di Carlo Panella
Tratto da Il Foglio del 31 maggio 2011
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Continua lo stillicidio delle vittime della repressione in Siria, continuano i colpi dei cannoni dei carri armati sulle città ribelli, continuano le esortazioni impotenti dei governi occidentali e degli alleati della Siria (Russia e Turchia) affinché Beshar al Assad “imbocchi la strada delle riforme”.
Esortazioni a cui il regime siriano risponde con gli 11 oppositori uccisi domenica a Homs e i 3 uccisi a Talbisa e con una “riforma” che illustra in modo definitivo la sua efferatezza. A Deraa sono stati infatti consegnati infatti alle famiglie i corpi di alcuni ragazzini palesemente morti a causa di torture indubitabili. Messaggio chiarissimo e voluto del regime agli oppositori perché intendano quale sorte che tocca a chi si oppone. Da giorni al Jazeera trasmette le immagini (www. youtube. com/watch?v=aNee6jHKmTE), del cadavere straziato di Hamza Ali Khatib, un ragazzino di 14 anni scomparso il 29 aprile assieme ad altri sette abitanti di Jiza, a un posto di blocco nei pressi di Saida, mentre tentavano di raggiungere Deraa assediata per portarvi cibo e medicinali. I loro cadaveri sono stati consegnati dalle autorità alle famiglie il 25 di maggio. Nelle immagini trasmesse da al Jazeera si nota che i petali di rosa, apposti sopra e attorno alla salma dalla famiglia prima dell'inumazione, sono impregnati di sangue e di siero, sono infatti appiccicati alle ferite, sulle contusioni, sui fori, sui segni di bruciature rimaste indelebili sul corpo del giovane Hamza. Un panno, in origine bianco e ora impregnato di sangue, copre i genitali del ragazzo. O quel che ne rimane. Perché, secondo quanto affermano i familiari e quanto ripetuto dal canale panarabo, i torturatori hanno evirato il ragazzino. In un altro video amatoriale diffuso da Al Jazira e relativo a un altro giovane di Jiza “morto sotto tortura” come Hamza, la voce fuori campo afferma che gli è stato spezzato il collo e mostra il capo in una posizione scomposta rispetto al resto del corpo. Il Wall Street Journal riporta inoltre una serie di testimonianze sul modo selvaggio con cui vengono trattati molti tra i circa 10. 000 arrestati nelle ultime settimane. “Le storie di cui sentiamo raccontare oggi sono inimmaginabili nella loro brutalità”, sostiene un militare siriano che aveva lavorato nei servizi di intelligence militare negli anni Ottanta e che si dice schifato: “Non è solo uno strumento deterrente per bloccare le proteste. Provano piacere a far male alla persone. Solo per il gusto di farlo”. Un venditore di scarpe, arrestato e torturato racconta: “Strappare via le unghie a dei bambini è stato davvero troppo”. L’uomo racconta di essere stato fermato assieme al fratello e a due cugini alla fine di una manifestazione a Deraa, epicentro della rivolta. I quattro sono stati rinchiusi nell'ospedale militare di Homs per sei giorni: i primi tre li hanno trascorsi nudi e con gli occhi bendati da cerotti: “Eravamo circa 15, con tre letti in tutto. Non ci hanno dato da bere, né da mangiare e non potevamo andare in bagno. Ogni dieci minuti entrava qualcuno che ci picchiava”. Un dottore di un ospedale militare ha confermato al Wsj di aver assistito a scene simili. Nella sua struttura la gente è stata torturata con lame di coltello e sottoposta ad iniezioni di morfina per diversi giorni consecutivi. Una donna e due uomini, arrestati e poi rilasciati, hanno raccontato al Wsj che le forze di sicurezza arrestano non solo manifestanti, ma anche professionisti, donne e anziani. I detenuti sono smistati in diverse città, nelle scuole, negli stadi di calcio, nelle strutture e negli ospedali militari.
Nel frattempo, Beshar al Assad, a conferma indiretta dei sospetti apertamente avanzati nei giorni scorsi dai quotidiani libanesi dell’area che fa riferimento allo schieramento antisiriano il cui leader è Saad Hariri, circa la matrice siriana dell’attentato di Sidone in cui sono stati feriti 6 militari italiani, ha avuto un incontro ufficiale col leader di Hazbollah Sheikh Nasrallah; naturalmente “per discutere delle molte riforme in atto in Siria”.