DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Adolescenza. Articoli molto interessanti






Incandescenti Inafferrabili


Per me l’adolescenza è lava. Sì, quella roba lì, lava di vulcano: cova sotto la crosta, ribolle, ogni tanto si manifesta con fumosi sbuffi di calore, se tracima poi sono guai. Distrugge. E’ bene tenerla perennemente sotto osservazione. Mi piace osservarla, diciamo che sono costretto.
Non mi limito infatti a ricordare la mia adolescenza, quella vissuta nell’ambito della mia famiglia di origine dove ci sono stati esiti durissimi, purtroppo tragici. Da anni affronto da padre l’adolescenza di mia figlia, che va per i diciannove e a giugno ha l’esame di maturità. Un traguardo che di solito segna la fine del periodo adolescenziale, la “maturità” dovrebbe a quel punto insediarsi, ma viviamo un tempo in cui l’incandescenza magmatica propria della lava viene considerata, a torto, una condizione da preservare. Io stesso, che da quasi due decenni sono padre, mi abbarbico a tratti attorno a una curiosa sindrome di Peter Pan che insieme ricerco e detesto.
Sono curioso di ascoltare cosa si dirà il 12 dicembre, perché gli adolescenti sono davvero belli e ribelli. Forse, meglio ancora, belli se ribelli. L’adolescenza quieta non ho avuto il privilegio di ammirarla né in me né nelle mie immediate vicinanze, dunque sono stato quasi costretto ad innamorarmi dell’irrequietezza di questi incandescenti inafferrabili. La lava del vulcano che erutta è anche bella da vedere. Da lontano. Per chi sta nelle vicinanze possono essere guai.
Sono stato un adolescente ribelle, mia figlia non ne parliamo, mia sorella ha dato alla questione dell’inafferrabilità un significato fisicamente tragico e tremendo. Ho visto nelle adolescenze attraversate l’affacciarsi del senso e il trionfo del non senso. Non noto enormi differenze tra la condizione di spirito di noi teenager di fine Anni Ottanta e di quelli del Terzo Millennio. Siamo tutti alla ricerca spasmodica di qualcosa che ci riempia il cuore.
Questi belli, ribelli, incandescenti, inafferrabili chiedono due cose: certezze e identità. Sono personaggi pirandelliani, uno nessuno centomila, ma hanno un solo desiderio: consistere. Uscire dalla condizione magmatica, diventare consistenti. La lava è roccia fusa. Quando finisce la sua corsa giù per le pendici del vulcano, roccia ridiventa.
Lo iato che questi ragazzi misurano tra il proprio essere e il proprio voler essere può diventare causa di progettualità o di disperazione. Io non ho capito ancora bene come fare per dare a mia figlia strumenti che riducano questa distanza che anche lei misura dentro se stessa. Vengo alla catechesi per trovare qualche idea ben confezionata. Che si fa? Si limitano le ambizioni? Si insegna realismo? Si sostengono i sogni, che pure sono sempre acerbi e spesso irrealizzabili, per non tarpare le ali? Si accetta la ribellione? La si incentiva anche memori di quanto siamo stati ribelli noi e di quanto abbiamo fatto dannare i nostri genitori? Non si fa nulla? Si aspetta la fine delle “crisi adolescenziali”, facciamo che “ci pensa la vita”?
Non lo so. Ho tanti punti interrogativi. Alla fine della sua inquietissima adolescenza mia sorella Ielma ha giocato una terrificante partita a scacchi con chi le voleva bene e non si è fatta afferrare da chi è arrivato con un secondo di ritardo davanti ad una mortifera finestra aperta. Al capolinea (fittizio?) dell’esame che dall’adolescenza dovrebbe traghettarla nella maturità mia figlia arriva con un bagaglio pieno di ambizioni e sogni, la maggior parte dei quali probabilmente irrealizzabili, ma ricca dell’entusiasmo necessario per coltivarli almeno per un po’. Io mi ricordo adolescente in tumulto, giovane “uomo in rivolta” che leggeva Camus, oggi serenamente consapevole di non avere alcuna nostalgia di quei lunghi anni faticosi, incandescenti e magmatici. Guardo gli amici di mia figlia, mi ricordo dei miei e capisco che l’ambizione di annullare la distanza tra il proprio essere e il proprio voler essere è un’ambizione quasi insana. Ma agli adolescenti è forse giusto non dirlo. Sono belli (e ribelli) anche perché la coltivano, ognuno a suo modo, nella loro irrequietezza ribelle.
Si sentono come il Sisifo di Camus che tanto mi ha convinto da ragazzo, schiacciati da un masso da portare sulle spalle su per la montagna sapendo con certezza che una volta arrivati in cima rotolerà giù. Ridiscendono il crinale per ricominciare lo sforzo, lo ridiscendono con la velocità della lava incandescente, negli occhi uno sguardo di sfida. E’ la sfida che può riempire il cuore di un ragazzo: quella contro il non senso anche quando il non senso, l’assurdo, sembra spadroneggiare.
Se negli occhi di un ragazzo stanco e annoiato sappiamo accendere quello sguardo di sfida al non senso lo vedremo presto o tardi consistere, da lava (ri)diventare roccia. In quella consistenza il bell’adolescente, incandescente e ribelle, troverà serenità.
Bisogna fargli immaginare Sisifo felice.
Mario Adinolfi
per cinquepassi.org



L’adolescenza non è un tempo a parte.



Io mi ricordo quell’urgenza. Di significato per tutto, in tutto. Di totalità nei rapporti, nell’istante da vivere. Quel desiderio di capire, di essere capita. Quell’esigenza che tutto c’entri, che non ci sia un secondo perso. Che il tempo abbia un valore infinito. Il desiderio di uno sguardo che ti entri nelle ossa, che dia un nome a quel mucchietto di ossa che sei. Quell’impressione di essere nella pelle sbagliata. Quella voglia di essere parte di una cosa grande. Di una vita, di una giornata, che valga la pena di essere vissuta. Che sia all’altezza dei desideri. Me lo ricordo come fosse ora.
Me lo ricordo perché è ora. Perché quel groviglio di insoddisfazione che costituisce quel momento di grazia (di naturale grazia) che chiamiamo adolescenza è il distillato di quello che siamo. Sempre. Tutta la vita. Noi siamo esattamente quel senso di scomodità, di inadeguatezza. Solo che poi, man mano che si cresce, l’istinto a “sistemarsi”, tra lavoro e spesa, bollette o figli, è come se sospendesse sotto una finta necessità o un triste cinismo quel grido vero.
Voglio dire che l’adolescenza non è un tempo a parte. Mi ricordo mio padre che, forse per sdrammatizzare certi scontri che avevo con mia mamma, diceva : . Come dire: passerà. Io pensavo: “Non hanno capito niente”. E adesso, nonostante la tenerezza che provo per la pazienza dei miei genitori, posso dire che avevo ragione io. Desiderare tutto e non trovare niente che lo soddisfi non è una crisi passeggera. E’ il grido della vita. L’unico grido vero. Perciò gli adolescenti, se si va oltre la forma di quel grido, non sono dei marziani. Se vogliamo ucciderli, guardiamoli sperando che passi il prima possibile. No, è l’età in cui la natura, per grazia, ci rende veri, un essere solo con quel desiderio infinito di cui siamo fatti. Può esplodere come ribellione o senso di inadeguatezza, voglia di provare tutto o di non provare più niente. Può prendere i tratti del rifiuto o dell’ingordigia. Persino della malattia. Ma il motore è sempre lo stesso. E’ quell’urgenza che spinge.
Un momento di grazia e di libertà. Perché mai come in quel momento (altro dono della natura) sei capace di attaccarti a quello che ti attrae. Mai come allora sei generoso nel dare tutto di te. Una dinamica, anche questa, che vale per tutta la vita. Per una vita che sia vita. Ma in quel momento è come se ti venisse naturale, come se la natura ti spingesse a essere quello che, poi, devi esercitarti ad essere.
Per questo quello che cambia la vita di un adolescente, che ne decide il presente e il futuro, non è, secondo me, l’educazione, la famiglia, gli amici o gli studi. E’ semplicemente la fortuna di trovare un padre. O una madre. Che non è detto (anzi, non lo è quasi mai) che sia il padre o la madre che l’hanno generato. E’ un adulto che vive lo stesso suo desiderio. La stessa sua urgenza. E che perciò può dirgli con autorevolezza, perché lo vive per sé: “ Guarda che non sei sbagliato, guarda che quel desiderio che senti traboccare è giusto, sacrosanto, è anche il mio, quella tensione infinita è quello che fa di te un uomo o una donna. E c’è qualcuno che può soddisfarla. Sta con me e prova a vedere se ho ragione”. Sta con me non perché io posso risponderti, ma perché, stando con me, tu possa camminare nella direzione giusta. Quella in cui ti troverai a essere oggetto di uno sguardo che dà senso a te. E a tutto.
E i genitori? Non contano più? Contano tantissimo. Io devo ai miei genitori se ho incontrato padri e madri che sono stati decisivi per la mia vita. Contano nella misura in cui favoriscono ai figli di poter trovare adulti così. Allora anche il rapporto con il padre e la madre che ti hanno generato, tanto più se vivono la stessa tensione tua, prima o poi cambia. Fiorisce. Diventi grato per la vita. Perché capisci, magari senza che loro nemmeno lo sappiano, che ti hanno dato molto più del cibo, delle vacanze, degli studi.
Io per mio figlio, che fra poco compirà due anni, desidero solo questo. Che a 13, 14 anni possa incontrare un adulto così. Chiedo che possa incrociare lo sguardo di qualcuno che lo rassicuri sul fatto che la vita è buona, che c’è un significato e che il desiderio di cui è fatto non è sbagliato.
Elisa Calessi
per cinquepassi.org


Solo l’anticipazione del senso giustifica l’anticipazione della vita



«Possiamo noi imporre ad un bambino quale religione vuole vivere o no? Non dobbiamo lasciare a quel bambino la scelta?». …
La vita stessa ci viene data necessariamente senza consenso previo, ci viene donata così e non possiamo decidere prima «sì o no, voglio vivere o no».
E, in realtà, la vera domanda è: «E’ giusto donare vita in questo mondo senza avere avuto il consenso – vuoi vivere o no?
Si può realmente anticipare la vita, dare la vita senza che il soggetto abbia avuto la possibilità di decidere?».
Io direi: è possibile ed è giusto soltanto se, con la vita, possiamo dare anche la garanzia che la vita, con tutti i problemi del mondo, sia buona, che sia bene vivere, che ci sia una garanzia che questa vita sia buona, sia protetta da Dio e che sia un vero dono. Solo l’anticipazione del senso giustifica l’anticipazione della vita.