupato già in passato Claudio Risé, (nel saggio «Felicità è donarsi. Contro la cultura del narcisismo e per la scoperta dell’altro»), e ne parlerà nel libro di prossima pubblicazione «Guarda, tocca, vivi. Riscoprire i sensi per essere felici» (entrambi per Sperling & Kupfer).
Professor Risé, il narcisismo oggi colpisce in particolare i giovani?
È certo che il narcisismo è il disturbo psicologico più diffuso del nostro tempo. La sua diffusione è tale da spingere i curatori dell’autorevole Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali, a chiedersi se non sia il caso di toglierlo dai malesseri elencati, in quanto ormai presente in modo epidemico tra adulti e giovani.
Un pizzico di narcisismo non è innato? Quando esso degenera in patologia?
Il narcisismo è normale quando è «primario», vale a dire una manifestazione nelle prime fasi della vita del bambino, che ha una necessità vitale di conferma da parte degli altri, attraverso la quale sviluppa la consapevolezza della propria identità. Più tardi, invece, il bisogno di rispecchiarsi negli altri e nella loro approvazione diventa pericoloso perché impedisce, o almeno rallenta, il riconoscimento e l’approfondimento degli aspetti individuali, autentici, della personalità.
Il narcisismo è divenuto una psicopatologia collettiva, ascrivibile a quello che Freud chiamò «disagio della civiltà»?
Il narcisismo attuale è, a mio avviso, più che una patologia individuale,un disturbo indotto dal modello di cultura delle società postmoderne, dove l’immagine ha un’enorme importanza in quanto motore dei consumi, e quindi del benessere. Anche chi non è narcisista è costretto a fingere di esserlo (per esempio attribuendo alla propria immagine una cura che non gli viene spontanea) se aspira ad una buona affermazione nella vita. Molti vip, per esempio, sono obbligati a suscitare attenzione e curiosità attorno alla propria persona se vogliono che le loro attività e iniziative ottengano successo. I giovani percepiscono questa situazione, e dal narcisismo naturale della prima infanzia non escono mai.
Nella nostra società competitiva il narcisismo è un’arma in più per «sfondare»?
Sì, a prezzo di gravi squilibri psicologi e fisici, tutti riconducibili al tradimento di sé per ottenere l’applauso degli altri.
Qual è il punto debole del narcisista?
Una grande insicurezza, che deriva dall’aver costruito solo in funzione dell’approvazione degli altri, e non a partire dai contenuti personali.
Tv e internet, luoghi di trionfo dell’apparenza, hanno responsabilità?
Tv e internet possono essere messi a servizio del narcisismo, o essere mezzi di formazione personale, a seconda di come sono fatti e di come vengono usati. Come spiego nel mio libro di prossima uscita, il loro rischio è quello di sostituirsi ai sensi nella comunicazione dell’individuo col mondo esterno.
I sensi, dunque, oggi atrofizzati, vanno riscoperti e rieducati in quanto «porta» di quelle emozioni che Narciso, tutto preso da se stesso, non sa provare. Il narcisista, incapace di donarsi e di instaurare un rapporto reale col prossimo, è condannato a ritrovarsi solo?
Sì, perché è preoccupato solo di ricevere (attenzione, approvazione, conferme), in quanto non si è mai chiesto quali siano davvero i suoi contenuti personali. Questa sterilità, e «bisognosità», è ricambiata dagli altri con l’abbandono.
Tra i personaggi famosi del passato, D’Annunzio e Oscar Wilde possono essere considerati narcisisti?
No, entrambi sono stati piuttosto il contrario, in quanto la loro esistenza è stata devota essenzialmente alla realizzazione dei propri contenuti, desideri e stili di vita, anche rischiando emarginazione e la stessa vita.