Novembre 21, 2014 Benedetta Frigerio
Intervista ad Anna Maria Caputo, direttore tecnico capo chimico della Polizia di Stato: «Sono “smart” perché imbrogliano chi ne fa uso ma anche chi le combatte»
La tragica morte di Connor Ekhardt, il californiano ucciso a 19 anni dalla “Spice”, contribuisce ad aumentare il livello di attenzione riguardo a un fenomeno ancora semisconosciuto alle cronache ma diffusissimo fra i giovani. Quello delle “smart drugs”, le droghe intelligenti facilmente commercializzabili via internet (e in molti paesi perfino nei negozi) proprio perché ben camuffate da sostanze inoffensive. Come la Spice, appunto, che è spacciata legalmente come prodotto “innocuo” eppure può avere effetti letali. «Il fenomeno da qualche anno sta allarmando sempre più le autorità europee e italiane», conferma a tempi.it Anna Maria Caputo, direttore tecnico capo chimico della Polizia di Stato, direttore della sezione Indagini sulle droghe d’abuso del servizio di Polizia scientifica e della centrale Anticrimine di Roma
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Dottoressa Caputo, cosa sono queste “droghe intelligenti”?
Sono sostanze potenti, di provenienza naturale o sintetica e dai princìpi attivi sconosciuti, spesso difficilmente identificabili: si tratta di molecole sempre nuove con azione psico-stimolante ed effetti ansiolitici, allucinogeni, convulsivi eccetera. Vengono vendute come spezie, fertilizzanti o miscele di erbe, con nomi diversi che variano da “Spice” a “Fire” a “Orange” o “K2”. Non di rado sulle etichette viene dichiarato un contenuto che non è quello reale.
Perché sono definite “smart”, intelligenti?
Perché ingannano sia chi le usa sia chi le persegue: la percezione è che non fanno male, dato che in fondo non sono classificate fra le droghe pesanti, anche se aumentano le psicopatologie e le dipendenze legate a queste sostanze. Mentre dal punto di vista di chi ne combatte la diffusione, sono “intelligenti” perché tante molecole diverse non sono facilmente rintracciabili nel corpo.
Quanto sono diffuse queste droghe?
L’uso è massiccio, anche se non sembra. Lo si capisce dai sequestri e dalla quantità di siti internet che le vendono. Ma proprio perché queste sostanze sono difficilmente rintracciabili o riconoscibili, spesso chi ne fa uso viene “scoperto” solo in caso di ricovero o di morte. Tutte le nuove molecole sequestrate vengono segnalate al dipartimento anti-droga che poi le passa ai centri di allerta droghe italiano ed europeo.
Solo nel 2011 l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze ha individuato 600 negozi rivenditori e ben 41 nuove sostanze in tutto il continente. Quando si è cominciato a parlare di queste nuove droghe?
Queste droghe ci sono sempre state, ma sicuramente lo spaccio e il consumo sono aumentati con la cultura liberale nel tempo estremizzata. Il riflesso legislativo lo si ritrova nella depenalizzazione dello spaccio e del consumo di droga. Oggi, da alcuni mesi, siamo arrivati addirittura alla declassificazione della cannabis, con la distinzione fra droghe pensanti e leggere. Così in questi sessant’anni le dipendenze sono aumentate e continuano ad aumentare a livelli allarmanti.
Come sono consumate le nuove molecole? E da dove arrivano?
Cresce il fenomeno del poli-abuso di sostanze, del mix di erbe con l’aggiunta di alcol, addirittura di solventi o di medicinali come l’Oki, che vengono sniffati. Da quando ho cominciato ad occuparmi di droga, nel 1994, la provenienza è rimasta la stessa: allora l’ecstasy si diffondeva grazie ai rave party del Nord-Est Europa, e anche le nuove droghe sono prodotte lì, oltre che in Russia e in Cina.
Come arrivano in Italia?
Anche in Italia i ragazzi possono comprarle tramite i siti internet per maggiorenni dove i semi di cannabis o di altre erbe sono venduti come fertilizzanti a poche decine di euro. È così, ad esempio, che si possono mettere in piedi coltivazioni di marijuana in casa, attività colpite da sequestri domiciliari frequentissimi. Ma poi ci sono anche negozi come gli “smart shop”, i “grow shop”, i “seeds shop”, che i semi li vendono allo stesso modo, ma sottolineando che non sono destinati all’uso umano, anche se di fatto l’intento è chiaramente l’opposto.
Quelle vendute su internet spesso sono anche droghe chimiche illegali. Le forze dell’ordine non possono fare nulla contro lo shopping online?
Il problema è che con internet la vendita si è diffusa ed è ancora più difficile arginarla: anche se i siti vengono segnalati e oscurati per rintracciare i responsabili, ad ogni indirizzo chiuso se ne apre uno nuovo.
Nell’ultima relazione del Parlamento si legge che tre studenti italiani su quattro, tra i 15 e i 19 anni, hanno fatto uso di droghe almeno una volta. È una cifra allarmante.
Allarmante a dir poco. Lo spaccio comincia prima dei 15 anni: alle medie gira già sia la marijuana sia l’hashish. Da qui si arriva ai mix di farmaci e alcol fino alle dipendenze da droghe classiche. Non è un pregiudizio l’idea che sia una tendenza il passaggio dalla cannabis al poli-abuso.
Come intervenire se è così difficile arginare lo spaccio e se la legge è così permissiva?
Noi della Scientifica facciamo il nostro lavoro di prevenzione e informazione nelle scuole. Ma credo che il problema sia sociale come dicevo: ai ragazzi servono guide, non persone che li lascino fare perché “tanto non è pericoloso”, come si crede erroneamente. Nelle scuole vedo ragazzi sempre più soli, senza riferimenti né famiglie forti alle spalle. Sembra che non sappiano godersi nulla, sono già svogliati prima di cominciare a costruire qualcosa di bello e cercano nello sballo un’evasione facile. Ma questo è un problema di come ti hanno abituato ad affrontare la vita. Basta guardarsi intorno e vedere che cosa viene offerto loro. Quindi noi facciamo il nostro lavoro, che però va completato da chi ha la responsabilità di farlo.
Tempi.it