Il biotestamento e altre irrilevanze su cui la chiesa dovrebbe riflettere
Tratto da Il Foglio del 20 maggio 2011
La legge sul testamento biologico, rientrata d’urgenza in calendario nel clima un po’ folcloristico, sul côté politico, delle celebrazioni wojtyliane, è prontamente stata rimandata sine die. Legge non sostenuta all’unisono neppure dai cattolici, ma pur sempre la legge più invocata, l’urgenza più sottolineata, dalla Cei: la “sua” legge di legislatura. Carlo Giovanardi può manifestare soddisfazione per la bocciatura della legge sull’omofobia, ma è tutto da verificare se il punto possa essere segnato tra gli obiettivi più sentiti dal mondo cattolico. Per il resto, un paio di mesi fa il combattivo sottosegretario aveva minacciato di dimettersi per l’inesistenza delle politiche pro famiglia, l’altro must di legislatura indicato dalla Cei, mentre la crisi dei matrimoni certificata dall’Istat mette pena quasi solo ad Avvenire. Le polemiche sugli eventuali “rematori contro” alle elezioni milanesi sono paccottiglia; ma sta di fatto che, a furia di litigi e pasticci, l’influente parte di cattolici impegnata nel centrodestra a Milano e nel governo rischia di trovarsi con un sindaco più interessato alle moschee che agli asili parrocchiali. Forse in curia piacerà più della Moratti, ma è un altro fatto che i non molto più rilevanti cattolici del Pd stanno trattando con Pisapia l’ingresso in squadra di un qualche esponente d’area. Che per ora non c’è.
Il quadro depresso della politica rivela insomma, una volta di più, anche una sostanziale irrilevanza dei cattolici proprio su quei temi che da anni sono il loro orizzonte di presenza pubblica. Negli anni di Ruini, la politica della rilevanza e di un certo divide et impera dei due schieramenti ha portato alcuni risultati. Ora, venuto meno nei numeri il peso condizionante, anche la rilevanza pubblica di certi temi è andata, come si dice, a farsi benedire. La chiesa non ha molte fiches da puntare, né sta incassando granché. A Lampedusa, il cardinale Bagnasco ha punzecchiato chi “parla molto e fa poco”. Non proprio un anatema, a chiunque fosse rivolto. L’impressione è che la chiesa sia spesso costretta a nobili, ma stucchevoli e improduttivi, appelli. Dopo Ruini, la chiesa ha puntato su una sorta di Patto Gentiloni informale, di non disprezzabile valore, con il centrodestra.
Ma l’impressione è che il patto stia esaurendo la sua funzione. La chiesa può decidere legittimamente di andare avanti così, non è scritto nei dogmi che i cattolici debbano avere un progetto politico, né tantomeno un partito. Ma se la loro politica si riduce a verbalizzare qualche azione di disturbo, tanto varrebbe, da parte della gerarchia, ripristinare un bel non expedit e smettere di chiedere ai laici un impegno che non incide per mancanza di progetto. E suggerire ad associazioni e movimenti di occuparsi del tanto altro di buono che sanno fare.