DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Il futuro? È adesso. Essere sempre «accesi» e connessi. Vivere tutto in tempo reale: a dettare il ritmo è il tempo di Internet. Il rischio? Non essere più ancorati e perderci in un eterno presente


di Daniela Monti




Non c’è più tempo per pensare: bisogna agire, e farlo in fretta. La velocità è tutto. Bisogna esserci adesso. Prendiamo la bufera mediatica che si è scatenata attorno al marchio Moncler dopo la messa in onda dell’inchiesta di «Report» sull’imbottitura dei suoi piumini: il fatto che l’azienda non abbia risposto in tempo reale con una contro-campagna dello stesso impatto è stato letto da molti come segnale di debolezza. «Perché non reagiscono?», si sentiva dire qua e là. Tentennare, prendere tempo, attendere di trovare la risposta giusta sono atteggiamenti che non possono più fare parte del nostro agire quotidiano. «La nostra società si è orientata verso il presente: oggi tutto è live, in tempo reale, senza un momento di tregua. Non si tratta di una semplice accelerazione, sebbene il nostro stile di vita e la tecnologia abbiano velocizzato i tempi delle nostre azioni — scrive Douglas Rushkoff in uno dei testi più apprezzati sull’argomento, Presente Continuo(Codice Edizioni) —. Si tratta piuttosto di un ridimensionamento di tutto ciò che non sta accadendo adesso, e dell’assalto di ciò che invece, almeno apparentemente, è il nostro presente più immediato».
La parola assalto rende bene l’idea: la nostra attenzione è ostaggio di ciò che capita adesso. Nei giorni in cui Donna Tartt ha vinto il Pulitzer, chi non ha letto il suo «Cardellino» è stato tagliato fuori da qualsiasi discussione. Lo stesso è accaduto con Patrick Modiano dopo il Nobel. Ma, passato l’attimo, il quadro è cambiato e la triste verità è che siamo sempre più in difficoltà ad articolare un discorso sensato sui libri, sulla musica o sui film usciti appena il mese scorso. Rushkoff sintetizza con una battuta fulminante questo nostro nuovo vivere schiacciati sull’adesso: se la fine del ventesimo secolo è stata caratterizzato dal futurismo, il ventunesimo potrebbe essere il secolo del «presentismo». In qualsiasi attività siamo impegnati — dalla preparazione di una relazione in ufficio al portare i bambini a scuola — è assolutamente certo che verremo interrotti dal telefono che squilla, dalla luce che lampeggia sullo smartphone, dal suono emesso dall’iPad ad ogni notifica di Twitter. Certo: potremmo resistere e rimandare a più tardi la telefonata, la lettura della mail o del tweet, ma chi lo fa davvero? E se ci perdiamo qualcosa non rispondendo adesso?
Tutte queste interruzioni creano la sensazione di «dover tenere il passo con il loro insostenibile ritmo, per timore di perdere il contatto con il presente», dice ancora il teorico americano. Non è più la vecchia storia del multitasking, cioè del fare più cose contemporaneamente (una lezione che tutti abbiamo già imparato). La questione è più sottile: chi comanda il gioco? Chiaramente, non siamo più noi, ma la tecnologia. Che con Internet — il quale vive sull’istantaneità — detta il tempo delle nostre giornate, dei nostri interessi, persino delle nostre decisioni (soprattutto in periodo elettorale diventa evidente a tutti come i politici si affidino a valutazioni in tempo reale per correggere programmi e dichiarazioni sulla base delle reazioni del pubblico che segue live i dibattiti in tv). Fare un progetto a lungo termine, organizzare la propria vita in funzione di un obiettivo da raggiungere, procedere con lo sguardo dritto in avanti è diventato più difficile. Non solo per la mancanza di prospettive, soprattutto per i giovani (di cui Silvia Avallone sintetizza efficacemente lo stato d’animo: si sentono «braccati in un eterno presente, non possono fare progetti, non possono costruire un percorso per più di tre mesi di fila e “poi si vedrà”»). Ma per quell’«assalto» continuo dell’adesso che distrae, fa deragliare, infila un’emergenza dietro l’altra senza soluzione di continuità. Così spendiamo le energie migliori per riuscire a stare a galla. Non progettiamo, improvvisiamo.
Anche il rapporto Censis richiama l’idea del «presentismo» e, per descriverci, usa queste parole: siamo «sempre più impegnati nel presente, con uno scarso senso della storia e senza visione del futuro». E se è vero che già nel nostro carattere nazionale c’è l’inclinazione a subire il fascino dell’adesso e di tutto ciò che è immediato (il filosofo Roberto Esposito ne fa una questione di carattere: «Gli italiani hanno sempre avuto una maggiore sensibilità per quanto è contingente, concentrato nella singolarità dell’evento, sottratto ad un progetto di lunga durata»), Internet e l’ossessione contemporanea per il live ci hanno spianato la strada. Google e i suoi fratelli sono maestri nel disorientamento temporale: i risultati di una ricerca mescolano tutto nella stessa schermata, l’articolo più recente con lo studio di vent’anni fa, cancellando il percorso che separa l’uno dall’altro. Tutta la conoscenza viene portata nel presente. «Quindici minuti passati su Facebook fondono le amicizie delle scuole elementari alle richieste di contatti futuri: tutto ciò che abbiamo vissuto e tutti quelli che abbiamo incontrato vengono compressi in un presente virtuale. Viviamo le nostre età tutte insieme: non c’è nulla che possiamo lasciarci alle spalle una volta per tutte. A svanire non è solo il confine fra pubblico e privato, ma anche la distanza fra presente e passato», scrive ancora Rushkoff.
Umberto Eco si è spinto a chiamare «malattia generazionale» quell’«appiattimento del passato in una nebulosa che non dovrebbe avere giustificazioni, viste le informazioni che anche l’utente più smandrappato può ricevere su Internet. Ma la memoria in alcuni (molti) giovani si è contratta in un eterno presente dove tutte le vacche sono nere». Presi dall’ossessione del presente, finiamo, o fingiamo, di non accorgerci che gran parte delle informazioni a ciclo continuo che riceviamo quando ci raggiungono sono già superate. I risultati, in fondo, sono comici. Come nel dialogo geniale sul potere dell’adesso fra Lord Casco e il colonnello Nunziatella in «Balle spaziali» di Mel Brooks: «Che è successo al prima?» «È passato». «Quando?». «Adesso. Siamo all’adesso, adesso». «Torniamo al prima!». «Non possiamo». «Perché?». «Perché l’abbiamo superato!». «Quando?». «Adesso!».