intervista a Vincenzo Cagnano
di Paolo Nessi
E’ morta a soli 16 anni, per non portare a termine la gravidanza di un figlio che, non sappiamo perché, ma non voleva. A toglierle la vita è stata la pillola abortiva Ru486; il decesso è stato causato da uno shock settico da Clostridium Sordellii, infezione che finora era stata diagnostica nei decessi da aborto medico esclusivamente negli Stati Uniti. La ragazzina era portoghese e, in Europa, è il primo caso di morte accertata per Ru486. Al di là delle considerazioni sulla liceità o meno dell’interruzione di gravidanza, resta un fatto incontrovertibile: se fosse stata seguita in ospedale, probabilmente il virus sarebbe stato contrastato e si sarebbe salvata. Vincenzo Cagnano, medico che ha deciso di non optare per l'obiezione di coscienza e che, quindi, pratica l'aborto, ci illustra gli aspetti controversi della Ru486.
Qual è la sua opinione sull’utilizzo della pillola abortiva?
Pariamo da una considerazione: la legge 194 è stata studiata per garantire un’assistenza alle donne che vogliono abortire. Prevede che la donna sia accudita, nel corso della propria vita riproduttiva, in tale scelta - che non è mai presa a cuor leggero -, attraverso, ad esempio, colloqui con specialisti, psicologi e ginecologi, per trovare alternative all’aborto. Nella mia esperienza ho notato come trovarsi qualcuno con cui parlare – può essere lo psicologo, il medico o l’infermiera -, confrontarsi, chiedere ancora spiegazioni sul passo che si sta compiendo, possa essere determinante.
Ho visto alcune donne cambiare idea all’ultimo minuto e rinunciare all’aborto. Se la Ru486 dovesse essere introdotta in Italia – attualmente è impiegata in via sperimentale solo in alcune Regioni - ci troveremmo ad uno stravolgimento completo della 194. Le donne entrerebbero in una qualsiasi farmacia e prenderebbero la pillola nel silenzio della loro casa.
Attualmente in cosa consiste il suo utilizzo sperimentale?
Viene utilizzata in trial controllati nelle aziende ospedaliere. E’ stato deciso, nel 2005, di adottarla, con notevole dispendio di risorse economiche, sia per l’azienda che per l’utente. La donna viene ricoverata per tre giorni. Nel primo, prende la dose di farmaco. Nel secondo vengono osservate le sue condizioni cliniche. Il terzo prende il misoprostolo, un farmaco che favorisce la modificazione del collo dell’utero e l’espulsione eventuale della camera gestazionale. Se tutto ciò non avviene, la donna viene egualmente sottoposta a raschiamento. C’è da dire che, a mio avviso, in quei tre giorni non viene particolarmente seguita.
In realtà, non sono sempre tre giorni…
Questo, infatti, è un altro grande problema. Spesso accade che la donna, dopo avere assunto la pillola in ospedale, già nel pomeriggio torni a casa. Si tratta sovente di ragazze molto giovani, che prendono la Ru486 la mattina, e poche ore dopo devono rientrare, per nascondere ai genitori quanto avvenuto. Con tutto ciò che ne consegue. L’infezione della ragazza portoghese, se fosse stata riconosciuta in ospedale, sarebbe stata curata con degli antibiotici. Benché sia previsto il ricovero per le pazienti che prendono la Ru486, nessuno può tenerle in ospedale contro la loro volontà. Il medico non può obbligarle, è solamente tenuto a consigliare il ricovero. C’è un ulteriore elemento che mi lascia perplesso.
Quale?
La donna, dopo aver preso la pillola, viene sottoposta ad una revisione di cavità, cosa che non dovrebbe essere fatta, perché l’aborto medico, se effettuato con il mifepristone, dovrebbe adottare solamente questo farmaco. La donna viene sottoposta, quindi, ad una sorta di doppio intervento, medico e chirurgico.