DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

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Gli adolescenti. Passeranno con gli anfibi sulle nostre certezze. Costanza Miriano




Sono una mamma di un adolescente, un preadolescente e due bambine, e grazie alla mia rispettabile esperienza ho una forte, incrollabile, solida certezza: ho totalizzato fino a oggi almeno sedicimilasessanta errori educativi. E questo nella migliore delle ipotesi, cioè nell’auspicabile caso di avere sbagliato una sola volta al giorno con ciascuno dei figli. Nella realtà potrebbero essere molti di più ma preferirei non indagare.
Nonostante conosca i limiti con cui mi occupo dei figli (dopo le ansie dei primi tempi ho eletto a mio stile un’allegra trascuratezza), mi aggiro nel mondo con incoscienza. È che io so che non sono io, né lo è mio marito, il garante della riuscita della nostra prole. Il loro Padre è un altro, ed è in cielo anche la loro vera Madre. Noi siamo supplenti, con un incarico a t.d. e pure abbastanza limitato nel tempo.
Io credo infatti che non ci sia una vera e propria tecnica educativa, pur avendo comprato a chili manuali sull’educazione delle più varie ispirazioni (e a posteriori posso dire che alcuni erano non solo inutili, ma anche decisamente dannosi, ma purtroppo non ho un caminetto), se quello che si deve insegnare è la vita. Anzi, mi viene persino il dubbio che non si possa proprio insegnare nulla di veramente fondamentale, a parte allacciarsi le scarpe possibilmente del piede annesso alla scarpa, usare forchetta e coltello senza cavare occhi a fratelli, non buttare tostapane attaccati alla spina dentro vasche da bagno piene d’acqua e sorelle. Oltre, è chiaro, alla regola base della vita (mai scarpe blu con vestito marrone).
Io penso che i figli abbiano soprattutto diritto e bisogno di due cose.
Prima di tutto vogliono essere amati. Non è scontato. Amare davvero non è facile. Vuol dire prima di tutto accettare ognuno dei figli per come è. Spettinato, puzzolente, precisino, caotico, grasso, scheletrico, antipatico, pesante o bellissimo, simpaticissimo, dolce e servizievole. Il figlio perfetto non esiste, e se è molto ordinato magari non è creativo, è simpatico ma distratto, è obbediente ma duro e giustizialista, è allegro ma capriccioso. A volte è tutte le cose insieme. A volte sa fare e dire sempre la cosa che ci fa saltare i nervi (nessuno ci conosce come loro), a volte lo vorremmo più simile a noi e riconosciamo invece in lui i difetti dell’altro genitore per i quali facciamo più fatica. Altre volte lo vorremmo diverso da noi, e ci dispiace che ci somigli nei nostri difetti, in quelli che meno vorremmo avere. Insomma, anche se persino “noi che siamo cattivi sappiamo dare cose buone ai nostri figli”, darle sempre, queste cose buone, non è affatto facile. Anche con i figli, nel caso dell’amore più istintivo e quasi animale – soprattutto per le madri – la capacità di amare davvero, con il cuore libero, capace di accogliere e di lasciare liberi, di non proiettare attese e rivendicazioni, questo amore bello, forte e pulito, questo viene solo da Dio. Solo a lui possiamo chiedere che ci insegni a guardare ai nostri figli.
Soprattutto durante gli anni dell’adolescenza, quando dovranno necessariamente andare a sperimentare la loro Babilonia, a ribellarsi, a fare le loro cavolate, a vedere se davvero quello in cui credono i loro genitori è roba buona e solida. Dovranno salire con gli anfibi sopra le nostre certezze per vedere se sono di cartongesso o di marmo, prendere a calci l’albero sotto il quale da piccoli li abbiamo portati a riposare, per vedere se è marcio dentro. In quei momenti: no panic. È tutto previsto. Passerà. Basta che reggiamo noi, e se abbiamo seminato torneranno. Arriverà un momento in cui faranno qualcosa anche se gliela abbiamo consigliata noi. Allora saranno adulti.
L’importante è che il padre rimanga a casa quando il figliol prodigo va a sperperare i suoi averi, e non si unisca alla compagnia, non vada col figlio a prostitute, rimanga a custodia della casa e non la faccia andare in malora. È il momento in cui il ragazzo se ne va con la carovana, è capitato a Maria e Giuseppe, capiterà anche a noi di stare a cercarlo per tre giorni. Aspettare in panchina, non scendere in campo, pregare per la sua felicità nella libertà, quella cosa che persino Dio ha più cara della nostra stessa salvezza.
Magari ci sono dei momenti in cui ci provoca per vedere fino a che punto possiamo volergli bene, e ancora una volta l’unica cosa da fare è alzare lo sguardo a Dio e vedere come ci ama lui. Tanto, tantissimo, anche quando facciamo delle schifezze.
La seconda cosa di cui hanno bisogno i figli è la bellezza. Sapere che la vita è una cosa bella, che vale la pena viverla nonostante tutto, sempre. Vedere in noi questa certezza, respirarla nella nostra contentezza, convincersene nella nostra fiducia.
La nostra certezza ancora una volta non può che fondarsi in Dio, perché senza di lui ho qualche dubbio sul fatto che la vita sempre valga la pena. Alla fine, dunque, quello che serve per essere buoni genitori, soprattutto nella tempesta dell’adolescenza, è quello che serve a essere santi. Esattamente lo stesso equipaggiamento. E quindi se ci preoccupiamo della nostra conversione educheremo senza nessuno sforzo aggiuntivo i nostri figli. Se vedranno che sappiamo perdere qualcosa a cui teniamo per un fratello, se vedranno che non facciamo i furbi ma anzi rischiamo pure di passare per scemi perché ci facciamo difendere dal Padre, che preghiamo seriamente, che crediamo davvero ai sacramenti, se respireranno il sacro, potranno fare tutte le esperienze che vorranno, ma torneranno a casa. Non torneranno per imparare da noi, ma da quello dal quale impariamo anche noi.
Costanza Miriano
per cinquepassi.org


Adolescenti. Accorgersi di crescere. Di Franco Nembrini



Avevo 17 anni, e nonostante l’educazione cristiana ricevuta in casa si insediò in me il dubbio, lo scetticismo, insomma, andai in crisi, una crisi profonda, di cui soffrivo molto. La cosa che mi faceva soffrire maggiormente era che il nulla divorava ciò a cui tenevo di più, divorava mio padre e mia madre, i miei fratelli e i miei amici: era un sentimento di inconsistenza della realtà, mi franava tutto addosso.
Guardavo mia madre lavorare in casa e piangevo perché sentivo che qualcosa me la stava portando via, neanche il bene che le volevo reggeva, perdevano di consistenza tutte le cose che mi erano care.
Vissi un anno o due in una crisi molto profonda, abbandonando evidentemente la pratica religiosa, che non mi diceva più niente, sfidando con cattiveria una mia sorella che nel frattempo aveva incontrato Comunione e Liberazione, dicendole: «Dimmi da che cosa ti avrebbe salvato il Salvatore, che cosa ti avrebbe redento il Redentore? Siete come gli altri, anzi peggio degli altri, soffrite e morite come gli altri: dove sta la salvezza? Da cosa ti avrebbe salvato?
Quando esci la domenica dalla Messa cosa puoi dire di te stessa più di quello che posso dire io?».
Non poteva evidentemente dire allora (aveva 19 anni), non poteva rispondermi quello che oggi risponderemmo insieme: che il di più che Gesù ha portato nella vita è semplicemente l’io, l’io, una persona che prima non c’era, una coscienza di sé e delle cose che prima non c’era, e che era quello io stavo cercando, cosa era mancato nell’educazione che avevo ricevuto?
Era successo ai miei genitori quel che sarebbe accaduto al padre di una mia alunna qualche anno dopo. Vi racconto brevemente l’episodio.
Una volta è venuto a trovarmi il papà di una mia alunna (un po’ strana, un po’ fuori di testa), molto preoccupato e addolorato perché la figlia lo faceva tribolare. Suonò il campanello quella sera a casa mia, cenammo insieme, e alla fine, affrontando il problema che gli stava a cuore scoppiò a piangere, si tirò su la manica della camicia facendomi vedere le vene e, quasi urlando disperatamente, mi disse (siccome aveva capito tra me e sua figlia, un po’ di feeling era nato, ci si intendeva, insomma), mi disse, battendosi la mano sul braccio: io la fede ce l’ho nel sangue, ma non la so più dare a nessuno. Può farlo lei? Lei può lo faccia, per carità, perché io ce l’ho nel sangue, ma non la so più comunicare nemmeno a mia figlia».
In quel momento mi è venuta l’idea che il problema della Chiesa fosse il metodo, la strada, che tutta la genialità del contributo che don Giussani offriva alla Chiesa e al mondo era questo: la scoperta che la fede, tornando a essere un avvenimento presente, fosse finalmente dicibile, comunicabile.
Poi ho capito che tutto il dramma di quel genitore era questo:pensava che tra lui e sua figlia ci fosse una generazione di differenza e invece s’erano infilati tra lui e sua figlia cinquecento anni di una cultura che aveva negato tutta la sua tradizione e le cose di cui lui viveva, e che televisione, scuola, (ora bisogna aggiungere anche internet) – dal secondo dopoguerra in poi – avevano infilato tra lui e sua figlia.
Ecco cosa era mancato ai miei genitori e a quel padre: la consapevolezza di questa distanza e il metodo, la strada per superarla. E la si poteva superare solo riproponendo il cristianesimo nella sua elementare radicalità: una presenza viva, capace di illuminare le contraddizioni dell’esistenza in modo convincente. Non la soluzione dei problemi ma un nuovo punto di vista da cui affrontarli, non una teoria contrapposta ad altre teorie, ma, per dirla con Romano Guardini, «l’esperienza di un grande amore nel quale tutto diventa avvenimento nel suo ambito».
È il grande richiamo di Benedetto nel memorabile discorso di Verona alla Chiesa italiana: allargate la ragione, date la modernità per raccogliere tutto il positivo ma anche per denunciare le insufficienze di una cultura nichilista e relativista che si è costruita negli ultimi secoli e che per tanti aspetti si è rivelata nemica dell’uomo.
In quel periodo della mia vita è avvenuto poi l’incontro con don Giussani: folgorante.
Venne a casa mia. La mia povera mamma aveva un dolore e cioè che il primo dei dieci figli, che era stato in seminario, ne era uscito sull’onda della contestazione e aveva non solo abbandonato la pratica religiosa e la Chiesa, ma aveva fondato uno dei primi gruppi extraparlamentari dei nostri paesi, insieme ad altri sette ex-seminaristi.
Don Giussani venne a conoscere i miei genitori: confessò la mia mamma, che credo gli abbia parlato del suo dolore mentre mio fratello non era in casa quel giorno. La settimana dopo da Milano arrivò un pacco di libri per questo mio fratello che lui non aveva conosciuto. E con mio grandissimo stupore il pacco di libri, invece che contenere Bibbie o Vangeli, conteneva Il Capitale di Carlo Marx e altri libri di quel tipo. Fu il giorno in cui ebbi il primo sospetto serio che Dio esistesse, perché solo Dio può fare una cosa così; ho avuto lì l’idea che l’altro nome dell’educazione sia misericordia, sia carità, sia quella cosa per cui Dio ti viene incontro lì dove sei: non ti chiede prima di cambiare, non ti chiede prima di fare qualcosa, è lì dove sei tu, con i tuoi gusti, con i tuoi interessi, col tuo temperamento, con i tuoi peccati.
Vedere Giussani che senza paura, senza venir meno a niente di sé stesso, regalava Carlo Marx a mio fratello perché sapeva che lui era lì, ecco, mi fece venire questa idea: che l’educazione è questa misericordia in atto, per cui Dio ci viene incontro lì dove siamo.
Insomma mi venne il sospetto che quell’uomo avesse a che fare con Dio, perché non mi avrebbe mai chiesto di cambiare prima di volermi bene: mi voleva bene cosi come ero.
È la natura stessa dell’amore. Gratuità assoluta. «In questo sta l’amore: che Dio ci ha amati per primo, mentre eravamo ancora peccatori».
Questa identificazione dell’educazione con la misericordia porta con sé alcune conseguenze che mi sembrano decisive. Innanzi tutto che l’educazione non poggia su tecniche psicologiche pedagogiche o sociologiche. È l’offerta della propria vita alla vita dell’altro. È una proposta di vita esistenzialmente significativa e convincente che ha le sue radici nell’esperienza lieta certa del testimone. Se per educare fossero bastate le parole, dal cielo sarebbero piovuti Vangeli, invece Gesù Cristo è venuto, per essere compagno della nostra povera esistenza.
Se è così, l’azione missionaria del cristiano e della Chiesa non può che consistere in una coraggiosa testimonianza della fede là dove gli uomini vivono, i giovani consumano la loro giovinezza nella famiglia e nella scuola. Non si può più immaginare di svolgere l’azione pastorale in ambiti chiusi, diversi dai luoghi di studio, di lavoro e di divertimento, ma bisognerà ricominciare a incontrare i nostri fratelli uomini là dove essi vivono con i loro interessi, i loro affetti, la loro intelligenza e operosità. Una fede che non si dimostrasse pertinente alla vita reale, che non si mostrasse capace di esaltare l’io, col cuore e l’attesa del singolo, non potrà mai suscitare curiosità e interesse e desiderio di seguire.
Il problema coi figli o con gli alunni non può essere solo quello di farli diventare cristiani, farli pregare e andare in Chiesa. Se ti poni così sentiranno questo come una pretesa da cui difendersi e da cui prendere le distanze.
Tutto il segreto dell’educazione mi pare che sia questo: i tuoi figli ti guardano: quando giocano non giocano mai soltanto, quando provocano o qualsiasi altra cosa facciano in realtà con la coda dell’occhio ti guardano sempre, e che ti vedano lieto e forte davanti alla realtà è l’unico modo che hai di educarli.
Lieto e forte non perché perfetto (tanto non lo crederanno mai, e come è patetico e triste il genitore che cerca di nascondere ai figli il proprio male), ma perché sei tu il primo a chiedere e a ottenere giorno dopo giorno di essere perdonato.
La domanda del perdono rende liberi, liberi anche di sbagliare, liberi dall’angoscia della “coerenza ad oltranza” della “correttezza ipocrita” che a lungo andare non regge. Chiedere perdono è perseguire un ideale con le nostre debolezze, questo ci rende sempre tutti figlioli prodighi.
Franco Nembrini
per cinquepassi.org



Le sdraiate. Le sorelle Obama consolano tutti i genitori del mondo: non si può nulla contro i teen-monosillabi


di Annalena Benini | Il Foglio 02 Dicembre 2014



Malia e Sasha Obama (foto AP)


A tredici e sedici anni esiste solo una cosa peggiore dello stare in piedi accanto al proprio padre davanti alle telecamere (immaginando le amiche a casa che commentano i capelli, le scarpe, la faccia): stare davanti alle telecamere accanto al padre che concede la grazia a un tacchino. Malia e Sasha Obama, nate nel 1998 e nel 2001, sono state criticate da un’esponente repubblicana, Elizabeth Lauten (che poi si è pentita, disperata e dimessa) per l’aria annoiata, per gli occhi roteanti, per i vestiti troppo casual con cui hanno tenuto compagnia al presidente degli Stati Uniti che parlava all’America durante la cerimonia tradizionale della grazia ai tacchini. Elizabeth Lauten, portavoce di un deputato repubblicano, “dopo molte ore di preghiera” ha chiesto scusa in modo accorato per quelle parole inappropriate postate su Facebook. Quelle parole però hanno permesso a molti genitori di adolescenti di osservare meglio Malia e Sasha, mentre in effetti roteavano gli occhi, un passo dietro Barack Obama che quindi non poteva vederle, non ridevano granché alle battute del padre, si bisbigliavano a vicenda commenti probabilmente terribili sui tacchini in genere e sulla platea della Casa Bianca, e non potendo controllare i cellulari si controllavano le scarpe.

Sasha ha risposto “no” al padre che la invitava ridendo ad accarezzare quell’animale terrorizzato, ed entrambe avevano un’aria impaziente, contavano i secondi che mancavano alla fine del supplizio, calcolavano mentalmente l’impatto di quella figuraccia sulla loro vita sociale e sui loro capelli, pregavano che nessuno le stesse guardando e che, in caso contrario, almeno tutti notassero quanto erano imbarazzate da quello strazio presidenziale. “Sono teenager”, hanno detto tutti a loro difesa, e in quella difesa c’era il senso di un sollievo: anche le figlie di Barack e Michelle Obama sono come mia figlia, come mio figlio, come mio nipote, come mio cugino adolescente.

Hanno ricevuto la migliore delle educazioni, vivono alla Casa Bianca, non possono guardare la tivù la sera dei giorni di scuola, mangiano molte verdure, non hanno Facebook, hanno una madre molto attenta, impegnata e concentrata sulle nuove generazioni, conoscono il loro posto nel mondo, eppure stavano lì, gonna cortissima su cui Michelle non avrà voluto litigare (riuscendo solo a raggiungere il compromesso del cardigan sopra il vestitino di Sasha), e indossavano l’aria esasperata delle adolescenti a contatto con gli adulti. Anche se l’adulto è Barack Obama, l’uomo che perfino gli adolescenti vorrebbero incontrare. Lo sguardo di Sasha, tredici anni, e il suo “no” al tacchino consolano i genitori di tutti gli “sdraiati” raccontati da Michele Serra, dimostrano che c’è qualcosa di molto più forte dell’impegno educativo, della famiglia del Mulino Bianco, e perfino di più potente dello sfarzo della Casa Bianca durante il Ringraziamento: è il disprezzo monosillabico degli adolescenti.


Adolescenza. Articoli molto interessanti






Incandescenti Inafferrabili


Per me l’adolescenza è lava. Sì, quella roba lì, lava di vulcano: cova sotto la crosta, ribolle, ogni tanto si manifesta con fumosi sbuffi di calore, se tracima poi sono guai. Distrugge. E’ bene tenerla perennemente sotto osservazione. Mi piace osservarla, diciamo che sono costretto.
Non mi limito infatti a ricordare la mia adolescenza, quella vissuta nell’ambito della mia famiglia di origine dove ci sono stati esiti durissimi, purtroppo tragici. Da anni affronto da padre l’adolescenza di mia figlia, che va per i diciannove e a giugno ha l’esame di maturità. Un traguardo che di solito segna la fine del periodo adolescenziale, la “maturità” dovrebbe a quel punto insediarsi, ma viviamo un tempo in cui l’incandescenza magmatica propria della lava viene considerata, a torto, una condizione da preservare. Io stesso, che da quasi due decenni sono padre, mi abbarbico a tratti attorno a una curiosa sindrome di Peter Pan che insieme ricerco e detesto.
Sono curioso di ascoltare cosa si dirà il 12 dicembre, perché gli adolescenti sono davvero belli e ribelli. Forse, meglio ancora, belli se ribelli. L’adolescenza quieta non ho avuto il privilegio di ammirarla né in me né nelle mie immediate vicinanze, dunque sono stato quasi costretto ad innamorarmi dell’irrequietezza di questi incandescenti inafferrabili. La lava del vulcano che erutta è anche bella da vedere. Da lontano. Per chi sta nelle vicinanze possono essere guai.
Sono stato un adolescente ribelle, mia figlia non ne parliamo, mia sorella ha dato alla questione dell’inafferrabilità un significato fisicamente tragico e tremendo. Ho visto nelle adolescenze attraversate l’affacciarsi del senso e il trionfo del non senso. Non noto enormi differenze tra la condizione di spirito di noi teenager di fine Anni Ottanta e di quelli del Terzo Millennio. Siamo tutti alla ricerca spasmodica di qualcosa che ci riempia il cuore.
Questi belli, ribelli, incandescenti, inafferrabili chiedono due cose: certezze e identità. Sono personaggi pirandelliani, uno nessuno centomila, ma hanno un solo desiderio: consistere. Uscire dalla condizione magmatica, diventare consistenti. La lava è roccia fusa. Quando finisce la sua corsa giù per le pendici del vulcano, roccia ridiventa.
Lo iato che questi ragazzi misurano tra il proprio essere e il proprio voler essere può diventare causa di progettualità o di disperazione. Io non ho capito ancora bene come fare per dare a mia figlia strumenti che riducano questa distanza che anche lei misura dentro se stessa. Vengo alla catechesi per trovare qualche idea ben confezionata. Che si fa? Si limitano le ambizioni? Si insegna realismo? Si sostengono i sogni, che pure sono sempre acerbi e spesso irrealizzabili, per non tarpare le ali? Si accetta la ribellione? La si incentiva anche memori di quanto siamo stati ribelli noi e di quanto abbiamo fatto dannare i nostri genitori? Non si fa nulla? Si aspetta la fine delle “crisi adolescenziali”, facciamo che “ci pensa la vita”?
Non lo so. Ho tanti punti interrogativi. Alla fine della sua inquietissima adolescenza mia sorella Ielma ha giocato una terrificante partita a scacchi con chi le voleva bene e non si è fatta afferrare da chi è arrivato con un secondo di ritardo davanti ad una mortifera finestra aperta. Al capolinea (fittizio?) dell’esame che dall’adolescenza dovrebbe traghettarla nella maturità mia figlia arriva con un bagaglio pieno di ambizioni e sogni, la maggior parte dei quali probabilmente irrealizzabili, ma ricca dell’entusiasmo necessario per coltivarli almeno per un po’. Io mi ricordo adolescente in tumulto, giovane “uomo in rivolta” che leggeva Camus, oggi serenamente consapevole di non avere alcuna nostalgia di quei lunghi anni faticosi, incandescenti e magmatici. Guardo gli amici di mia figlia, mi ricordo dei miei e capisco che l’ambizione di annullare la distanza tra il proprio essere e il proprio voler essere è un’ambizione quasi insana. Ma agli adolescenti è forse giusto non dirlo. Sono belli (e ribelli) anche perché la coltivano, ognuno a suo modo, nella loro irrequietezza ribelle.
Si sentono come il Sisifo di Camus che tanto mi ha convinto da ragazzo, schiacciati da un masso da portare sulle spalle su per la montagna sapendo con certezza che una volta arrivati in cima rotolerà giù. Ridiscendono il crinale per ricominciare lo sforzo, lo ridiscendono con la velocità della lava incandescente, negli occhi uno sguardo di sfida. E’ la sfida che può riempire il cuore di un ragazzo: quella contro il non senso anche quando il non senso, l’assurdo, sembra spadroneggiare.
Se negli occhi di un ragazzo stanco e annoiato sappiamo accendere quello sguardo di sfida al non senso lo vedremo presto o tardi consistere, da lava (ri)diventare roccia. In quella consistenza il bell’adolescente, incandescente e ribelle, troverà serenità.
Bisogna fargli immaginare Sisifo felice.
Mario Adinolfi
per cinquepassi.org



L’adolescenza non è un tempo a parte.



Io mi ricordo quell’urgenza. Di significato per tutto, in tutto. Di totalità nei rapporti, nell’istante da vivere. Quel desiderio di capire, di essere capita. Quell’esigenza che tutto c’entri, che non ci sia un secondo perso. Che il tempo abbia un valore infinito. Il desiderio di uno sguardo che ti entri nelle ossa, che dia un nome a quel mucchietto di ossa che sei. Quell’impressione di essere nella pelle sbagliata. Quella voglia di essere parte di una cosa grande. Di una vita, di una giornata, che valga la pena di essere vissuta. Che sia all’altezza dei desideri. Me lo ricordo come fosse ora.
Me lo ricordo perché è ora. Perché quel groviglio di insoddisfazione che costituisce quel momento di grazia (di naturale grazia) che chiamiamo adolescenza è il distillato di quello che siamo. Sempre. Tutta la vita. Noi siamo esattamente quel senso di scomodità, di inadeguatezza. Solo che poi, man mano che si cresce, l’istinto a “sistemarsi”, tra lavoro e spesa, bollette o figli, è come se sospendesse sotto una finta necessità o un triste cinismo quel grido vero.
Voglio dire che l’adolescenza non è un tempo a parte. Mi ricordo mio padre che, forse per sdrammatizzare certi scontri che avevo con mia mamma, diceva : . Come dire: passerà. Io pensavo: “Non hanno capito niente”. E adesso, nonostante la tenerezza che provo per la pazienza dei miei genitori, posso dire che avevo ragione io. Desiderare tutto e non trovare niente che lo soddisfi non è una crisi passeggera. E’ il grido della vita. L’unico grido vero. Perciò gli adolescenti, se si va oltre la forma di quel grido, non sono dei marziani. Se vogliamo ucciderli, guardiamoli sperando che passi il prima possibile. No, è l’età in cui la natura, per grazia, ci rende veri, un essere solo con quel desiderio infinito di cui siamo fatti. Può esplodere come ribellione o senso di inadeguatezza, voglia di provare tutto o di non provare più niente. Può prendere i tratti del rifiuto o dell’ingordigia. Persino della malattia. Ma il motore è sempre lo stesso. E’ quell’urgenza che spinge.
Un momento di grazia e di libertà. Perché mai come in quel momento (altro dono della natura) sei capace di attaccarti a quello che ti attrae. Mai come allora sei generoso nel dare tutto di te. Una dinamica, anche questa, che vale per tutta la vita. Per una vita che sia vita. Ma in quel momento è come se ti venisse naturale, come se la natura ti spingesse a essere quello che, poi, devi esercitarti ad essere.
Per questo quello che cambia la vita di un adolescente, che ne decide il presente e il futuro, non è, secondo me, l’educazione, la famiglia, gli amici o gli studi. E’ semplicemente la fortuna di trovare un padre. O una madre. Che non è detto (anzi, non lo è quasi mai) che sia il padre o la madre che l’hanno generato. E’ un adulto che vive lo stesso suo desiderio. La stessa sua urgenza. E che perciò può dirgli con autorevolezza, perché lo vive per sé: “ Guarda che non sei sbagliato, guarda che quel desiderio che senti traboccare è giusto, sacrosanto, è anche il mio, quella tensione infinita è quello che fa di te un uomo o una donna. E c’è qualcuno che può soddisfarla. Sta con me e prova a vedere se ho ragione”. Sta con me non perché io posso risponderti, ma perché, stando con me, tu possa camminare nella direzione giusta. Quella in cui ti troverai a essere oggetto di uno sguardo che dà senso a te. E a tutto.
E i genitori? Non contano più? Contano tantissimo. Io devo ai miei genitori se ho incontrato padri e madri che sono stati decisivi per la mia vita. Contano nella misura in cui favoriscono ai figli di poter trovare adulti così. Allora anche il rapporto con il padre e la madre che ti hanno generato, tanto più se vivono la stessa tensione tua, prima o poi cambia. Fiorisce. Diventi grato per la vita. Perché capisci, magari senza che loro nemmeno lo sappiano, che ti hanno dato molto più del cibo, delle vacanze, degli studi.
Io per mio figlio, che fra poco compirà due anni, desidero solo questo. Che a 13, 14 anni possa incontrare un adulto così. Chiedo che possa incrociare lo sguardo di qualcuno che lo rassicuri sul fatto che la vita è buona, che c’è un significato e che il desiderio di cui è fatto non è sbagliato.
Elisa Calessi
per cinquepassi.org


Solo l’anticipazione del senso giustifica l’anticipazione della vita



«Possiamo noi imporre ad un bambino quale religione vuole vivere o no? Non dobbiamo lasciare a quel bambino la scelta?». …
La vita stessa ci viene data necessariamente senza consenso previo, ci viene donata così e non possiamo decidere prima «sì o no, voglio vivere o no».
E, in realtà, la vera domanda è: «E’ giusto donare vita in questo mondo senza avere avuto il consenso – vuoi vivere o no?
Si può realmente anticipare la vita, dare la vita senza che il soggetto abbia avuto la possibilità di decidere?».
Io direi: è possibile ed è giusto soltanto se, con la vita, possiamo dare anche la garanzia che la vita, con tutti i problemi del mondo, sia buona, che sia bene vivere, che ci sia una garanzia che questa vita sia buona, sia protetta da Dio e che sia un vero dono. Solo l’anticipazione del senso giustifica l’anticipazione della vita.


QUEI MEDICI INGLESI AVALLANO LA PEDOFILIA. Più di mille bambine tra gli 11 e i 13 anni hanno ottenuto un anticoncezionale

Dai dati pubblicati all’inizio di agosto dal General Practice Research Database britannico, l’organo che ufficialmente si occupa di rilevazioni sulla pratica medica, risulta che nel 2009 più di mille ragazzine inglesi tra gli undici e i dodici anni hanno ottenuto dal medico di famiglia la prescrizione di pillole contraccettive, nella maggior parte dei casi all’insaputa dei loro genitori. Ad altre duecento, tra gli undici e i tredici anni, sono stati invece somministrati vaccini anticoncezionali a effetto prolungato o sono state applicate spirali. Anche la libertina e libertaria Gran Bretagna è stata percorsa da un brivido di preoccupazione, di fronte a questi dati impressionanti. In Inghilterra, come da noi, l’età del consenso all’atto sessuale è sedici anni. Prima, si presume ci sia violenza, anche di fronte a un consenso che, per l’età di chi lo dà, non può essere considerato libero. Se un’undicenne chiede la pillola, insomma, perché il medico non si fa qualche domanda in più, rispetto a quelle strettamente mediche, che pure sconsiglierebbero radicalmente quella scelta? La realtà è che quei medici avallano, con le loro pillole e il loro silenzio, nient’altro che la pedofilia. Qualcuno gliene chiederà conto? Personalmente, penso di no.
Con questa rubrica saluto i lettori di piuvoce prima della pausa di agosto e auguro a tutti un’estate serena.

Nicoletta Tiliacos


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Adolescenti e social network. 10° Rapporto Nazionale sulla condizione dell'Infanzia e dell'Adolescenza (2009)

di Eurispes - Telefono Azzurro
Il 71,1% degli adolescenti intervistati possiede un profilo su Facebook. Percentuali di gran lunga più ridotte di giovani utenti della Rete si radunano attorno a My Space (17,1%) e Habbo (10,4%). La realtà parallela che è possibile vivere in Second Life affascina solo il 2,6% dei ragazzi e il 2,5% fa parte di coloro che amano “cinguettare” su Twitter. Sono i ragazzi, più delle coetanee, a scegliere Facebook come canale di comunicazione virtuale (71,7% vs 70,8%). Essi, inoltre, sono membri di reti sociali meno diffuse tra i giovani come Habbo (maschi: 11,8%; femmine: 9,7%), Twitter (3,4% vs 2,1%) e Second Life (3,9% contro 2%).Le ragazze scelgono più frequentemente di iscriversi e frequentare il mondo di My Space, fatto di musica, video e foto da condividere con gli altri utenti e con i visitatori occasionali. Il 17,1% di esse, infatti, contro il 16,9% degli adolescenti maschi, fa parte di questo network. Il numero più alto di ragazzi che dispongono di una pagina su Facebook sono concentrati nelle regioni del Centro (87,3%) e del Sud (78,6%). Inoltre, sempre in queste aree, risiedono i più assidui frequentatori di My Space (Centro: 21, 7%; Sud: 21,6%). Habbo, rete sociale creata nel 2000 appositamente per gli adolescenti, riscuote particolari consensi soprattutto nella parte Nord-Ovest del Paese (13,4%), così come Second Life e Twitter, sebbene queste ultime si fermino su percentuali di giovani utenti decisamente inferiori (rispettivamente 4,2% e 3,7%).
Fare comunità…a distanza. Il 28,7% degli adolescenti ritiene che i social network siano utili strumenti per rimanere in contatto con gli amici di sempre e con quelli che si trovano lontano o non si frequentano da molto tempo (23,6%). Fare nuove conoscenze rappresenta il motivo principale per cui il 14,9% dei ragazzi ha deciso di affacciarsi al mondo delle reti sociali sul web. Alcuni social dispongono di particolari applicazioni (giochi, gruppi, test) che rappresentano, per il 10,4% dei ragazzi una possibile alternativa per riempire il tempo libero. Ridotta, invece, appare la parte di campione che sfrutta questi mezzi di comunicazione per rintracciare notizie su eventi o argomenti di proprio interesse (2,8%). Le opinioni negative sull’argomento coinvolgono solo il 13% degli adolescenti che, nell’8% dei casi, considerano i social solo una perdita di tempo e, per il 5%, sono convinti che usarli possa mettere a rischio la riservatezza personale. Tra i 16 e i 19 anni i social network vengono considerati utili strumenti per recuperare vecchie amicizie (24,6% contro 22,1% dei 12-15eeni). I più piccoli, invece, considerano che essere membro di una comunità virtuale possa essere un buon modo per mantenere le amicizie (29,6% vs 28,1%) e per avere l’opportunità di conoscere persone nuove (15,9% vs 14,3%).

Fonte: http://www.azzurro.it/index.php?id=225 (28 novembre 2009)

Casi di ordinaria pedofobia, in nome della salute sessuale e riproduttiva delle adolescenti, in nome dei bambini e delle bambine! Giuliano Ferrara

Al direttore - Alle Nazioni Unite non si riceve
il New York Times e Lancet non è tenuta
in considerazione: è quello che deduco vedendo
come sia stata ignorata nei corridoi del palazzo
di Vetro la notizia che oggi sono state
presentate le conclusioni di un recente studio
della rivista britannica. In esso si dimostra come
la mortalità materna in tutto il mondo
stia diminuendo – con alcune infelici eccezioni
nazionali – grazie al miglioramento dei servizi
sanitari e alla formazione del personale
ostetrico specializzato: di sicuro non grazie alla
liberalizzazione dell’aborto. La piaga delle
morti delle madri è però, attualmente, l’argomento
più gettonato dai promotori del controllo
delle nascite nei paesi in via di sviluppo,
in questi giorni riuniti a New York per la
43esima commissione su Popolazione e sviluppo
dell’Onu: più aborto per diminuire il
numero di madri che muoiono dando la vita.
Per questa lobby, dunque, il tempismo della
pubblicazione dell’articolo avrebbe potuto essere
un ostacolo importante nell’opera di persuasione
delle delegazioni ad adottare la risoluzione
che promuove l’accesso ai servizi di
“salute sessuale e riproduttiva” – leggi: aborto,
come recentemente ha spiegato Hillary
Clinton – per tutte le donne e le adolescenti
del mondo.

Emanuele Rizzardi, Catholic Family and
Human Rights Institute, New York

Casi di ordinaria pedofobia, sulla scala
della cattiva coscienza del conformismo
globale omicidario. In nome della salute
sessuale e riproduttiva delle adolescenti,
in nome dei bambini e delle bambine! E
Adriano Prosperi ha il coraggio di scrivere
che nella società moderna l’infanzia è
tenuta in palmo di mano

© Copyright Il Foglio 2010

Ragazzina 13enne inviava mms porno in cambio di ricariche telefoniche

Una ragazzina di 13 anni della provincia di Udine vendeva immagini a luci rosse di se stessa inviate via mms in un primo periodo ai compagni di classe, poi a numerosi altri giovani in Friuli e Veneto. Il traffico è stato scoperto dai Carabinieri di Tolmezzo che hanno effettuato 34 perquisizioni, di cui ben 29 a carico di minorenni. È quanto riporta la stampa locale.


SCATTI SEMPRE PIÙ ESPLICITI - L'esatta località non viene svelata dagli inquirenti, per non svelare l'identità dei minori coinvolti in questo giro di foto e filmati osè. Da quanto trapelato, emerge solo che la vicenda coinvolge l'area collinare intorno Tolmezzo. La ragazzina avrebbe iniziato con la vendita di autoscatti di nudo, per poi riprendersi anche in piccoli filmati via via sempre più espliciti. In cambio, otteneva regali, tra cui ricariche telefoniche. Le indagini sono coordinate dalla procura di Tolmezzo. Secondo la stampa locale la tredicenne dimostrerebbe più anni di quelli che ha. Figlia di genitori separati, è una delle più brave della classe.


14/04/2010



© Copyright Il tempo

Di corsa in autostrada per finire su YouTube. Genova, la follia di tredici ragazzini: attraversare la A7 senza farsi investire La polizia li salva.

Per gioco, per sfida, per mostrarsi intrepidi agli occhi degli amici, un gruppo di 13 ragazzi hanno inventato un gioco tanto folle quanto pericoloso: attraversare l’autostrada A7 Milano-Genova di corsa evitando di farsi travolgere da auto e camion, filmando il tutto con i telefonini per mettere poi i video su internet.

Fermati e segnalati dalla polizia al Tribunale dei Minori di Genova, i giovani, tra i 13 e i 16 anni, rischiano ora una serie di denunce per procurato allarme, attentato alla sicurezza dei trasporti, danneggiamento. Teatro dello spericolato passatempo un tratto urbano della A7 all’altezza di Bolzaneto, dove la carreggiata con due corsie corre tra le case con un percorso tortuoso che costringe gli automobilisti a rallentare. I ragazzi hanno giocato col fuoco ieri pomeriggio per diversi minuti fino all’intervento della polizia stradale, chiamata alle 17.30 da alcuni residenti e da automobilisti stupefatti che se li sono trovati a pochi metri dal cofano. Il gruppo è fuggito attraverso il buco nella rete di recinzione creato poco prima per scendere sulla carreggiata ma dopo una breve ricerca è stato trovato dai poliziotti nascosto poco distante nei pressi di un edificio abbandonato. Dapprima i ragazzi hanno negato, poi uno di loro ha detto che era sceso sull’autostrada per prendere il pallone che era rotolato oltre la recinzione. Alla fine hanno confessato spiegando che volevano fare un video e poi metterlo sul web.

Per questo correvano da un guard rail all’altro come fulmini, da soli o in coppia, in un caso costringendo un automobilista a una schivata da brividi che lo ha costretto a sfiorare l’incidente. La polizia, costretta a chiudere una corsia per fare riparare la recinzione e eseguire le battute per trovare i ragazzi, ha avvertito il magistrato e le famiglie. Alcuni ragazzi si sono presi degli schiaffoni dai genitori, altri se la sono cavata con una ramanzina. Qualche parente avrebbe difeso i figli dicendo che in fondo si trattava solo di una innocente bravata.

Di tutt’altro avviso agenti della Polstrada, che nel rapporto al magistrato hanno evidenziato i grandi rischi corsi dai ragazzini e il pericolo provocato per la circolazione.

© Copyright La Stampa 28 marzo 2010

Allarme alcolismo in Italia: oltre 500 mila i minori a rischio

Un italiano su 10 esagera nel consumo di alcol e sono oltre 9 milioni i bevitori “a rischio”. E’ quanto emerge dal recente rapporto sul consumo di alcol in Italia condotto dal ministero della Salute. L’allarme riguarda soprattutto i minori: sono oltre mezzo milione i ragazzi, tra gli 11 e i 15 anni, che consumano abitualmente bevande alcoliche. Sui dati più significativi di questa indagine ascoltiamo al microfono di Emanuela Campanile il dott. Ugo Ceròn, psicologo della Comunità Papa Giovanni XXIII nel settore delle tossicodipendenze:

R. – Io terrei presente soprattutto questo dato che emerge anche dal rapporto e che ci differenzia rispetto agli altri Paesi europei: in Italia l’età di prima assunzione è piuttosto precoce, intorno ai 12 anni, diversa rispetto alla media europea che è di 14 anni. Credo che dobbiamo considerare dove vivono questi ragazzi intorno ai 12 anni: vivono prettamente aggrappati al loro tempo e a quello delle loro famiglie e in alcuni ambienti di svago con i propri compagni. Le famiglie hanno un ruolo importante nel cercare di trasmettere un’educazione consapevole nei confronti delle bevande alcoliche. Il consumo di alcolici all’interno della popolazione adulta è spesso all’interno di un territorio a rischio. Quindi è ovvio che le ragazze che crescono in ambienti con adulti con questo tipo di comportamenti, possano assumere questo tipo di comportamento. D’altra parte, a 12 anni è facile che questo tipo di atteggiamento sia molto più legato all’esigenza di creare una coesione sociale, un sentirsi parte di un gruppo attraverso una sostanza che è la sostanza d’ingresso al mondo dello sballo, dell’alterazione, proprio perché gode di questa maggior tolleranza e maggior accettazione a livello sociale.

Nel rapporto a finire sotto accusa sono soprattutto le nuove mode del bere, importate dall’estero e seguite e da molti giovani. Ma cosa chiedono i genitori, sempre più preoccupati da questa emergenza? Emanuela Campanile a Maria Rita Munizzi, presidente nazionale del Movimento Italiano Genitori (Moige):

R. – Nell’ottica della prevenzione è necessario che vengano riconosciute delle risorse finanziarie per sviluppare dei programmi di informazione e di sensibilizzazione nelle scuole rivolte ai giovanissimi, perché non esiste prevenzione laddove non esiste un investimento che aiuti i ragazzi a comprendere quelli che sono gli stili di vita corretti, anche in ottica di consumo alcolico. Noi, già da tempo, chiediamo l’innalzamento del divieto di vendita degli alcolici dai 16 anni – qual è l’attuale normativa italiana – ai 18 anni. In attesa che avvenga questo a livello legislativo, è però necessario che venga rispettato il divieto della vendita di alcolici ai minori di 16 anni. Purtroppo quello che accade è che nei luoghi di intrattenimento dei nostri figli - penso ad esempio alla baby discoteche, che fanno tanto discutere - vengono venduti alcolici. Noi vogliamo che i nostri ragazzi siano tutelati dal punto di vista dei luoghi di intrattenimento e quindi possano andarci tranquillamente senza, però, che venga loro offerto alcool o altro.


D. - Oltre alle responsabilità delle istituzioni, anche i genitori devono fare la loro parte in famiglia?


R. – Il dovere dei genitori, anche qui, è quello di mantenere fermo il punto, perché è chiaro che alcuni modelli si apprendono in famiglia. E’ importante, ad esempio, che i genitori sappiano che fino ai 16 anni, il fegato dei nostri figli non ha gli enzimi per detossificare l’alcool. Quindi non cadiamo nel tranello di dire: “Va bene un goccino di vino a tavola con i genitori…”. E questo perché ci sono alcune regole, imposte dalla natura, alle quali non si sfugge. E’ importante, quindi, dare il buon esempio in famiglia, essere chiari nei divieti. Bisogna essere fermi da questo punto di vista e far loro comprendere che è legato proprio ad una maturazione dell’organismo, per cui consideriamo che quello che beve un ragazzino di 12 anni è dieci volte più pericoloso che se lo bevesse quando ha il sistema completamente maturo e in grado di detossificare l’alcool. E’ importante che chiaramente anche il genitore faccia la propria parte.


© Copyright Radio Vaticana

Invogliati a farlo contro voglia...

farlo contro voglia...

sexual anorexia

Cala il desiderio sessuale tra i giovani, man mano che il primo rapporto diventa più precoce. I ragazzini si sentono obbligati a farlo dai programmi TV, dai VIP che si fantano dei loro rapporti sessuali a 14 anni e non sanno come farlo, soprattutto ad un'età in cui tutto vorrebbero fare tranne aprirsi agli altri, spogliarsi dei vestiti e dei ripari, nell'epoca della timidezza, della crisi di identità... Poi si stufano, o viene una vera anoressia sessuale. Chi governa i media dovrebbe fare mea culpa.



© Copyright http://carlobellieni.splinder.com/

Sos alcol beve il 17 per cento dei 12enni L'età di inizio è la più bassa d'Europa Sempre più diffuso il «binge drinking» e il consumo lontano dai past

ROMA - Sos giovani e alcol: i ragazzi italiani consumano alcol per la prima volta ad un'età che è la più bassa in Europa, poco più di 12 anni, e al di sotto dei 13 anni consumano bevande alcoliche con una prevalenza tra le più alte dell'Ue. Così, nel 2008 il 17,6% dei giovani di 11-15 anni ha consumato bevande alcoliche, in un'età al di sotto di quella legale per la somministrazione e per la quale il consumo consigliato è pari a zero.

L'INDAGINE - Il dato allarmante è contenuto nella Relazione al Parlamento sugli interventi realizzati da Ministero della Salute e Regioni in materia di alcol e problemi alcolcorrelati, anni 2007-2008. Tra i giovani di 18-24 anni di entrambi i sessi, evidenza la Relazione, ha consumato bevande alcoliche il 70,7%, con una prevalenza superiore alla media nazionale. Inoltre, afferma il ministero della Salute, «per quanto riguarda i giovani, la bassa età del primo contatto con le bevande alcoliche è l'aspetto di maggiore debolezza del nostro Paese nel confronto con l'Europa (in media 12,2 anni di età, contro i 14,6 della media europea)».

BINGE-DRINKING - Tra i comportamenti a rischio è sempre più diffuso il binge drinking (abbuffate d'alcol fino all'ubriacatura), soprattutto nella popolazione maschile di 18-24 anni (22,1%) e di 25-44 (16,9% ). Altra tipologia di consumo a rischio prevalente tra i giovani è, inoltre, il consumo fuori pasto, che ha riguardato nel 2008 il 31,7% dei maschi e il 21,3% delle femmine di età compresa fra gli 11 e i 24 anni. Nella stessa fascia di età, il 13,2% dei maschi e il 4,4% delle femmine ha praticato il binge drinking nel corso dell'anno.

PER IL 9,4% DEGLI ITALIANI CONSUMO SMODATO - Per quanto riguarda il consumo di alcol in generale nella popolazione, la relazione del Ministero dice che in Italia va meglio che in altri Paesi europei, ma il rischio resta alto: il consumo di bevande alcoliche tra gli italiani, pur registrando percentuali minori rispetto ad altre nazioni, rimane comunque sostenuto, tanto che il 9,4% della popolazione consuma quotidianamente alcol in quantità non moderate e il 15,9% non rispetta le indicazioni di consumo proposte dagli organi di tutela della salute. Il quadro epidemiologico conferma la diffusione, in atto negli ultimi anni, di comportamenti a rischio lontani dalla tradizione nazionale, quali i consumi fuori pasto, le ubriacature e il binge drinking. Nei confronti dell'Europa, rileva la Relazione, «l'Italia presenta una minore prevalenza di consumatori di bevande alcoliche e una minore diffusione del binge drinking; tuttavia, fra coloro che consumano alcol, ben il 26% lo fa quotidianamente (il doppio della media europea), il 14% lo fa da 4 a 5 volte a settimana (valore più alto in Europa) e il 34% pratica il binge drinking almeno una volta a settimana (contro il 28% della media europea)». (Fonte Agenzia Ansa)


03 marzo 2010



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In Svizzera i preservativi per i giovani I profilattici hanno apertura e misure ridotte, adatte per gli adolescenti. «Solo così sono davvero protetti»

MILANO - È stato lanciato sul mercato svizzero un nuovo preservativo, con apertura ridotta, sviluppato appositamente per i giovani. Il nuovo prodotto - riferisce l'agenzia di stampa elvetica Ats - è stato lanciato dall'organizzazione Aiuto Aids Svizzero per evitare gravidanze indesiderate e malattie sessuali.

«Spesso i giovani non trovano il preservativo adatto», ha spiegato Bettina Maeschli, portavoce Aiuto Aids Svizzero che lancia il prodotto in cooperazione con altre associazioni e Fondazioni. Per l'Aiuto Aids Svizzero «solo se la misura è giusta, i ragazzi sono davvero protetti». Un recente studio della Commissione federale per l'infanzia e la gioventù aveva evidenziato che, durante i rapporti sessuali, i ragazzi tra i 12 e i 14 anni non si proteggono abbastanza. È quindi necessario discutere apertamente anche della grandezza giusta del preservativo, ha aggiunto Maeschli. (fonte Ansa)

Pillola del giorno dopo, boom nei weekend: Triplicate le adolescenti che chiedono il farmaco la domenica e il lunedì. "Tra loro molte 14enni"

MILANO - Giovanissime in fila nei Pronto soccorso a ridosso del fine settimana per la pillola del giorno dopo. La domenica e il lunedì negli ospedali di Milano c’è un’impennata di richieste per i farmaci progestinici che bloccano eventuali gravidanze: per capirlo basta fare un salto alla clinica Mangiagalli dove, dopo il weekend, le domande si triplicano. «È un trend che rispecchia quello che avviene anche negli altri Pronto soccorso — ammette Irene Cetin, primario di Ginecologia del Sacco —. È la ovvia conseguenza delle uscite del sabato sera». In un anno a Milano le domande della pillola del giorno dopo toccano quota mille. Una richiesta su due arriva da under 18. Una percentuale che rispecchia il progressivo abbassarsi dell’età del primo rapporto sessuale. E anche, purtroppo, l’assenza di validi comportamenti contraccettivi.

La preoccupazione non è dettata dai numeri, ma dal fatto che sono spia di un sesso precoce, legato ai momenti di svago e/o di sballo, fatto con poche precauzioni: se durante la settimana, infatti, la media delle richieste solo alla Mangiagalli è di una o due al giorno, la domenica e il lunedì si sale a cinque/sei. Del resto, dai dati della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), presentati a Milano il 4 febbraio, emerge che una giovanissima su sei — a 14 anni — ha già fatto l’amore; per 6 ragazze su 10 la prima volta è fra i 15 e i 18 anni. Spesso non vengono usati né i profilattici né gli altri contraccettivi: il 37% delle giovanissime non utilizza nessuna protezione (17%) o semplicemente il coito interrotto (20%).

La pillola del giorno dopo si può chiedere al medico di famiglia e ai consultori, ma il punto di riferimento per le giovanissime è soprattutto il Pronto soccorso. La possono ottenere anche le minorenni. Lo prevede l’articolo 2, comma d), della legge 194 («La somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile è consentita anche ai minori»). L’Asl di Milano prevede la sua distribuzione, salvo casi eccezionali, a partire dai 14 anni. «Sotto questa età è preferibile avere l’autorizzazione dei genitori », spiega Roberto Calia, alla guida del Servizio Famiglia di corso Italia.

Alle minorenni, comunque, alcuni medici preferiscono non prescriverla: «È una questione deontologica — sottolinea Emilio Grossi, ginecologo della Macedonio Melloni —. Alle ragazze che hanno meno di 18 anni, in assenza di un genitore, preferisco non darla perché può avere effetti collaterali». Dice Calia: «La sfida dei prossimi mesi sarà trovare una risposta omogenea al fenomeno per tutta la città». Attenzione: dibattiti etici a parte, la pillola del giorno dopo è considerata una contraccezione d’emergenza da prendere entro 72 ore dal rapporto sessuale. Wikipedia riporta, per esempio, la scelta del ginecologo della clinica Mangiagalli Tiziano Motta di prescriverla tranquillamente anche se è un obiettore di coscienza. Non va confusa, infatti, con la Ru 486, il farmaco che, invece, può essere utilizzato al posto dell’aborto chirurgico (l’Agenzia italiana per il farmaco ha dato il via libera alla sua immissione in commercio il 9 dicembre, ma il Myfegine non è ancora arrivato in Italia). Ma questa è tutta un’altra storia.

Simona Ravizza
26 febbraio 2010



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IL BOOM DI POKER ON LINE E SCOMMESSE. Se l’azzardo addormenta la passione per la sfida. Tonino Cantelmi

TONINO CANTELMI
I
l 3 per cento del Pil in Italia viene bruciato in scommesse e giochi d’azzardo. E il poker on line a dicembre ha superato ogni record.
Infatti nel mese appena trascorso – informa l’Agicos – gli italiani hanno giocato sui tavoli verdi virtuali 241,3
milioni di euro, battendo il precedente primato di 234,1 milioni di euro di ottobre: tra gennaio e dicembre 2009 la raccolta ha quindi infranto il muro dei 2,3 miliardi di euro, confermando il poker come il gioco più praticato via internet. Perché il gioco d’azzardo e la scommessa piacciono? Perché la prospettiva della vincita (specie se casuale e imprevedibile) è un comportamento che attiva il nucleo accumbens (una piccola e molto sensibile area cerebrale) e determina la produzione di dopamina, il neurotrasmettitore del piacere. E il piacere immaginato o provato per una vincita determina la ricerca di ulteriore piacere attraverso la ripetizione del comportamento. Il gioco può perciò diventare una droga e far scivolare verso forme di dipendenza che rischiano di sortire conseguenze devastanti per la vita del giocatore patologico e dei suoi familiari.
Tutto qui? Certamente no. Per la maggior parte delle persone il gioco è sfida, misura di sé, sogno, desiderio, ricerca di felicità a poco prezzo, evasione, emozione e molto altro ancora. Inoltre la disponibilità di bische sempre disponibili e facilmente accessibili, grazie all’enorme potenzialità della Rete, moltiplica all’infinito il fascino magnetico del gioco d’azzardo, e del poker in modo specifico. Tutto senza conseguenze? Non proprio, se pensiamo allo straordinario potenziale alienante dei tecnoparadisi ludici e artificiali.
Tra i protagonisti delle scommesse spiccano gli adolescenti: almeno 7 su 10 giocano e scommettono, in barba a divieti e norme che limiterebbero grandemente il gioco d’azzardo e le scommesse nei minorenni. Tra i giochi più praticati proprio il poker on line, giocato anche in facebook (qui gratis, ma che allenamento allo stile di vita del giocatore!), e i facilissimi 'gratta e vinci'. Sta crescendo una generazione di giocatori che farà impallidire quella attuale. Al di là di moralismi arrugginiti o di allarmi ad effetto, il fenomeno merita una riflessione. La precocizzazione dei comportamenti è una caratteristica dell’accelerazione straordinaria che viviamo e riguarda molti ambiti. E non è senza conseguenze: ogni comportamento dovrebbe essere congruo con lo sviluppo cognitivo ed emotivo­affettivo del bambino e dell’adolescente. Se prendiamo il caso dei giovanissimi, dobbiamo considerare il tipico atteggiamento di sfida, di misurazione di sé, di ricerca di emozioni, di attrazione per il rischio, tutti ingredienti che conferiscono alla scommessa e al gioco un fascino talvolta irresistibile.
Eppure questo non basta a spiegare il fenomeno. Non basta, quando osserviamo un ragazzino acquistare in edicola uno di quei giochi senza fatica come i vari 'gratta e vinci'. Nella sua mente si sta costruendo la convinzione che attraverso strumenti semplici, privi di impegno, totalmente scollegati a ogni merito, è possibile cambiare la vita. Le 'sfide' tipiche dell’infanzia e dell’adolescenza lasciano il posto alla 'ruota della fortuna'. Se nelle sfide c’era la costruzione di sé attraverso l’impegno e il merito, nella 'ruota della fortuna' c’è la deresponsabilizzazione e l’inutilità dell’impegno. Se perdo non comprometto la mia autostima perché è colpa di un sistema cieco, se vinco mi sento eccezionale: massimo risultato con il minimo sforzo.
E perché un adolescente, che invece dovrebbe sentirsi attratto dalle grandi sfide in cui impegnarsi, è al contrario attratto dalle bische on line? Forse perché mancano le grandi sfide, trasformate in competitività senza cuore e in efficientismo senza tempo. E forse quello che serve è piuttosto tornare a trasmettere agli adolescenti e anche a noi adulti il sottile piacere delle grandi sfide. È questa, dunque, la 'scommessa' finale: saremo sempre più risucchiati da luccicanti poker on line o sapremo riscoprire il fascino delle sfide che la vita ci propone, riaccendendo la passione?

Avvenire 8 gennaio 2010

Il sesso da giovanissime raddoppia il rischio di tumore alla cervice uterina

Sesso fin da giovanissime? Un'abitudine pericolosa, e non solo per il rischio di gravidanze indesiderate. Secondo uno studio pubblicato dal «British Journal of Cancer», infatti, un'attività sessuale troppo precoce raddoppia il pericolo di sviluppare il cancro alla cervice uterina. A far la differenza, a detta degli esperti britannici, sarebbe il numero di anni che il virus Hpv, principale responsabile di questa neoplasia, avrebbe a disposizione per produrre danni in caso di infezione. Tant'è che i risultati della ricerca, realizzata dall'International for Research on Cancer, non riguardano solo le teenager, ma dimostrano che il rischio di cancro della cervice è maggiore anche nelle donne che hanno avuto il primo rapporto sessuale a 20 anni rispetto a quelle che avevano vissuto la loro prima volta a 25. Lo studio è stato condotto su circa 20 mila donne.

REDDITO - I ricercatori si sono focalizzati anche sul reddito dal momento che è già noto che l'incidenza del cancro della cervice è più alta tra le meno abbienti. A render più fitto il mistero c'è il fatto che i tassi di infezione da Hpv sono omogenei tra le donne più ricche e le altre, ma il cancro colpisce di più le indigenti. Così, cercando di capirne il motivo, gli studiosi hanno scoperto che le meno abbienti in media fanno sesso prima, ovvero con circa quattro anni di anticipo rispetto alle coetanee benestanti. Finora questo divario, che accomuna le donne di ogni angolo del pianeta, era attribuito alla scarsa attenzione ai test per stanare la malattia tra le classi sociali meno abbienti. Ma, secondo il nuovo studio, il fattore più importante sarebbe un altro: a quanti anni si inizia a far sesso. A incidere, secondo la ricerca, anche l'etá della prima maternità e, in parte, il fatto di fare il Pap-test, mentre nessun legame è stato riscontrato con il numero di partner avuti o col fatto di essere fumatrice. «Se si viene infettate presto dall'Hpv - spiega Silvia Franceschi, scienziata italiana a capo della ricerca - il virus ha più tempo a disposizione per produrre tutta quella serie di eventi a catena che possono portare allo sviluppo del cancro».


Corriere della Sera 21 dicembre 2009

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Quando non si vuol proprio vedere dove sta il problema Londra ci ricasca: gravidanze giovanili? Servono pillole gratis

Pillole contraccettive senza ricetta per le ragazze: così in Inghilterra corrono ai ripari per l’alto numero di gravidanze di teenagers: 42 ogni mille di loro, nel 2007. Già erano disponibili nelle farmacie inglesi senza ricetta le pillole del giorno dopo -che però hanno ridotto le gravidanze delle ragazze meno di quanto prevedevano i promotori: solo dell’11% - e ora anche questa novità. Insomma, tutti a correre ai ripari contro le gravidanze delle teenagers, senza riflettere che solo il 50% ha poi abortito, mettendo in luce che mentre gli adulti vorrebbero fare piazza pulita delle gravidanze giovanili, tante giovani invece non ne vogliono fare a meno e lanciano un grido: la vita di una giovane ha iscritto in se stessa la possibilità di diventare mamma. E allora si potrebbe pensare: diamo la possibilità di far famiglia prima di quanto accade ora. Invece no: si aprono i cancelli al sesso precoce per cui se non lo fai da giovane non sei alla moda, e si chiudono le porte ad ogni idea di fare famiglia e di avere figli; si ipersessualizza a fini commerciali una generazione di ragazzini, l’educazione sessuale si limita a spiegare come mettere il preservativo, ma si evita di accompagnare i giovani nel difficile e traumatico passaggio dell’adolescenza: l’età dell’insicurezza e dei cambiamenti ormonali, delle crisi esistenziali e della scoperta degli ideali. Agli ideali invece sostituiamo il sesso usa e getta e pensiamo che i ragazzi siano contenti. Invece no, tanto che le gravidanze giovanili sono una sorta di protesta per una violenza sociale che impedisce di fare famiglia e figli all’età giusta.

E’ dell’anno scorso il caso del patto delle 17 ragazze statunitensi che vollero restare tutte incinte senza rivelare chi fossero i padri dei bimbi, per un fenomeno di ribellione e anticonformismo. E pochi giorni fa la nota giornalista inglese Camilla Chafer sull’Independent, si gloriava giustamente di essere stata in grado, pur nella solitudine e povertà, di aver fatto nascere e allevato e educato il suo bambino quando lei aveva 17 anni. Si è laureata e si sta realizzando come persona; dice che non ce l’avrebbe fatta se non fosse stato per la sua scelta di far nascere il bimbo. Invece oggi pensare di avere un figlio da giovani (e magari non abortirlo quando c’è qualche problema) è una scelta controcorrente. Ma è’ “strana” la Chafer o è strano il resto del mondo? Non è una domanda pellegrina, perché se viviamo in una società violenta, che approva il sesso tra i giovani ma rifiuta i figli dei giovani, non vuol dire che dobbiamo approvarla. Il guaio è che questa società i bambini proprio non li sopporta: non sono previsti, non sono una priorità; non li fa più, non sopporta che i giovani li facciano e non sopporta che quando crescono pensino a riprodursi invece di pensare solo a consumare lingerie e scarpe di marca. Far propaganda per il sesso e censurare l’idea di far figli è come dare un pallone da basket ai ragazzi ma togliere i canestri: dopo un po’ ci si stufa; e i ragazzi si stufano del sesso inutile, le gravidanze delle teenagers sono il segni d questa insofferenza che sfocia in protesta, talvolta in rivolta.

“sesso” è tra le parole più ricercate dai bambini, in Brasile come in Europa

Nel corso di un mio recente viaggio per un’esperienza di volontariato in Brasile, ho avuto modo di confrontarmi con colleghi ricercatori sul rapporto internet e minori, anche in relazione al convegno al quale sono stato invitato a partecipare quale relatore alla Casa della gioventù di Belém (Parà).

Ebbene: sono risultati innumerevoli i punti di contatto, a conferma della globalizzazione in atto, in merito a quanto studiamo in Europa e in America Latina. Ad esempio, qui come là, i minorenni ricercano in internet nei motori di ricerca soprattutto le parole sesso e pornografia.

La conferma giunge dal sondaggio condotto da Symantec Corpnn che ha individuato tra i principali termini di ricerca di bambini e adolescenti in varie parti del mondo proprio le suddette parole. Tali termini sono ricercati soprattutto su Youtube, Google, Facebook e MySpace.

Secondo il pedagogista José Maria Cerutti Novaes “detta curiosità spesso appare quando è stimolata al di là del normale interesse, sia per aver ascoltato osservazioni di adulti sia per aver visto o sentito qualcosa in un altro modo”.

La ricerca rivela anche che i genitori sono poco attenti a ciò che fanno i loro figli su Internet. I bambini non dovrebbero passare ore e ore davanti al computer, senza limiti. Abbiamo bisogno di favorire il dialogo e stabilire un rapporto di fiducia monitorando soprattutto i siti nei quali si entra in conversazione.
L’elenco con le cento parole più ricercate è stato fatto dopo che Symantec ha stimato 3,5 milioni di ricerche effettuate da OnlineFamily di Norton.
Non dimentichiamo, poi, che MSN e le chat room sono linee aperte, ahimé, alla pedofilia e ciò al di là dei servizi offerti

E’ quindi stato accertato in America latina, che internet è anche una grande porta aperta a una serie di crimini on-line e a violenze commesse da adolescenti e contro gli stessi.
I dati da noi studiati sono quelli del Centro per la prevenzione dei crimini elettronici (Nurecel) del Brasile il cui Stato ha indicato che il numero di reati commessi per via elettronica, come internet o cellulari, cresce di circa il 20% ogni anno. Inoltre, la partecipazione degli adolescenti in casi di reati contro la classe e gli insegnanti attraverso internet è circa il 30% del totale dei crimini analizzati in rete.

Anche nel Sud America è, purtroppo grazie a internet, che registriamo la maggior parte dei casi di pedofilia. Chat e programmi come MSN e Skype sono nella lista dei più usati dagli adulti per eseguire la scansione della rete in cerca di minorenni.

E’ evidente che rispetto a uno strumento mondiale occorre che, anche in virtù della Convenzione per i diritti del fanciullo, l’Onu possa adottare azioni forti a tutela e protezione dei minorenni di tutto il mondo contro persone senza scrupoli.

Daniele Damele

http://periodicoitaliano.info/

Sesso, video e amici su internet per gli adolescenti

Internet è un punto di riferimento costante per gli adolescenti, che lo usano quotidianamente spesso con una certa preoccupazione da parte dei genitori, che di solito non sanno a quali ricerche in rete si dedicano i loro figli.


Uno studio che ha analizzato 3,5 milioni di ricerche in tutto il mondo si è proposto di verificare cosa cercano gli adolescenti su internet, scoprendo delle informazioni che per certi versi risultano inquietanti. I ragazzi cercano principalmente sul web video su YouTube, giochi, amici sui social network, ma anche contenuti pornografici.

Per quanto riguarda YouTube gli adolescenti sono alla ricerca soprattutto di cartoni animati giapponesi e video demenziali. Dopo il famoso video di condivisione video, gli spazi web più amati e più utilizzati dagli adolescenti sono Google e Facebook.

Fra le parole più cercate sul web dai ragazzi si scopre invece che la quarta è “sesso” seguita da “MySpace” e porno, mentre le prime in assoluto sono “Google” e “YouTube”. Fra i primi 100 termini più digitati compaiono anche Michael Jackson, eBay e la serie Swimming with Fred.

In aiuto dei genitori viene il software di monitoraggio diffuso da Symantec. In ogni caso bisogna prendere atto del fatto che ormai internet è entrato a pieno titolo nella vita dei ragazzi, per cui un atteggiamento allarmistico dei genitori è destinato a sortire pochi effetti. D’altronde spiare i figli, per cercare di proteggerli, non porta risultati efficaci.

Riconoscendo l’importanza assunta dal web per i ragazzi, è più che altro opportuno instaurare con loro un dialogo sui contenuti delle ricerche e sull’uso di internet come strumento di cui servirsi con senso di responsabilità.