DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Jung Chang racconta la Cina del Novecento

E’ impressionante quanto le rivoluzioni si assomiglino terribilmente tra loro.
Dai giacobini francesi, ai bolscevichi russi, ai nazionalsocialisti tedeschi, ai maoisti cinesi e ai khmer rossi cambogiani…. Sempre troviamo gli stessi elementi principali, analoghe idee fondanti, simili aberrazioni. All’origine c’è un’ idea di fondo: che la politica, il potere, 
possano risolvere qualsivoglia problema umano. Che l’umanità possa redimersi, qui ed ora, integralmente. L’onnipotenza della politica, la svalutazione del singolo, la divinizzazione laicista dello Stato, guida, regolatore di valori, creatore di Giustizia, sono all’origine di tutto.
In questo orizzonte puramente immanente Dio è sempre messo in un angolo, negato, e con lui l’uomo come singolo, come creatura unica e irripetibile, chiamata ad una responsabilità personale, ad un giudizio finale, non solamente umano: la vita personale dello spirito, la lotta interiore tra Bene e male non importa più. Fedeltà al Capo, al Partito, allo Stato, e obbedienza cieca, pronta e assoluta, basteranno per creare “cieli nuovi” e soprattutto “terra nuova”.
Che al potere ci sia Robespierre, Lenin, Stalin, Hitler o Mao, i risultati sono profondamente analoghi. Ovunque il sistema produce: eliminazione della religione precedente, cristiana, buddista, confuciana che sia; propaganda martellante per convincere il popolo che vive nel migliore dei mondi possibili e divinizzazione del leader; terrore: grandi e piccole purghe contro i “nemici del popolo”, attraverso “tribunali rivoluzionari del popolo”, improvvisati, continui, senza freni; eliminazione sistematica da parte dei più puri, dei più “ortodossi”, di coloro che non sono sufficientemente fedeli al Partito e all’ideologia; tentativo di distruggere tutto ciò che proviene dal passato, di cancellare le radici della propria storia…
Vi è un libro, straordinario, “Cigni selvatici” di Jung Chang , in cui la storia del comunismo cinese viene delineata con grande capacità e acume, e che ci permette appunto di analizzare nelle vicende cinesi del Novecento il ripetersi dei meccanismi rivoluzionari già sperimentati in Europa.
“Cigni selvatici” è la storia di tre generazioni di donne, la nonna, la mamma e la figlia, Jung Chang appunto, ambientato nella Cina del primo Novecento e, soprattutto, nella Cina maoista.
L’attacco alla religione.
Jung Chang dedica varie riflessioni alla volontà del dittatore Mao di distruggere completamente la cultura religiosa precedente, sia quella di provenienza indigena, il confucianesimo, sia quella di provenienza “straniera”, il cristianesimo. E’ un passaggio essenziale: per costruire il paradiso in terra occorre una nuova fede, atea, e per questo tanto più esigente quanto più anela a risultati immediati e tangibili.
Chang ricorda che prima dell’avvento di Mao (1949) in Cina esistono alcuni ospedali fondati da missionari stranieri. In uno di questi viene un giorno ricoverata sua madre, incinta. Lì la donna può avere a disposizione medicinali stranieri, anche americani, di importanza vitale. Ma a breve, siamo nel 1952, “un funzionario le disse che in casa di un sacerdote straniero di Pechino erano state trovate delle armi e che tutti i sacerdoti e le suore straniere erano oggetto di forti sospetti. Mia madre non avrebbe voluto andarsene”.
L’ospedale sorge in mezzo a un grazioso giardino con splendide ninfee: le “cure professionali” e la “pulizia dell’ambiente”, “molto rare in Cina”, sono per lei un sollievo. “Purtroppo non aveva scelta e venne trasferita all’ospedale Popolare Numero Uno”. Subito dopo i missionari vengono espulsi, come stranieri, perché dichiarati nemici della patria, e anche gli orfanatrofi, una delle principali attività dei missionari, vengono chiusi.
Proseguendo la sua narrazione Jung ricorda la sua educazione: “L’idea di una chiesa era nello stesso tempo misteriosa e terrificante, a causa della propaganda antireligiosa: la prima volta che sentii parlare di uno stupro fu quando lessi un romanzo in cui a compierlo era un sacerdote straniero, e i preti passavano sempre per spie imperialiste e malvagi che rapivano i bambini dagli orfanatrofi per sottoporli ad esperimenti medici… Sermoni! Avevo incontrato quella parola in un libro in cui il prete usava un ‘sermone’ per comunicare segreti di stato ad una spia imperialista”. Serve rammentare che per i giacobini francesi, quasi duecento anni prima, i sacerdoti che non abdicavano dall’obbedienza al papa erano nemici politici? Che i bolscevichi russi imprigionavano preti e credenti cattolici in nome del loro legame col Vaticano, cioè con uno “stato straniero”?
Anche la tradizione confuciana precedente è per Mao da cancellare: Jung ricorda la distruzione, durante la rivoluzione culturale, di statue di Confucio, di lapidi su cui sono incise frasi del grande pensatore cinese. Ricorda “templi abbattuti, statue rovesciate e vecchie città devastate. Dell’antica civiltà cinese era rimasto ben poco”. Ovunque, al posto della storia, della cultura, dei monumenti precedenti, i libri di Mao, le statue di Mao, i quadri di Mao, le frasi di Mao…
L’idolatria atea
Infatti, accanto alla eliminazione del mondo antico, delle tradizioni precedenti, del cristianesimo come nemico mortale, le rivoluzioni innalzano i propri nuovi idoli: che siano una ragazza vestita da Ragione in Notre Dame o l’ immensa distesa di gigantesche statue di Lenin che disseminavano i paesi comunisti d’Europa o i busti di Kim Il Sung che compaiono dovunque ancor oggi in Corea del Nord…
Così anche Mao, mentre insegna che il materialismo dialettico è l’unica verità dell’uomo e della storia, divinizza se stesso. Diventa il “grande timoniere”, fa costruire statue dedicate a lui “dappertutto”, impone a tutti i giornali di pubblicare di continuo i suoi discorsi e le sue riflessioni, che vengono anche ripetute e imparate a memoria a scuola, ribadite dagli autoparlanti sparsi nelle città, mentre ovunque compaiono cartelli di questo tenore: “Il presidente Mao è il sole rosso nei nostri cuori”; “Il pensiero di Mao è la nostra linea di vita”; “Schiacceremo chiunque si opponga a Mao”; “I popoli di tutto il mondo adorano il nostro grande capo, il presidente Mao”. A tutti vengono distribuite coppie del “Libretto rosso”, contenete estratti dei suoi discorsi, con la raccomandazione di tenerlo caro “come i propri occhi”.
Il libretto viene agitato nelle grandi adunate, come un oggetto sacro, e i giovani comunisti vengono allevati a cantare canzoni “formate da citazioni di Mao: tutte le altre canzoni, a parte quelle e alcune in lode di Mao, erano proibite, così come ogni altra forma di divertimento” . Viene insegnato ai giovani che vivono per la Cina e che la Cina è Mao: andarlo a vedere almeno una volta nella vita diviene così il desiderio massimo di tutti, per poter poi ripetere una mantra molto diffuso: “Oggi sono la persona più felice del mondo. Ho visto il nostro grande capo, il presidente Mao!” .
Alla morte di Mao, come dopo quella di Lenin, il leader ateo della Cina viene seppellito in un gigantesco mausoleo, garante di una presunta fama “immortale”, in piazza Tienanmen: nello stesso periodo, nota la Jung, “c’erano ancora centinaia di migliaia di senzatetto che vivevano in baracche provvisorie costruite sui marciapiedi” in seguito ai terremoto di Tangshan.
La promessa di liberazione
Un’altra costante delle rivoluzioni è la promessa di liberazione. La libertà, la fraternità, l’eguaglianza, passano dalla “liberazione”: dai dogmi, dalle istituzioni e dai vincoli del passato, dalle iniquità del mondo, dal male in generale. Lo spirito utopico è l’essenza della rivoluzione e va di pari passo con l’affermazione che la realtà non deve essere anzitutto vissuta, sino in fondo, ma cambiata, rifatta, ricostruita. E’ questo il principio dei rivoluzionari russi di cui parla Dostoevskij nei “Demoni”, quei rivoluzionari che tanto peso avranno nella formazione di Lenin e che hanno come primo dovere quello di fare tabula rasa di tutto.
Anche nell’ideologia nazista il “Reich millenario” cancellerà la decadenza politica, razziale, genetica, contemporanea. L’uomo libero, anzitutto dai limiti e dal peccato, l’uomo completamente sano e forte, è la promessa per il futuro. “Comincia a distruggere: la ricostruzione verrà da sé”: questo è il motto di Mao che scatenerà il terrore della Rivoluzione culturale, con un “disprezzo quasi metafisico nei confronti della realtà”.
Distruggere, distruggere, distruggere. Di qui un altro motto che viene spesso ripetuto: “la ribellione è giustificata”. Andare dunque contro, ma contro chi? Non importa, basta spazzare via ogni residuo del passato malvagio, per il futuro radioso. Distruggere l’Inferno per creare il Paradiso. Occorre “distruggere i quattro vecchi”: “le vecchie idee, la vecchia cultura, le vecchie tradizioni e le vecchie abitudini”.
Occorre che si superino i “cinque passi montani”: bisogna cioè assumere un atteggiamento nuovo verso famiglia, professione, amore, modo di vivere, lavoro manuale. Così la liberazione diventa anzitutto eliminazione di idee nemiche e di nemici concreti, ai quali vengono attribuite tutte le colpe, che divengono la causa di ogni male o presunto tale.
La stessa mentalità di fondo caratterizza, in contemporanea alla “rivoluzione culturale” maoista, la rivoluzione giovanile del Sessantotto in Occidente: distruggere la famiglia, la vecchia fede, le tradizioni paterne, i vecchi ruoli…Qualcosa di analogo accade anche nella Chiesa cattolica: la parola d’ordine degli anni Sessanta è cambiare tutto, abbattere balaustre, altari, statue, accantonare la liturgia millenaria e il canto gregoriano…
L’attacco alla famiglia
Tra i nemici delle sorti magnifiche e progressive che si stanno schiudendo all’orizzonte, vi è sicuramente la famiglia. Uno dei canti insegnati ai bambini cinesi dice così: “ Più di nostro padre e di nostra madre noi amiamo il partito comunista”. Distruggere la famiglia, prima società naturale, è essenziale per le dittature, che non possono dividere il “potere” con altre realtà; che non tollerano luoghi in cui l’individuo sia libero dalle influenze del Partito. Così nella Cina di Mao il matrimonio deve essere autorizzato dal partito; chi si sposa deve stare attento a non essere accusato di “essere ‘troppo attaccata alla famiglia’”, né a quella di origine né alla propria, essendo questa una “ ‘abitudine borghese’ da condannare”.
“A quel tempo, scrive Chang, esisteva una regola non scritta secondo la quale nessun rivoluzionario poteva passare la notte lontano dal proprio ufficio, salvo il sabato sera. Mia madre dormiva nella Federazione delle Donne, che era separata dall’alloggio di mio padre soltanto da un muretto di fango…L’idea era che ogni aspetto personale della vita fosse politico, anzi che non c’era niente che si potesse considerare privato, personale…”. Voler passare almeno la notte col marito comporta dunque l’accusa di avere un “cuore diviso”, di “aver messo l’amore al primo posto, quando invece era la rivoluzione ad avere la priorità”. Per tenere tutti lontano dalla famiglia il Partito organizza l’intera esistenza: “le riunioni erano un mezzo di controllo importante per i comunisti: non lasciavano tempo libero, ed eliminavano la sfera privata”.
I figli, quando non vengono uccisi con sistematicità, sono allevati in asili e scuole, rigorosamente pubblici, per la maggior parte del tempo, e dormono persino lì; anche i pasti non avvengono in famiglia, perché dominano le mense pubbliche, affinché si viva sempre una vita collettiva, mai personale o familiare .
Il Terrore
Non è un caso che la liberazione si presenti sempre sotto forma di terrore. “Odia il tuo nemico” è il primo comandamento dei rivoluzionari. Non è la fatica del costruire che li appassiona, ma l’ansia di eliminare il “nemico”. Nemici sono i “controrivoluzionari”, per Robespierre; i kulaki, i borghesi, gli zaristi, i credenti, cioè “pidocchi”, “sanguisughe”, “nemici del popolo”, a cui viene negata persino l’umanità, per Lenin; i “sottouomini”, ebrei, slavi, cristiani o altro, per Hitler.
All’epoca di Mao si eliminano tutti coloro che hanno collaborato col passato regime, con il Kuomintang: questo è il primo passo. Ma non basta: la caccia alle streghe deve essere continua, perenne, deve mobilitare, infiammare, tenere occupati gli animi dei professionisti della rivoluzione.
Si eliminino tutti coloro che hanno avuto a che fare con persone che avevano a loro volta a che fare col Kuomintang, comprese le donne e i bambini. Ma neppure questo basta: si stanino, si torturino, si spingano all’autoaccusa, all’autodenucia, tutti coloro che sono “destristi”, “controrivoluzionari”, “borghesi”…. Si colpiscano duramente gli intellettuali, categoria che comprende “infermieri, studenti, attori, così come ingegneri, tecnici, scrittori, insegnanti, medici e scienziati”. L’ordine di Mao, è chiaro, e nebuloso allo stesso tempo: occorre “stanare i serpenti dalle loro tane”.
Ma chi sono i serpenti? Variano a seconda delle circostanze, e spetta dunque all’attivismo dei rivoluzionari scoprirli. Ci vuole inventiva, fantasia, logica del sospetto. La madre di Jung Chang, fervente comunista e funzionario del partito, cade in disgrazia perché sostiene che nella sua zona i destristi, i borghesi, i malvagi, non ci sono più; perché non vede dappertutto persone che tramano contro Mao. La sua “mancanza d’iniziativa” la rende sospetta. “La tragedia del 1957 ebbe tuttavia un effetto ben più grave che ridurre la gente al silenzio: a quel punto la possibilità di precipitare nell’abisso era diventata imprevedibile. Il sistema delle quote combinato con le vendette personali significava che chiunque poteva essere perseguitato per niente. Le definizioni popolari si adeguarono al clima politico. Fra gli elementi di destra esistevano i ‘destristi del testa o croce’, vale a dire quelli che tiravano a sorte per decidere chi sarebbe stato denunciato, e i ‘destristi del gabinetto’, cioè quelli che erano stati denunciati in contumacia perché non avevano saputo trattenersi dall’andare alla toilette durante le numerose e interminabili assemblee. C’era poi la categoria degli ‘elementi di destra che avevano il veleno in corpo ma non lo sputavano’, ed erano quelli etichettati come elementi di destra senza che avessero detto niente contro nessuno” .
Accanto ai Neri, altro nome per togliere ai nemici un volto e una identità, nascono i “grigi”: quelli che, come all’epoca di Robespierre, non sono nemici della rivoluzione, ma neppure amici. I sospetti, insomma. Quelli che cadranno per non essere stati non contrari, ma neppure sufficientemente a favore della rivoluzione. Accanto a tutti quelli che moriranno suicidi, disperati, annichiliti.
La rivoluzione mangia i suoi figli


Ma poiché l’orgia di sangue nutre se stessa, e l’odio genera solo odio, poiché la mentalità ideologica non conosce freni, alla fine l’ex amico diventa anch’egli nemico.
Robespierre passa da ghigliottinatore a ghigliottinato. Le SA di Rhom, da persecutori degli avversari dei nazisti, diverranno perseguitati da Hitler, una volta salito al potere, durante la “notte dei lunghi coltelli”. Stalin, con le “purghe”, dopo aver fatto fuori i suoi compagni della rivoluzione bolscevica, da Troskij a Bucharin, eliminerà milioni di dirigenti comunisti, non sufficientemente fedeli, o quantomeno sacrificabili per dare al popolo, scontento, comodi capri espiatori.
La regola vale anche per Mao: la lotta contro i suoi compagni di partito attraversa tutta la sua vita. Vince chi uccide prima, chi è più violento, bestiale. Così i persecutori divengono perseguitati.
“Il presidente Liu Shaoqi- scrive Chang- che all’Ottavo Congresso era stato il numero due, si trovava in reclusione dal 1967, e alle sessioni di denuncia veniva ferocemente picchiato. Gli avevano negato le medicine sia per la malattia cronica di cui soffriva, sia per la polmonite…fu curato soltanto quando si ridusse in fin di vita, perché la moglie di Mao aveva ordinato in modo esplicito di tenerlo vivo sino al Nono Congresso, in modo che questo avesse un ‘bersaglio’ vivente”.
Un capro espiatorio serve sempre, quando occorre spiegare perché il paradiso promesso non è ancora giunto. E al Congresso è Zhou Enlai a leggere il verdetto che definisce Liu “un traditore criminale, agente nemico e crumiro al servizio degli imperialisti, dei revisionisti moderni e dei reazionari’. Dopo il Congresso gli consentirono di morire, fra atroci sofferenze”.
Anche i grandi capi Lin Biao e Chen Boda verranno eliminati: “entrambi si erano spinti troppo in là con la loro divinizzazione di Mao, il quale si era indispettito: temeva che ciò facesse parte di un preciso disegno per farlo salire alle vette della gloria astratta e privarlo nel contempo del potere terreno”.
In conclusione la storia della Cina comunista – magistralmente raccontata da chi la ha vissuta, come Chang-, con i suoi 80 milioni di morti in pochissimi anni (secondo le cifre più prudenti), riassume il dramma del Novecento (che in Cina dura tuttora) e svela una chiara verità: l’idea utopica di costruire un mondo in cui l’uomo è Salvatore di sè stesso, ha generato e genera tragedie e crudeltà che non hanno eguali nella pur travagliata storia umana .

Libertà e persona