DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

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Cina. Il paese di Mao si converte. Pechino teme l’onda cristiana

GIAMPAOLO VISETTI

ENTRO quindici anni la Cina potrebbe diventare
la nazione con il maggior numero
di cristiani al mondo, superando
Stati Uniti, Brasile e Messico. Il Paese
simbolo dell’ateismo di Stato, uscito
solo alla fine degli anni Ottanta dalle persecuzioni
anti-religiose di Mao Zedong, teme che la rinascita
della fede in un dio possa attenuare la fedeltà
in un partito, minando la stabilità dell’autoritarismo
di Stato.
Nel mirino del presidente Xi Jinping finisce in
particolare il cristianesimo, religione che secondo
Pechino ispira più in generale i valori dell’Occidente,
a partire da quelli democratici. La censura
comunista impedisce di avere dati certi sulla crescita
di protestanti e cattolici, che se non si riconoscono
nelle associazioni cinesi, governate dal partito,
restano perseguitati e costretti alla clandestinità.
Il sociologo Yang Fenggang, autore di numerosi
studi sulla storia delle religioni in Cina, calcola
però che entro il 2030 i cristiani cinesi potrebbero
sfiorare i 250 milioni, rispetto ai 61 del 1949,
anno della vittoria della rivoluzione comunista. In
sei decenni, nonostante l’ostilità politica, anche i
cattolici sono ufficialmente triplicati, passando da
3 a 9 milioni, il doppio rispetto alla crescita demografica
nazionale. Mentre Pechino torna a dichiarare
guerra alle “credenze straniere”, la Chiesa
sommersa rivela che i cattolici cinesi potrebbero
in realtà già sfiorare i 20 milioni e che i protestanti
entro il 2025 potrebbero toccare quota 160 milioni.
Un vero e proprio boom, considerata la crescente
laicizzazione di Europa e Usa, che giustifica l’allarme
che negli ultimi mesi suona nella Città Proibita.
La leadership rossa ha seguito con grande attenzione
la doppia visita di papa Francesco in Asia,
spintosi in Corea del Sud, Sri Lanka e Filippine nel
giro di sei mesi. In entrambi i viaggi, per la prima
volta, il pontefice ha ottenuto il permesso di sorvolare
la Cina e ha inviato la sua benedizione al popolo
cinese, senza ottenere risposta da Pechino. Le
diplomazie sono riservatamente al lavoro per riaprire
relazioni ufficiali interrotte nel 1951, i segnali

di apertura si alternano agli stop, ma la prodismo
spettiva di una cristianizzazione cinese pone ostacoli
nuovi a un dialogo che il Vaticano considera oggi
decisivo.
A fine gennaio l’Amministrazione statale per
gli affari religiosi, che per conto del partito controlla
ogni aspetto dei culti riconosciuti, si è detta
pronta a consacrare nuovi vescovi, senza l’autorizzazione
pontificia. L’ultima ordinazione risale
al 2012 e da allora i negoziati si erano orientati sulla
possibilità che Pechino scegliesse i vescovi all’interno
di una rosa di nomi proposta da Roma.
Lo strappo di Xi Jinping sarebbe ispirato da tre
obiettivi: impedire un incontro tra papa Francesco
e il Dalai Lama, già naufragato in extremis in dicembre,
costringere il Vaticano ad allontanarsi politicamente
da Taiwan e da Hong Kong, riconoscendo
solo le autorità della Repubblica popolare
cinese, e rallentare il più possibile la conversione
dei cinesi al cristianesimo, per poterla controllare.
L’incubo di Pechino, impegnata a rilanciare bud-
prodismo
e confucianesimo quali «fedi tradizionali e
patriottiche», è la saldatura tra le religioni e i valori
politici dell’Occidente. Urbanizzazione, crescita
della classe media, soggiorni di studio all’estero,
boom dei consumi e del web, minacciano l’ideologia
unica dello Stato socialista. Per milioni di giovani
colletti bianchi cinesi, ormai turisti appassionati
dell’Europa, abbracciare la fede cristiana è
spesso una moda, un’esibizione di snobismo, o una
forma di opposizione meno pericolosa al regime.
Per questo Pechino, decisa a trasformare il buddismo
nel collante culturale del Paese e nell’arma
per reprimere l’islam nello Xinjiang, negli ultimi
mesi ha posto il diffondersi delle religioni occidentali
e dei valori democratici sullo stesso piano, ordinando
di «contenere siti di culto eccessivi e attività
religiose troppo popolari». Xi Jinping ordina
di ricostruire i monasteri buddisti distrutti dalle
Guardie rosse di Mao, trasforma la città natale di
Confucio nella meta obbligata di pellegrinaggi di
Stato e avvalla l’abbattimento delle chiese e la demolizione
delle croci. Un documento riservato del
politburo osserva che «un partito con 80 milioni di
iscritti può essere messo in difficoltà da una Chiesa
occidentale con 250 milioni di fedeli» e che in autunno
i cattolici sono stati i più attivi sostenitori
della rivolta pro-democratica degli studenti a
Hong Kong.
Il governo la scorsa primavera ha anche ordinato
ai funzionari locali di «arginare i culti importati
dall’Occidente» e di «promuovere invece le più
controllabili tradizioni culturali cinesi». Le settimana
scorsa il ministero dell’Istruzione ha messo
al bando i testi occidentali dalle università, intimando
che «l’insegnamento dei valori occidentali
non deve più avere spazio negli atenei della nazione
». Il pugno che Pechino abbatte sulla “cultura
straniera” è lo stesso che colpisce la “fede importata”,
nemici che Xi Jinping definisce «contrabbandieri
di idee e valori democratici in meno
di una generazione». Le aperture si limitano dunque
alle “chiese patriottiche”, soggette al partito,
mentre la libertà di culto si profila sempre più condizionata
all’ascesa dell’influenza globale del Paese.
Una Cina “intollerante” non può guidare il mondo:
ma una Cina «minata dalle religioni che hanno
segnato la storia dell’Occidente» rischia di non riuscire
a farlo.

La Repubblica 12 febbraio 2015

Dov’è il “prossimo miliardo” per cui Facebook s’inchina persino alla Cina



Il Foglio, 10 Dicembre 2014



Roma. Quando Lu Wei è passato davanti alla scrivania di Mark Zuckerberg, nell’open space di Menlo Park che è il quartier generale di Facebook, è scoppiato in una risata. Sul tavolo, di fianco al MacBook, c’era “The governance of China”, il mattone da 500 pagine con tutti i discorsi di Xi Jinping che l’ufficio della propaganda del Partito comunista cinese ha appena mandato in stampa. Posso sedermi?, chiede Lu. Mark accetta, e l’uomo che gestisce la gigantesca macchina della censura cinese si mette alla scrivania del fondatore di Facebook. Secondo un sito di informazione cinese, il primo a scrivere della strana diffusione dei libri della propaganda di Pechino negli uffici di Facebook, Zuckerberg ha detto a Lu: “Ho comprato delle copie (del libro di Xi Jinping) anche per i miei colleghi, vogliono che comprendano il ‘socialismo con caratteristiche cinesi’”, che è il termine con cui è indicata l’ideologia del Partito comunista. Lu deve essere stato soddisfatto della cosa, perché una foto pubblicata lunedì in Cina lo mostra ridere di gusto, seduto al posto di Zuckerberg, con il volume di Xi davanti e Mark di fianco.

Nel libro dei discorsi di Xi Jinping, Zuckerberg avrà trovato alcune perle di saggezza universale (le ha raccolte il Telegraph: Xi è un maestro dell’aforisma politico), come: “I bottoni della vita devono essere allacciati bene fin dall’inizio” (sull’educazione dei giovani), o: “La freccia non tornerà indietro una volta che l’hai scoccata” (sulle riforme in Cina). Troverà inoltre consigli su come “diffondere e mettere in pratica i valori basilari del socialismo” su internet. Si capisce perché quando la foto di Zuckerberg e Lu è stata pubblicata tutta la rete si sia scandalizzata, e perché a pubblicarla è stato un sito cinese, e non uno degli infiniti magazine specializzati americani che si allertano a ogni soffio di vento dentro la Silicon Valley, ma della visita di Lu quasi non hanno scritto.

Lu Wei è il direttore dell’Ufficio di stato delle informazioni su internet, l’agenzia che gestisce le politiche digitali del regime cinese, e vicedirettore dell’organo della propaganda dello stato. E’ un fumatore, un bevitore e un workaholic (così scrive di lui il New York Times), e da quando è in caricaha indurito le già dure norme della censura su internet in Cina, zittito i dissensi e condotto campagne di repressione che hanno portato all’arresto di molti attivisti.

Il tour americano di Lu Wei, iniziato la settimana scorsa per una conferenza, ha avuto qualche difficoltà a Washington, dove Lu è stato criticato. Ma quando si è spostato sulla west coast, nella Silicon Valley, Lu è stato portato in trionfo da tutti i giganti del tech americano. Ha incontrato Tim Cook di Apple, che gli ha fatto vedere in anteprima il nuovo Apple Watch (confidandogli che è la prima volta che lo fa provare a un esponente di uno stato estero). Ha scambiato risate con Jeff Bezos di Amazon, ha incontrato Eric Schmidt di Google, più le alte cariche di Yahoo, Linkedin e altri. Il suo colloquio con il ceo di eBay John Donahoe è stato trasmesso da una tv di Hong Kong – ovviamente mentre Donahoe elogiava la grandezza dei venditori cinesi.

La Cina è un paese autoritario dove la libertà di espressione è repressa brutalmente, dove due milioni di persone, secondo alcune stime, sono assoldati dal Partito per controllare e reprimere le voci dissonanti su internet, dove un “Grande firewall” chiude gli utenti cinesi in una bolla digitale dove solo le notizie gradite al regime comunista possono circolare. Lu Wei è a capo di molti di questi processi, è il grande censore che ha invocato di recente il diritto di “sovranità delle informazioni” per la Cina comunista, e dovrebbe essere un nemico giurato per la filosofia libertaria e anarchica che la Silicon Valley ancora ama proiettare sul pubblico. Ma c’è una ragione molto pratica per cui i libertari signori della Valley hanno accolto l’autoritatio Lu con un trattamento da capo di stato: è l’uomo che ha in mano le chiavi del gigantesco mercato digitale cinese.

Si parla spesso di “next billion” per indicare il prossimo miliardo di persone che a breve otterrà una connessione a internet. Entro il 2016 il traffico sulla rete è destinato a raddoppiare, soprattutto in Asia, e una prateria infinita di nuovi utenti ed enormi guadagni si sta per aprire in Cina, in India e nell’area del Pacifico. Ma se in India la Silicon Valley è già ben posizionata, l’ingresso alle potenzialità strepitose del mercato cinese, dove poco meno di metà della popolazione ancora non ha mai usato internet, è vietato a gran parte dei giganti del tech americani. Facebook e Twitter sono banditi dal paese, Google è stato ridotto a un player minore dopo infinite lotte. Nel mercato dell’internet cinese si gioca alle regole del Partito, e questo vuole dire che anche i giganti della Silicon Valley devono inchinarsi alle norme sulla censura, oscurare i siti quando il Partito lo chiede, consegnare i dati personali dei dissidenti se il Partito li vuole. Le aziende che si sono adattate a queste regole, come Yahoo, che in un caso famoso consegnò i dati di alcuni dissidenti al regime, sono rimaste, quelle che hanno provato a ribellarsi sono state cacciate. Finora la Valley ha usato come ragione di vanto liberale il proprio esilio dalla Cina, ma ormai conquistare il mercato asiatico, e il “prossimo miliardo” che lì si nasconde, è un obiettivo irrinunciabile – anche perché senza la presenza dei giganti americani, la Cina ha sviluppato compagnie competitive, da Alibaba a Tencent, che si espandono a loro volta. Così di recente Linkedin ha fatto scandalo perché ha accettato di censurare parte dei suoi contenuti in ossequio ai voleri del Partito, Apple ha acconsentito a ospitare parte dei suoi dati in Cina, alla mercé della censura, e la campagna di charme di Facebook è iniziata ben prima del posizionamento strategico dei libri di Xi, con il discorso di Zuckerberg (in cinese stentato) all’Università Tshingua di Pechino, dove studiano le élite. Allora alcuni sperarono che un possibile intervento di Facebook avrebbe aiutato ad aprire la rete cinese. Non conoscevano ancora le letture di Mark.


Jung Chang racconta la Cina del Novecento

E’ impressionante quanto le rivoluzioni si assomiglino terribilmente tra loro.
Dai giacobini francesi, ai bolscevichi russi, ai nazionalsocialisti tedeschi, ai maoisti cinesi e ai khmer rossi cambogiani…. Sempre troviamo gli stessi elementi principali, analoghe idee fondanti, simili aberrazioni. All’origine c’è un’ idea di fondo: che la politica, il potere, 
possano risolvere qualsivoglia problema umano. Che l’umanità possa redimersi, qui ed ora, integralmente. L’onnipotenza della politica, la svalutazione del singolo, la divinizzazione laicista dello Stato, guida, regolatore di valori, creatore di Giustizia, sono all’origine di tutto.
In questo orizzonte puramente immanente Dio è sempre messo in un angolo, negato, e con lui l’uomo come singolo, come creatura unica e irripetibile, chiamata ad una responsabilità personale, ad un giudizio finale, non solamente umano: la vita personale dello spirito, la lotta interiore tra Bene e male non importa più. Fedeltà al Capo, al Partito, allo Stato, e obbedienza cieca, pronta e assoluta, basteranno per creare “cieli nuovi” e soprattutto “terra nuova”.
Che al potere ci sia Robespierre, Lenin, Stalin, Hitler o Mao, i risultati sono profondamente analoghi. Ovunque il sistema produce: eliminazione della religione precedente, cristiana, buddista, confuciana che sia; propaganda martellante per convincere il popolo che vive nel migliore dei mondi possibili e divinizzazione del leader; terrore: grandi e piccole purghe contro i “nemici del popolo”, attraverso “tribunali rivoluzionari del popolo”, improvvisati, continui, senza freni; eliminazione sistematica da parte dei più puri, dei più “ortodossi”, di coloro che non sono sufficientemente fedeli al Partito e all’ideologia; tentativo di distruggere tutto ciò che proviene dal passato, di cancellare le radici della propria storia…
Vi è un libro, straordinario, “Cigni selvatici” di Jung Chang , in cui la storia del comunismo cinese viene delineata con grande capacità e acume, e che ci permette appunto di analizzare nelle vicende cinesi del Novecento il ripetersi dei meccanismi rivoluzionari già sperimentati in Europa.
“Cigni selvatici” è la storia di tre generazioni di donne, la nonna, la mamma e la figlia, Jung Chang appunto, ambientato nella Cina del primo Novecento e, soprattutto, nella Cina maoista.
L’attacco alla religione.
Jung Chang dedica varie riflessioni alla volontà del dittatore Mao di distruggere completamente la cultura religiosa precedente, sia quella di provenienza indigena, il confucianesimo, sia quella di provenienza “straniera”, il cristianesimo. E’ un passaggio essenziale: per costruire il paradiso in terra occorre una nuova fede, atea, e per questo tanto più esigente quanto più anela a risultati immediati e tangibili.
Chang ricorda che prima dell’avvento di Mao (1949) in Cina esistono alcuni ospedali fondati da missionari stranieri. In uno di questi viene un giorno ricoverata sua madre, incinta. Lì la donna può avere a disposizione medicinali stranieri, anche americani, di importanza vitale. Ma a breve, siamo nel 1952, “un funzionario le disse che in casa di un sacerdote straniero di Pechino erano state trovate delle armi e che tutti i sacerdoti e le suore straniere erano oggetto di forti sospetti. Mia madre non avrebbe voluto andarsene”.
L’ospedale sorge in mezzo a un grazioso giardino con splendide ninfee: le “cure professionali” e la “pulizia dell’ambiente”, “molto rare in Cina”, sono per lei un sollievo. “Purtroppo non aveva scelta e venne trasferita all’ospedale Popolare Numero Uno”. Subito dopo i missionari vengono espulsi, come stranieri, perché dichiarati nemici della patria, e anche gli orfanatrofi, una delle principali attività dei missionari, vengono chiusi.
Proseguendo la sua narrazione Jung ricorda la sua educazione: “L’idea di una chiesa era nello stesso tempo misteriosa e terrificante, a causa della propaganda antireligiosa: la prima volta che sentii parlare di uno stupro fu quando lessi un romanzo in cui a compierlo era un sacerdote straniero, e i preti passavano sempre per spie imperialiste e malvagi che rapivano i bambini dagli orfanatrofi per sottoporli ad esperimenti medici… Sermoni! Avevo incontrato quella parola in un libro in cui il prete usava un ‘sermone’ per comunicare segreti di stato ad una spia imperialista”. Serve rammentare che per i giacobini francesi, quasi duecento anni prima, i sacerdoti che non abdicavano dall’obbedienza al papa erano nemici politici? Che i bolscevichi russi imprigionavano preti e credenti cattolici in nome del loro legame col Vaticano, cioè con uno “stato straniero”?
Anche la tradizione confuciana precedente è per Mao da cancellare: Jung ricorda la distruzione, durante la rivoluzione culturale, di statue di Confucio, di lapidi su cui sono incise frasi del grande pensatore cinese. Ricorda “templi abbattuti, statue rovesciate e vecchie città devastate. Dell’antica civiltà cinese era rimasto ben poco”. Ovunque, al posto della storia, della cultura, dei monumenti precedenti, i libri di Mao, le statue di Mao, i quadri di Mao, le frasi di Mao…
L’idolatria atea
Infatti, accanto alla eliminazione del mondo antico, delle tradizioni precedenti, del cristianesimo come nemico mortale, le rivoluzioni innalzano i propri nuovi idoli: che siano una ragazza vestita da Ragione in Notre Dame o l’ immensa distesa di gigantesche statue di Lenin che disseminavano i paesi comunisti d’Europa o i busti di Kim Il Sung che compaiono dovunque ancor oggi in Corea del Nord…
Così anche Mao, mentre insegna che il materialismo dialettico è l’unica verità dell’uomo e della storia, divinizza se stesso. Diventa il “grande timoniere”, fa costruire statue dedicate a lui “dappertutto”, impone a tutti i giornali di pubblicare di continuo i suoi discorsi e le sue riflessioni, che vengono anche ripetute e imparate a memoria a scuola, ribadite dagli autoparlanti sparsi nelle città, mentre ovunque compaiono cartelli di questo tenore: “Il presidente Mao è il sole rosso nei nostri cuori”; “Il pensiero di Mao è la nostra linea di vita”; “Schiacceremo chiunque si opponga a Mao”; “I popoli di tutto il mondo adorano il nostro grande capo, il presidente Mao”. A tutti vengono distribuite coppie del “Libretto rosso”, contenete estratti dei suoi discorsi, con la raccomandazione di tenerlo caro “come i propri occhi”.
Il libretto viene agitato nelle grandi adunate, come un oggetto sacro, e i giovani comunisti vengono allevati a cantare canzoni “formate da citazioni di Mao: tutte le altre canzoni, a parte quelle e alcune in lode di Mao, erano proibite, così come ogni altra forma di divertimento” . Viene insegnato ai giovani che vivono per la Cina e che la Cina è Mao: andarlo a vedere almeno una volta nella vita diviene così il desiderio massimo di tutti, per poter poi ripetere una mantra molto diffuso: “Oggi sono la persona più felice del mondo. Ho visto il nostro grande capo, il presidente Mao!” .
Alla morte di Mao, come dopo quella di Lenin, il leader ateo della Cina viene seppellito in un gigantesco mausoleo, garante di una presunta fama “immortale”, in piazza Tienanmen: nello stesso periodo, nota la Jung, “c’erano ancora centinaia di migliaia di senzatetto che vivevano in baracche provvisorie costruite sui marciapiedi” in seguito ai terremoto di Tangshan.
La promessa di liberazione
Un’altra costante delle rivoluzioni è la promessa di liberazione. La libertà, la fraternità, l’eguaglianza, passano dalla “liberazione”: dai dogmi, dalle istituzioni e dai vincoli del passato, dalle iniquità del mondo, dal male in generale. Lo spirito utopico è l’essenza della rivoluzione e va di pari passo con l’affermazione che la realtà non deve essere anzitutto vissuta, sino in fondo, ma cambiata, rifatta, ricostruita. E’ questo il principio dei rivoluzionari russi di cui parla Dostoevskij nei “Demoni”, quei rivoluzionari che tanto peso avranno nella formazione di Lenin e che hanno come primo dovere quello di fare tabula rasa di tutto.
Anche nell’ideologia nazista il “Reich millenario” cancellerà la decadenza politica, razziale, genetica, contemporanea. L’uomo libero, anzitutto dai limiti e dal peccato, l’uomo completamente sano e forte, è la promessa per il futuro. “Comincia a distruggere: la ricostruzione verrà da sé”: questo è il motto di Mao che scatenerà il terrore della Rivoluzione culturale, con un “disprezzo quasi metafisico nei confronti della realtà”.
Distruggere, distruggere, distruggere. Di qui un altro motto che viene spesso ripetuto: “la ribellione è giustificata”. Andare dunque contro, ma contro chi? Non importa, basta spazzare via ogni residuo del passato malvagio, per il futuro radioso. Distruggere l’Inferno per creare il Paradiso. Occorre “distruggere i quattro vecchi”: “le vecchie idee, la vecchia cultura, le vecchie tradizioni e le vecchie abitudini”.
Occorre che si superino i “cinque passi montani”: bisogna cioè assumere un atteggiamento nuovo verso famiglia, professione, amore, modo di vivere, lavoro manuale. Così la liberazione diventa anzitutto eliminazione di idee nemiche e di nemici concreti, ai quali vengono attribuite tutte le colpe, che divengono la causa di ogni male o presunto tale.
La stessa mentalità di fondo caratterizza, in contemporanea alla “rivoluzione culturale” maoista, la rivoluzione giovanile del Sessantotto in Occidente: distruggere la famiglia, la vecchia fede, le tradizioni paterne, i vecchi ruoli…Qualcosa di analogo accade anche nella Chiesa cattolica: la parola d’ordine degli anni Sessanta è cambiare tutto, abbattere balaustre, altari, statue, accantonare la liturgia millenaria e il canto gregoriano…
L’attacco alla famiglia
Tra i nemici delle sorti magnifiche e progressive che si stanno schiudendo all’orizzonte, vi è sicuramente la famiglia. Uno dei canti insegnati ai bambini cinesi dice così: “ Più di nostro padre e di nostra madre noi amiamo il partito comunista”. Distruggere la famiglia, prima società naturale, è essenziale per le dittature, che non possono dividere il “potere” con altre realtà; che non tollerano luoghi in cui l’individuo sia libero dalle influenze del Partito. Così nella Cina di Mao il matrimonio deve essere autorizzato dal partito; chi si sposa deve stare attento a non essere accusato di “essere ‘troppo attaccata alla famiglia’”, né a quella di origine né alla propria, essendo questa una “ ‘abitudine borghese’ da condannare”.
“A quel tempo, scrive Chang, esisteva una regola non scritta secondo la quale nessun rivoluzionario poteva passare la notte lontano dal proprio ufficio, salvo il sabato sera. Mia madre dormiva nella Federazione delle Donne, che era separata dall’alloggio di mio padre soltanto da un muretto di fango…L’idea era che ogni aspetto personale della vita fosse politico, anzi che non c’era niente che si potesse considerare privato, personale…”. Voler passare almeno la notte col marito comporta dunque l’accusa di avere un “cuore diviso”, di “aver messo l’amore al primo posto, quando invece era la rivoluzione ad avere la priorità”. Per tenere tutti lontano dalla famiglia il Partito organizza l’intera esistenza: “le riunioni erano un mezzo di controllo importante per i comunisti: non lasciavano tempo libero, ed eliminavano la sfera privata”.
I figli, quando non vengono uccisi con sistematicità, sono allevati in asili e scuole, rigorosamente pubblici, per la maggior parte del tempo, e dormono persino lì; anche i pasti non avvengono in famiglia, perché dominano le mense pubbliche, affinché si viva sempre una vita collettiva, mai personale o familiare .
Il Terrore
Non è un caso che la liberazione si presenti sempre sotto forma di terrore. “Odia il tuo nemico” è il primo comandamento dei rivoluzionari. Non è la fatica del costruire che li appassiona, ma l’ansia di eliminare il “nemico”. Nemici sono i “controrivoluzionari”, per Robespierre; i kulaki, i borghesi, gli zaristi, i credenti, cioè “pidocchi”, “sanguisughe”, “nemici del popolo”, a cui viene negata persino l’umanità, per Lenin; i “sottouomini”, ebrei, slavi, cristiani o altro, per Hitler.
All’epoca di Mao si eliminano tutti coloro che hanno collaborato col passato regime, con il Kuomintang: questo è il primo passo. Ma non basta: la caccia alle streghe deve essere continua, perenne, deve mobilitare, infiammare, tenere occupati gli animi dei professionisti della rivoluzione.
Si eliminino tutti coloro che hanno avuto a che fare con persone che avevano a loro volta a che fare col Kuomintang, comprese le donne e i bambini. Ma neppure questo basta: si stanino, si torturino, si spingano all’autoaccusa, all’autodenucia, tutti coloro che sono “destristi”, “controrivoluzionari”, “borghesi”…. Si colpiscano duramente gli intellettuali, categoria che comprende “infermieri, studenti, attori, così come ingegneri, tecnici, scrittori, insegnanti, medici e scienziati”. L’ordine di Mao, è chiaro, e nebuloso allo stesso tempo: occorre “stanare i serpenti dalle loro tane”.
Ma chi sono i serpenti? Variano a seconda delle circostanze, e spetta dunque all’attivismo dei rivoluzionari scoprirli. Ci vuole inventiva, fantasia, logica del sospetto. La madre di Jung Chang, fervente comunista e funzionario del partito, cade in disgrazia perché sostiene che nella sua zona i destristi, i borghesi, i malvagi, non ci sono più; perché non vede dappertutto persone che tramano contro Mao. La sua “mancanza d’iniziativa” la rende sospetta. “La tragedia del 1957 ebbe tuttavia un effetto ben più grave che ridurre la gente al silenzio: a quel punto la possibilità di precipitare nell’abisso era diventata imprevedibile. Il sistema delle quote combinato con le vendette personali significava che chiunque poteva essere perseguitato per niente. Le definizioni popolari si adeguarono al clima politico. Fra gli elementi di destra esistevano i ‘destristi del testa o croce’, vale a dire quelli che tiravano a sorte per decidere chi sarebbe stato denunciato, e i ‘destristi del gabinetto’, cioè quelli che erano stati denunciati in contumacia perché non avevano saputo trattenersi dall’andare alla toilette durante le numerose e interminabili assemblee. C’era poi la categoria degli ‘elementi di destra che avevano il veleno in corpo ma non lo sputavano’, ed erano quelli etichettati come elementi di destra senza che avessero detto niente contro nessuno” .
Accanto ai Neri, altro nome per togliere ai nemici un volto e una identità, nascono i “grigi”: quelli che, come all’epoca di Robespierre, non sono nemici della rivoluzione, ma neppure amici. I sospetti, insomma. Quelli che cadranno per non essere stati non contrari, ma neppure sufficientemente a favore della rivoluzione. Accanto a tutti quelli che moriranno suicidi, disperati, annichiliti.
La rivoluzione mangia i suoi figli


Ma poiché l’orgia di sangue nutre se stessa, e l’odio genera solo odio, poiché la mentalità ideologica non conosce freni, alla fine l’ex amico diventa anch’egli nemico.
Robespierre passa da ghigliottinatore a ghigliottinato. Le SA di Rhom, da persecutori degli avversari dei nazisti, diverranno perseguitati da Hitler, una volta salito al potere, durante la “notte dei lunghi coltelli”. Stalin, con le “purghe”, dopo aver fatto fuori i suoi compagni della rivoluzione bolscevica, da Troskij a Bucharin, eliminerà milioni di dirigenti comunisti, non sufficientemente fedeli, o quantomeno sacrificabili per dare al popolo, scontento, comodi capri espiatori.
La regola vale anche per Mao: la lotta contro i suoi compagni di partito attraversa tutta la sua vita. Vince chi uccide prima, chi è più violento, bestiale. Così i persecutori divengono perseguitati.
“Il presidente Liu Shaoqi- scrive Chang- che all’Ottavo Congresso era stato il numero due, si trovava in reclusione dal 1967, e alle sessioni di denuncia veniva ferocemente picchiato. Gli avevano negato le medicine sia per la malattia cronica di cui soffriva, sia per la polmonite…fu curato soltanto quando si ridusse in fin di vita, perché la moglie di Mao aveva ordinato in modo esplicito di tenerlo vivo sino al Nono Congresso, in modo che questo avesse un ‘bersaglio’ vivente”.
Un capro espiatorio serve sempre, quando occorre spiegare perché il paradiso promesso non è ancora giunto. E al Congresso è Zhou Enlai a leggere il verdetto che definisce Liu “un traditore criminale, agente nemico e crumiro al servizio degli imperialisti, dei revisionisti moderni e dei reazionari’. Dopo il Congresso gli consentirono di morire, fra atroci sofferenze”.
Anche i grandi capi Lin Biao e Chen Boda verranno eliminati: “entrambi si erano spinti troppo in là con la loro divinizzazione di Mao, il quale si era indispettito: temeva che ciò facesse parte di un preciso disegno per farlo salire alle vette della gloria astratta e privarlo nel contempo del potere terreno”.
In conclusione la storia della Cina comunista – magistralmente raccontata da chi la ha vissuta, come Chang-, con i suoi 80 milioni di morti in pochissimi anni (secondo le cifre più prudenti), riassume il dramma del Novecento (che in Cina dura tuttora) e svela una chiara verità: l’idea utopica di costruire un mondo in cui l’uomo è Salvatore di sè stesso, ha generato e genera tragedie e crudeltà che non hanno eguali nella pur travagliata storia umana .

Libertà e persona


Cina, addio alla mamma tigre: è l’ora della scuola steineriana


Francesco Battistini

Corsera


BERLINO – Mamma Tigre, dentro gli artigli! Anche i cinesi, i ricchi cinesi, s’accorgono che i figli sono cuccioli. Da crescere, non da allenare. Da seguire, non da spingere. Da rispettare, non da reprimere. Il modello scolastico confuciano della competizione estrema - tanto per intenderci: quello esaltato dall’ «Inno di guerra della madre tigre» di Amy Chua, la belva con gli occhi a mandorla che qualche anno fa sconvolse l’America, descrivendo la disciplina ferrea e lontana dalle mollezze occidentali nella quale stava allevando le sue figliole – quel modello non soddisfa più. E ora nella vecchia Europa, oltre a comprare le Mercedes o le Prada, chi se lo può permettere ha deciso di copiare il più «morbido» dei sistemi pedagogici: la scuola steineriana. 
Negli ultimi dieci anni, dice Nana Göbel, direttrice della Società tedesca d’amicizia Waldorf, in Cina sono stati aperti 172 istituti ispirati al famoso metodo teorizzato un secolo fa da Rudolf Steiner, attento più allo «sviluppo emotivo» del bambino che alla sua scolarizzazione tout court. A Pechino le mattinate della scuola pubblica s’aprono con l’esecuzione dell’inno nazionale? Quelle steineriane cominciano dalla raccolta delle uova. Alle elementari di Stato si selezionano i più bravi e si scartano gli altri? Qui, ogni bambino è curato nelle sue passioni principali, che siano la musica, l’arte o la vita all’aria aperta. Le iscrizioni raddoppiano ogni dodici mesi, «le cifre che in Germania raggiungiamo in un anno – spiega Nana Göbel -, in Cina le tocchiamo in un mese». E’ una silenziosa rivolta politica, anche: «I genitori che hanno studiato all’estero, o magari viaggiano molto, si ribellano ormai all’educazione imposta dal Partito comunista e dalla società cinese. Molti di loro hanno vissuto sulla loro pelle le torture d’un sistema totalitario e oggi non accettano l’aggressività d’una scuola che adesso impone soprattutto nozionismo, competizione, meritocrazia senza valori». Bacchette e bacchettate. La chiamano la più grande macchina di selezione del mondo: lo scopo d’ogni scolaro, fin dal primo anno fra i banchi, è di raggiungere e superare il «gaokao», l’esame universitario che ammette solo il dieci per cento di chi esce dalle superiori. Le famiglie della classe medio-alta sono disposte a svenarsi in lezioni private, pur di spingere i ragazzi negli atenei, e c’è più d’un motivo: ai concorsi internazionali, i giovani cinesi risultano regolarmente primi ai test di matematica o di scienza.
«Tutto questo però comincia ad avere un costo – dice Huang Mingyu, 41 anni, direttore d’una steineriana vicino a Pechino, padre d’una bambina che s’è dovuta ritirare dagli istituti pubblici -. Mia figlia stava male, in quel mondo di concorrenza senza limiti. Molti genitori vedono che, per pochi che ce la fanno, agli altri resta solo la frustrazione. Non vogliamo propaganda e disciplina, non sopportiamo che i testi siano censurati, non scambiamo la libertà con le nozioni. Abbiamo capito che le scuole cinesi non danno risposte alle sfide vere della vita». C’era una volta Tiziano Terzani, corrispondente da Pechino quarant’anni fa, che per i suoi figli rifiutava gli istituti privati per stranieri: preferiva gettarli nella mischia della Rivoluzione culturale, dove potessero capire meglio che cosa li circondava. Oggi, in Cina, andare alle scuole internazionali costa sempre troppo e l’unica alternativa al pubblico è il metodo Waldorf. «Anche da noi si pagano 4.200 euro all’anno – dicono gli steineriani - e nonostante ci siano posti gratuiti per i figli di famiglie povere, la maggioranza non se lo può permettere». Le difficoltà sono molte e naturalmente lo Stato fa di tutto per ostacolare la scelta in istituti dove si prega così: «Il pane viene dal grano, il grano dalla luce, la luce dal volto di Dio…».
Gli stessi insegnanti d’una steineriana sono peggio pagati, perciò difficili da trovare, e chi s’iscrive sa che poi dovrà trovarsi un’università all’estero: «Non è semplice fare questo tipo di studi – dice Zhong Daorans, ex allievo che ha scritto un libro sulla sua esperienza –. Ma è sempre meglio che sopportare le durezze delle scuole di Stato. Dove ti rubano gl’ideali di bambino. I pensieri di liceale. E i sogni d’universitario».



Cina, chiese demolite e croci distrutte


Avvenire

Non solo in medio Oriente. Anche in altri Paesi va avanti, magari in modo più soft e strisciante, la persecuzione dei cristiani. 

In Cina, monsignor Vincenzo Zhu Weifang, vescovo di Wenzhou, ha denunciato il governo dello Zhejiang per le demolizioni forzate delle chiese e la distruzione delle croci dalle chiese protestanti e cattoliche della provincia.

Il vescovo, riferisce AsiaNews, ha diffuso una lettera pastorale con la data del 30 luglio dicendo ai suoi fedeli "di non temere ma di avere fede". E il 31 luglio, anche i suoi sacerdoti hanno chiesto alle autorità di fermare la campagna che va avanti ormai da mesi. Fedeli cristiani, sia protestanti che cattolici, sono stati feriti nel tentativo di fermare la polizia mentre distruggeva chiese e croci.

Monsignor Zhu, 87 anni, nella sua lettera confessa che la campagna di distruzione lo ha sorpreso e spiega che all'inizio non è intervenuto perchè pensava che questa campagna sarebbe finita presto.

Chiede perdono, dunque, ai fedeli per il ritardo del suo intervento. La politica delle demolizioni, sottolinea, è "sbagliata e ingiusta" perchè anche "edifici dentro la norma" sono stati distrutti. Il vescovo nota che la campagna "prende di mira le croci sui tetti delle chiese" come "un segno della fede cristiana".

  Ciò accresce la tensione fra la Chiesa e il governo e causa violenze, distruggendo l'armonia religione-Stato e aumenta l'instabilità sociale. Secondo il vescovo la campagna si sta intensificando. Monsignor Zhu domanda ai fedeli di pregare per il destino della diocesi, offrendo un Rosario al giorno e una Via Crucis ogni venerdì. "Preghiamo - è la sua esortazione - perchè coloro che ci perseguitano possano cambiare".

Il cardinale Parolin: La Chiesa cattolica in Cina è viva


News.va

"La Chiesa cattolica nella Repubblica popolare cinese è viva e attiva. Essa cerca di essere fedele al Vangelo e cammina attraverso condizionamenti e difficoltà”. E’ quanto dichiarato dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, in un'intervista a Famiglia Cristiana alla vigilia del viaggio del Papa in Corea. “La Santa Sede – ha aggiunto Parolin – è a favore di un dialogo rispettoso e costruttivo con le autorità civili per trovare la soluzione ai problemi che limitano il pieno esercizio della fede dei cattolici e per garantire il clima di un'autentica libertà religiosa". Il cardinale Parolin ha inoltre sottolineato come  da una recente indagine sia  risultato che la Chiesa cattolica in Corea, con i suoi numerosi fedeli, sia l'organizzazione religiosa che piu' influisce sulla società locale. 

L’ira del card. Zen sul “dialogo a tutti i costi” di p. Heyndrickx e Propaganda Fide. Mentre Per la Cina il Vaticano ha un nuovo stratega, Mons. Hon,


Per la Cina il Vaticano ha un nuovo stratega, l'arcivescovo Hon

Il nuovo segretario cinese di "Propaganda Fide" espone per la prima volta i suoi giudizi e i suoi piani. Più moderati di quelli del "falco" Zen, ma neppure cedevoli a un "dialogo a tutti i costi" con le autorità di Pechino

di Sandro Magister




ROMA, 4 aprile 2011 – Alla fine della scorsa settimana, quasi nelle stesse ore, due esponenti di peso della Chiesa cattolica, entrambi cinesi, hanno espresso due differenti giudizi sul difficile momento che la Chiesa attraversa in Cina.

Il primo è il cardinale Giuseppe Zen Zekiun, già vescovo di Hong Kong, oggi a riposo ma sempre attentissimo a ciò che accade nel suo paese.

Venerdì 1 aprile il cardinale Zen ha pubblicato su "Asia News", l'agenzia on line del Pontificio Istituto Missioni Estere, un veemente atto d'accusa contro il "triumvirato" che vorrebbe replicare con la Cina la Ostpolitik praticata nel secolo scorso dal Vaticano con i regimi comunisti. Una politica di "dialogo a tutti i costi" – scrive Zen – disastrosa allora e ancor più disastrosa oggi, il cui solo risultato sarebbe di "sprofondare sempre di più i cattolici cinesi nella melma della schiavitù".

Il triumvirato messo sotto accusa da Zen è composto dal cardinale Ivan Dias, prefetto della congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, da un "minutante" della stessa congregazione vaticana, e dal padre Jerome Heyndrickx, celebre sinologo e loro stratega. I tre agirebbero – secondo Zen – sia contro la linea dettata da Benedetto XVI nella sua lettera alla Chiesa in Cina del 2007, sia contro l'opinione della stragrande maggioranza della commissione che il papa ha istituito per seguire la situazione cinese, della quale lo stesso Zen fa parte.

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Il secondo alto dirigente della Chiesa che lo stesso giorno, venerdì 1 aprile, ha preso la parola sul caso della Cina è l'arcivescovo Savio Hon Taifai (nella foto), con un'intervista al quotidiano della conferenza episcopale italiana, "Avvenire", raccolta dal vaticanista Gianni Cardinale.

Monsignor Hon, 61 anni, è il primo cinese arrivato a coprire un incarico superiore nella curia romana. Lo scorso 23 dicembre Benedetto XVI lo ha nominato segretario della congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, che ha competenza su tutti i territori di missione, Cina compresa.

Originario di Hong Kong, alto, fisico asciutto, gioviale, monsignor Hon si definisce un "teologo poco diplomatico".

Infatti, in questa sua intervista, che è la prima da lui data finora, Hon esprime giudizi molto diretti. Senza schivare nessuna questione. Descrive con semplici tratti anche le visioni opposte del cardinale Zen e di padre Heyndrickx. E non nasconde di essere più vicino al primo, pur non seguendolo in tutto.

L'intervista di Hon è riprodotta più sotto. Ma per inquadrarla occorre prima riassumere brevemente ciò che è accaduto negli ultimi mesi tra il governo cinese e la Chiesa cattolica.

Lo scorso 30 marzo è stato ordinato in Cina, a Jiangmen, un nuovo vescovo: Paul Liang Jiansen, 46 anni. La sua nomina è stata "approvata" dalla Santa Sede e contemporaneamente "autorizzata" dalle autorità cinesi.

Tra il 18 aprile e il 15 novembre del 2010 altri dieci vescovi sono stati ordinati in Cina con l'approvazione congiunta di Roma e di Pechino, nelle diocesi di Hohot, Haimen, Xiamen, Sanyuan, Taizhou, Yan'an, Taiyuan, Yuncheng, Nanchang, Zhoucun.

In mezzo, però, il 15 novembre, c'è stata nella diocesi di Chengde un'ordinazione illecita, compiuta cioè per volere del solo governo, senza l'approvazione del papa. Era dal 2006 che non si era più fatta in Cina un'ordinazione episcopale illecita.

E poco dopo, dal 6 all'8 dicembre, le autorità cinesi hanno radunato a Pechino un'assemblea nazionale di rappresentanti cattolici, alla quale hanno partecipato 45 vescovi molti dei quali approvati dal Vaticano, e sono stati eletti i vertici della conferenza episcopale e dell'associazione patriottica: due organizzazioni né l'una né l'altra riconosciute dalla Santa Sede.

Sia l'ordinazione illecita di Chengde, sia l'assemblea di Pechino sono state disapprovate dalla Santa Sede con comunicati molto forti nei toni, del 24 novembre e del 17 dicembre.

Ecco dunque l'intervista di Gianni Cardinale con l'arcivescovo Hon, segretario della congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, ripresa da "Avvenire" del 1 aprile.

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"PURTROPPO È CRESCIUTO IL NUMERO DEGLI OPPORTUNISTI"

Intervista con Savio Hon Taifai



D. – Eccellenza, quali sono state le reazioni alla sua nomina, nella sua patria?

R. – Molto positive a Hong Kong. Ho ricevuto molte congratulazioni anche da comunità e vescovi della Cina continentale. Hanno considerato la mia nomina come un vero e proprio regalo di Natale da parte del Ppapa.

D. – E dal governo cinese e dagli organismi ufficiali della Chiesa?

R. – Nessuna reazione. Forse è meglio così, come si dice in inglese: "no news, good news". Non hanno voluto esprimere nessun giudizio: né positivo, né negativo. Mi sembra un atteggiamento di prudente attesa.

D. – Lei ha viaggiato molto nella Cina continentale. Quando l'ultima volta?

R. – Sono stato a Shanghai dall'8 al 13 dicembre scorso. Proprio in corrispondenza dell'ottava assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi che si è tenuta a Pechino dal 7 al 9 di quel mese.

D. – Che giudizi ha raccolto a riguardo?

R. – Gli amici e gli studenti con cui ho parlato erano tutti molto critici. Può essere comunque che qualcuno era favorevole, ma non voleva dirlo davanti a me. Ho parlato pure con quelli che sono tornati da Pechino. Anche loro, con me, erano critici. E dicevano che avevano subito enormi pressioni per partecipare.

D. – In quella occasione la Santa Sede ha emanato un comunicato molto duro...

R. – Sì. Devo dire però che non tutti i partecipanti erano stati costretti a farlo. C'è chi lo ha fatto spontaneamente, come spontaneamente aderisce alla politica di "autonomia" della Chiesa cinese dal papa e dalla Santa Sede.

D. – Anche tra i vescovi?

R. – Purtroppo anche tra i vescovi, anche tra quelli riconosciuti da Roma. A Pechino non pochi di loro si sono precipitati dal nuovo vescovo di Chengde, consacrato illecitamente poche settimane prima, per congratularsi con lui, per fare fotografie con lui, e questo non erano obbligati a farlo. Insomma: a questa assemblea hanno partecipato 45 vescovi, di un età media inferiore ai 50 anni. Alcuni di loro sono stati portati a forza, altri no.

D. – E quali conclusioni trae da questa constatazione?

R. – Che, purtroppo, è cresciuto il numero degli opportunisti.

D. – E qual è la causa?

R. – Una mancanza di formazione adeguata nel clero. Ma anche qualche lacuna nella scelta dei candidati all'episcopato. A volte non sono stati promossi i migliori, ma si sono preferite nomine di compromesso. Ormai da un po' di anni, infatti, i governanti cinese hanno compreso che i vescovi illegittimi non saranno mai accettati veramente dai fedeli, e così preferiscono lavorare affinché sacerdoti ligi alle loro indicazioni vengano consacrati vescovi con il "placet" della Santa Sede.

D. – Quindi lei ritiene che sia necessaria una migliore formazione dei candidati al sacerdozio e un più attento discernimento da parte della Santa Sede nella scelta dei candidati all'episcopato. Questo vuol dire che negli ultimi anni non è stato sempre così?

R. – Non è solo una mia opinione. Spesso in Cina continentale ho sentito lamentele di fedeli e sacerdoti per scelte episcopali di compromesso. Devo aggiungere però che la Santa Sede ha sempre avuto, giustamente, la preoccupazione di evitare ordinazioni illegittime.

D. – Ed è difficile trovare l'equilibrio tra questa esigenza e quella di evitare ordinazioni legittime ma di compromesso.

R. – In effetti è così. Scegliere buoni candidati è difficile. Il governo ritiene che nel presentare elenchi di candidati accettabili dal suo punto di vista, fa già una grande concessione. E se la Santa Sede rifiuta di dare il "placet", allora minaccia di farli consacrare comunque...

D. – Come è successo lo scorso novembre a Chengde.

R. – Sì, per me quello è stato un messaggio chiaro, il governo ha voluto dire: a casa mia comando io. Un segnale che ci ha fatto quasi ritornare agli anni Cinquanta, come se alcuni cenni di dialogo che pure si sono registrati non ci fossero mai stati.

D. – Come ricominciare questo dialogo?

R. – Il governo cinese ha funzionari molto preparati e abili nel negoziare e così devono essere anche gli interlocutori della nostra parte. Prima di tutto però bisognerebbe capire se il governo ha veramente voglia di trovare un accordo con la Santa Sede oppure no.

D. – Su questo, e su altro, divergono le opinioni di due grandi conoscitori della Cina: il cardinale Joseph Zen e il padre Jerome Heyndrickx. Lei come valuta questo dibattito?

R. – Padre Heyndrickx fa due premesse. La prima è che il governo cinese ha buone intenzioni, compresa quella di firmare un accordo con la Santa Sede. La seconda è che dopo la lettera del Papa ai cattolici cinesi del 2007 le cosiddette comunità clandestine non hanno più ragione di esistere. Dall'altra parte il cardinale Zen, che conosce molto bene la realtà e la mentalità cinese, non ha molta fiducia nelle autorità comuniste. Lui ritiene, a ragione, che se il governo vuole suscitare questa fiducia deve compiere degli atti concreti che però finora non si sono visti. Ad esempio, dare la libertà alla Chiesa di scegliere i propri vescovi. Inoltre il cardinale Zen, e io con lui, ritiene che le comunità clandestine hanno ancora ragione di esistere.

D. – Un'ultima domanda. Perché per i vescovi ordinati illecitamente e per i loro consacranti non è stata dichiarata la scomunica?

R. – In realtà per chi riceve e per chi compie una ordinazione illegittima è prevista la scomunica immediata. Ci possono essere però degli elementi attenuanti, per chi ad esempio è forzato ad avere un ruolo in questi atti. Credo che la Santa Sede, prima dichiarare pubblicamente la scomunica, stia indagando i singoli casi per verificare queste attenuanti. Ma si tratta di un processo comprensibilmente delicato e lungo.

D. – Qual è il suo giudizio su questi vescovi illegittimi?

R. – Ci sono casi di candidati che si fanno consacrare vescovi illecitamente con il retropensiero che nel giro di poco tempo, su loro implorazione, la Santa Sede concederà il perdono e piena legittimità. Bisogna stare attenti a contrastare questo tipo di calcoli. Detto questo però bisogna sempre tener presente che la Chiesa è il Corpo di Cristo e se c'è un pezzettino di questo Corpo che si sta staccando non bisogna lasciarlo andare ma cercare di recuperarlo con giustizia ma anche con misericordia.



L’ira del card. Zen sul “dialogo a tutti i costi” di p. Heyndrickx e Propaganda Fide

di Card. Joseph Zen Zekiun, sdb


Lo “stato disastroso” della Chiesa in Cina è causato dalla politica di Pechino, ma anche dalla politica vaticana, troppo simile alla fallimentare Ostpolitik del card. Casaroli. Attuare il dialogo, ma senza svendere la nostra fede. Rischio di scisma per quei vescovi che sono “entusiasti” nell’ubbidire al regime. Uno spirito di penitenza e conversione per tutti.

Hong Kong (AsiaNews) – La Chiesa in Cina è in uno “stato disastroso” a causa della durezza del regime, ma anche perché un “triumvirato” (il Prefetto di Propaganda Fide, un suo minutante, e il p. Jeroom Heyndrickx, missionario di Scheut, loro consigliere) continuano a spingere il Vaticano al compromesso con il regime cinese, sul modello della Ostpolitik del card. Casaroli. È questo atteggiamento che ha portato molti vescovi della Chiesa ufficiale a partecipare all’ordinazione illecita di Chengde (20/11/2010 Chengde: otto vescovi uniti al papa partecipano all’ordinazione illecita) e all’Assemblea nazionale dei rappresentanti cattolici (09/12/2010 L’Assemblea patriottica cinese vota la sua leadership. Un grave danno per la Chiesa), in netta disubbidienza con le indicazioni di Benedetto XVI. Secondo il vescovo emerito di Hong Kong, è necessario che la Santa Sede dia indicazioni precise alla Chiesa in Cina per evitare una situazione di scisma, in cui molti vescovi ufficiali ubbidiscono “entusiasti” al governo cinese e non al papa.
Il card. Zen svolge le sue argomentazioni nello scritto che ci ha fatto giungere, in risposta a una riflessione di p. Jeroom Heyndrickx, pubblicato nel n. 16 di marzo 2011 della Ferdinand Verbiest Update. In essa, il sacerdote belga, esperto della Chiesa in Cina, sottolinea il fatto che nonostante “lo schiaffo” al papa con l’ordinazione di Chengde e con l’Assemblea di Pechino, occorre proseguire con il dialogo con il governo cinese e non giudicare in modo pesante i vescovi, non lasciandosi trascinare da “fraintendimenti” sulla loro fedeltà “nonostante le molte violazioni alle leggi canoniche”. (cfr. Verbiest Update 16 - March 2011).
Ecco quanto scrive il card. Joseph Zen.
Risposta del Cardinale Zen al N. 16 dell Ferdinand Verbiest Update
Come già altre volte, il Padre Jeroom Heyndrickx sceglie tra i Papi e li contrappone gli uni agli altri. In questo caso, contrappone Papa Paolo VI a Papa Pio XI, in quanto Papa Paolo sarebbe per il dialogo, mentre Pio XI amava il confronto.
Il dialogo
Voglio ricordare al buon Padre Heyndrickx che c’è dialogo e dialogo: una cosa è quando un Papa parla a tutti sul grande principio del dialogo, un’ altra cosa è quando un Papa parla a coloro che stavano uccidendo crudelmente i suoi figli.
Venendo al caso nostro, mi domando: Dobbiamo cercare parole dolci per parlare a coloro che hanno dato uno schiaffo al nostro amato Santo Padre? Che cosa hanno significato i fatti di fine novembre ed inizio dicembre se non uno schiaffo al Papa?
Il dialogo è certamente la via maestra, ma purtroppo qualcuno ha sbattuto la porta del dialogo in faccia all’interlocutore fin troppo conciliante.
Ostpolitik
Il Padre Heyndrickx è entusiasta della Ostpolitik del Cardinale Casaroli ed afferma che il Papa Paolo VI lo aveva fortemente sostenuto. Non so quanto Papa Paolo VI avesse appoggiato la politica di Casaroli per l’Europa Est, ma so, da persona autorevolissima, che quando Giovanni Paolo II divenne Papa, disse “Basta!” a quella politica.
Il Cardinale Casaroli ed i suoi seguaci si illudevano di aver operato miracoli, perseguendo una politica di compromesso ad oltranza, in realtà hanno fatto pace, sì, con i Governi totalitari, ma causando un disastroso indebolimento della Chiesa. Basta ascoltare qualche ecclesiastico di quei paesi. Uno di essi mi racconta che un giorno il Cardinale Wyzinsky è andato a Roma a dire a qualche ufficiale della Curia Romana perché togliessero le mani dalla Chiesa di Polonia.
Padre Heyndrickx cerca di tirare dalla sua parte Papa Giovanni Paolo II, lodando la sua moderazione, ma dimentica il fatto che è stato proprio Papa Giovanni Paolo II a dare il via per la canonizzazione dei martiri in Cina, sapendo benissimo che avrebbe suscitato le ire di Pechino e, come Padre Heyndrickx stesso riconosce, il Papa non ha chiesto scusa per tale canonizzazione.
Ma veniamo alla nostra Chiesa in Cina oggi.
La Chiesa in Cina
La nostra Chiesa in Cina è stata ridotta ad uno stato disastroso proprio perché in questi ultimi anni qualcuno ha ciecamente e cocciutamente perseguito quella stessa politica dell’Ostpolitik contro la direzione data da Papa Benedetto nella sua Lettera alla Chiesa in Cina del 2007 e contro l’opinione della stragrande maggioranza della Commissione che il Papa ha istituito per dare consigli su come aiutare la Chiesa in Cina.
Il dialogo ed il compromesso sono necessari. Ma c’è una linea di fondo. Non possiamo, per compiacere il Governo di Pechino, rinunciare alla nostra fede ed alla nostra essenziale disciplina ecclesiastica.
Papa Benedetto nel 2007 ha giudicato che era venuto il momento della chiarezza. E la Commissione per la Cina ha creduto che fossimo arrivati al fondo del compromesso e bisognasse fermarci. Ma il triumvirato – Prefetto della CEP, un minutante della stessa, ed il Padre Heyndrickx – credono di saperla più lunga di tutti noi.
Certo, la Chiesa della Polonia era forte e coraggiosa. Non così la nostra Chiesa in Cina. Ed il coraggio non se lo può dare chi non ce l’ha. I nostri vescovi avevano bisogno di essere spronati al coraggio. Invece qualcuno ha sempre mostrato loro una errata compassione che ha finito per sprofondarli sempre di più nella melma della schiavitù.
Qualcuno ha detto a quei nostri fratelli: “Noi comprendiamo le vostre difficoltà.” Il che vuol dire “Noi vi comprendiamo, anche se per la pressione a cui siete soggetti obbedite agli ordini del Governo.” Ma in questo caso, obbedire al Governo vuol dire mancare gravemente alla fedeltà dovuta al Papa ed alla comunione con la Chiesa universale!
Dopo l’ordinazione di Chengde e l’Ottava Assemblea, qualche vescovo coinvolto ha chiesto perdono ai suoi sacerdoti. Qualche altro ha pianto amaramente. Ma ci sono altri, che, come dice Padre Heyndrickx, sono entusiasti della attuale situazione. Questi temo che non siano più dei nostri. È solo la bontà del Papa a non chiamare scismatica la presente Chiesa ufficiale in Cina che ha dichiarato solennemente di volere essere una Chiesa indipendente con ordinazioni episcopali senza il mandato pontificio.
Alla ricerca dei colpevoli
Il Padre Heyndrickx comodamente scarica la responsabilità su non meglio specificati “elementi conservatori del Partito Comunista Cinese”. Certamente il Partito è responsabile. Ma tutti vedono anche che il grande artefice è stato il Sig. Liu Bai Nian, il quale è riuscito a mettere a capo della Associazione Patriottica e della Conferenza Episcopale due vescovi a lui succubi, e ora, anche come Presidente Onorario, va al lavoro diligentemente ogni giorno.
Non capisco perché quando si parla di disobbedienze e di meritati castighi, il Padre Heyndrickx debba tirare in ballo anche la comunità non ufficiale. Quali sono gli atti che giustificano la messa alla pari di questi nostri fratelli perseguitati con quegli altri onorati ed esaltati dal Governo?
Tra quei “politici che cercano di dividere la Chiesa” e quelli “fuori della Cina che si affrettano a giudicare”, si trova evidentemente il sottoscritto. Questi ha il torto di aver indetto una riunione di preghiera in spirito di penitenza e conversione. Ci tengo a precisare, però, che tutti noi eravamo esplicitamente inclusi tra quelli che hanno bisogno di pentirsi e convertirsi.
Mentre discutiamo su chi siano i colpevoli, tutto resta fermo ed i fedeli in Cina aspettano invano delle chiarificazioni su come deve essere ancora la nostra Chiesa. Ogni giorno che passa è un eternità per i loro dolori. Quando finalmente il Signore esaudirà le loro suppliche?

Cina, i danni della legge sul figlio unico e il “rischio collasso”

Il governo ha presentato una rilevazione di prova (in attesa dei dati del censimento nazionale) che mostra un aumento della popolazione rispetto al 2010. Ma gli esperti avvertono: “Si tratta di persone più vecchie, non di nuovi nati”. La legge sul figlio unico – una “Tiananmen che avviene ogni ora” – rischia di distruggere la stabilità sociale.

Pechino (AsiaNews) - La popolazione cinese ha raggiunto 1,34 miliardi di unità, con un aumento rispetto al 2010 pari a 6,3 milioni di persone. Lo ha annunciato l’Ufficio nazionale di statistica, che ha presentato i dati di una rilevazione di prova e quindi non definitiva.
L’attesa è per i prossimi mesi, quando Pechino renderà pubblici i risultati del grande censimento nazionale compiuto nello scorso anno in tutto il Paese. Si tratta della prima indagine demoscopica ordinata negli ultimi 10 anni.
In ogni caso, i dati presentati rilanciano la discussione in Cina sulla validità della legge sul figlio unico. Lanciata nel 1979, essa impone alle coppie urbane di avere un solo figlio; quelle rurali possono arrivare a due, ma soltanto in alcuni casi decisi dalle autorità.
Secondo Deng Xiaoping, che l’ha lanciata, essa è indispensabile per tenere sotto controllo la sovrappopolazione ma – applicata con metodi brutali, aborti forzati e violenze diffuse – è stata più volte denunciata da dissidenti interni e criticata persino da una parte della classe politica.
Chai Ling, ex leader della rivolta del 1989 che da anni lavora contro gli aborti mirati contro le bambine e gli aborti forzati in genere, definisce la legge “una Tiananmen che si verifica ogni ora, un massacro mirato che il mondo può e deve fermare prima che sia troppo tardi”.
Oltre al dramma relativo ai diritti umani, la legge sul figlio unico rischia di far crollare il sistema-Paese della Cina. Con l’invecchiamento progressivo della popolazione e la mancanza di forza lavoro giovane, infatti, il rischio è quello di vedere il collasso del sistema pensionistico interno.
Inoltre va considerato un fattore sociale, che condanna all’aborto quasi sempre feti femminili in nome della tradizionale supremazia dei maschi. Al momento, ci sono circa 40 milioni di uomini che non hanno (e non avranno mai) alcuna possibilità di sposarsi e mettere su famiglia.
Secondo Cai Yong, docente all’Università della North Carolina ed esperto della popolazione cinese, “i dati in crescita sono attribuiti all’aumento dell’aspettativa di vita interna. I cinesi vivono di più, non è che facciano più figli. Se Pechino vuole una società stabile, deve iniziare da oggi a eliminare la legge sul figlio unico: ci vogliono 20 o 30 anni per avere una nuova generazione in grado di aiutare il sistema, e si sta facendo tardi”.


Le due eresie della Cina. Vittorio Messori


Diceva Napoleone a Sant’Elena: «Quando la Cina si sveglierà il mondo tremerà». Negli anni’70 il critico francese Alain Peyrefitte riprese questa previsione in un libro che si chiamava proprio Quando la Cina si sveglierà. Ricordo che appena uscì molti scossero il capo dicendo che fosse pura utopia.

In realtà oggi vediamo come la Cina si sia svegliata davvero. È diventata il maggior esportatore del mondo e detiene la maggioranza del debito pubblico americano: gli Stati Uniti sono il paese più indebitato del mondo, se la Cina si rifiutasse di comprare i loro buoni del tesoro gli Usa dichiarerebbero bancarotta.

La Cina oggi è un posto terribile, forse il peggiore dal mondo. In politica persiste un ipocrita comunismo, per cui i ritratti di Mao continuano a campeggiare sugli edifici pubblici. E in economia predomina un liberismo selvaggio da Europa dell’800: un liberismo senza leggi, senza sindacati per cui i cinesi sono ancora degli schiavi al servizio di una spaventosa crescita economica.

La Cina ha un miliardo e 300 milioni di abitanti. Il Cristianesimo è marginale, riguarda solo pochi milioni di individui e tra l’altro, come sappiamo, la Chiesa cattolica è stata divisa in due: lo Stato ha voluto rifondare una Chiesa allineata. Eppure anche in Cina ha vinto l’Occidente, e quindi in qualche modo ha vinto l’eredità cristiana.

Oggi infatti la Cina è dominata da due eresie di derivazione biblica. Da una parte il marxismo in politica non è altro che il giudeo-cristianesimo secolarizzato. E dall’altra, il liberismo cinese non è altro, in fondo, che l'attuazione esasperata della parabola evangelica dei talenti da trafficare.

In Occidente abbiamo tuttora degli eccentrici che seguono le dottrine orientali, il confucianesimo, il buddismo tibetano o l’induismo. Ma in realtà l’Oriente vero si è occidentalizzato e quindi in qualche modo cristianizzato. Ha vinto un giudeo-cristianesimo stravolto, mutilato. E tuttavia malgrado lo stravolgimento il messaggio di Gesù ha agito da lievito. Il mondo anche nei suoi drammi moderni ha in fondo delle radici cristiane.

(testo raccolto dalla redazione e non rivisto dall’autore)


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Cina: la cattedrale di Pechino ritorna al suo originario splendore del 1887

La cattedrale di Pechino, dedicata a san Salvatore (è stata chiamata spesso Bei Tang o la chiesa di Xi shi ku), ritorna al suo antico splendore del 1887, e ritornerà anche ad essere il centro della vita della comunità cattolica di Pechino. Secondo quanto riferito all'agenzia Fides da fonti locali, il lavoro di restauro del complesso (di circa 7,000 mq) della chiesa più grande di Pechino, che è anche monumento nazionale, è durato due anni ed è terminato ufficialmente il 23 ottobre 2010, con un investimento di 30 milioni di Yuan, circa 6 milioni di euro. La sua origine risale al 600, quando, l'imperatore Kang Xi guarito dalla malaria grazie ai farmaci occidentali offerti dai missionari gesuiti padre Jean de Fontaney (1643-1710) e padre Claude de Visdelou (1665-1737), per ricompensarli donò loro un terreno vicino alla Città Proibita per costruire la chiesa e altri edifici. Inaugurata il 9 dicembre 1703, viene dedicata a san Salvatore con un Osservatorio e Biblioteca. Con lo scioglimento dei gesuiti, la chiesa passò nella mani dei padri lazzaristi nel 1773. Durante la persecuzione del 1827 venne distrutta e ricostruita nel 1860, sempre nelle vicinanze della Città Proibita, e dal qual momento divenne anche cattedrale. Con l'ampliamento del palazzo imperiale, la chiesa e il suo complesso (vescovado, seminario, orfanotrofio, convento) sono stati spostati di qualche centimetro verso ovest, ma con una spazio più grande. Durante la rivoluzione di Box, il campanile è stato distrutto, ma la cattedrale è stata il rifugio di oltre 3 mila cattolici grazie al coraggioso vescovo mons. Pierre Marie Alphonse Favier. Fino al 1949, vi hanno vissuto 8 vescovi diocesani, compreso il primo cardinale cinese Tomasso Tian Geng Xin (1946-1949). Nel corso della rivoluzione culturale cinese, la cattedrale è stata colpita gravemente come l'intera comunità cattolica cinese. E' stata ricostruita il 12 febbraio 1985 ed inaugurata a Natale dello stesso anno. Due anni fa, è iniziato il suo più grande restauro dell'ultimo secolo con investimento di denaro senza precedenti. (R.P.)

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Obligan a abortar a una mujer china embarazada de ocho meses por violar la ley que permite tener un solo hijo

(Agencias/InfoCatólica) Según la denuncia, que publica hoy The Guardian en su página web, los policías de planificación familiar informaron a la pareja de que no tenían permiso para tener un segundo hijo.

Desde hace 30 años, el Gobierno chino ha impuesto un límite a la mayoría de parejas urbanas para que no puedan tener más de un hijo. El objetivo es frenar el crecimiento desmesurado de la población, que cuenta ya con más de 1.300 millones de habitantes. En los últimos meses, sin embargo, esta política se ha flexibilizado.

Un oficial del distrito Siming miembro de la comisión de planificación familiar ha confirmado a The Guardian que existe un registro de la mujer de Luo, Xiao Aiying. No obstante, señala que el aborto fue voluntario y que estaba embarazada de seis meses en lugar de ocho.

Además, asegura que Luo aprobó el aborto de su esposa, algo que el interesado ha desmentido. “Jamás he firmado papel alguno. Nadie de mi familia lo ha hecho”.

Luo tiene un blog en el que ha informado de todo lo sucedido.

CINA Nobel a Liu Xiaobo, continua la repressione contro i dissidenti

La polizia costringe ai domiciliari attivisti e blogger, e chiude siti internet scomodi per il governo. Riappare Liu Xia, moglie del Nobel, ma soltanto su Twitter. Spariti anche Bao Tong e Ding Zilin, “padri nobili” della dissidenza cinese.

Pechino (AsiaNews) – Continua senza sosta la repressione del governo cinese nei confronti di coloro che, in qualche modo, sono collegati al premio Nobel per la pace Liu Xiaobo. Dopo la prima ondata di arresti, immediatamente successiva alla proclamazione della vittoria del dissidente cinese – docente universitario e autore del manifesto democratico Carta 08 – Pechino ha iniziato a mettere a tacere le voci contrarie al regime comunista. Lo scorso 12 ottobre è stato chiuso di imperio il famoso sito 1984bbs.com.
Il sito era più che altro un forum di discussione libero, che pubblicava anche notizie censurate nel resto del Paese. Il fondatore del sito, il “Segretario Zhang”, è dallo scorso 8 ottobre sotto la custodia della polizia. Secondo un messaggio inviato proprio da lui via Twitter il 19 ottobre, potrebbe tornare presto a casa. In ogni modo, per proteggere la sua famiglia, il cyber-dissidente ha rifiutato ogni richiesta di intervista e non ha intenzione di parlare della detenzione cui è sottoposto.
Gli agenti in borghese, sempre il 19 ottobre, si sono presentati anche nella casa di Jinan (nello Shandong) dell’attivista democratica Hou Zonglan: accusandola di aver organizzato delle celebrazioni in onore di Liu Xiaobo le hanno presentato un avviso di garanzia. Tutte queste denunce sono riportate dal Chinese Human Rights Defender, organizzazione non governativa che registra il rispetto dei diritti umani in Cina.
Fra le vittime di questa campagna c’è anche Liu Xia, moglie del Nobel, a cui le autorità avrebbero tagliato la connessione a internet. La donna, che non ha accuse penali pendenti, è sottoposta a un regime illegale di arresti domiciliari sin da quando il marito ha vinto il Premio. L’ultimo contatto con il mondo esterno è del 18 ottobre, quando ha scritto su Twitter: “Sono io… Non vi preoccupate”.
Nel mirino anche Ding Zilin, leader delle “Madri di Tiananmen”, che dal 7 ottobre risulta sparita insieme al marito. Spariti anche Jiang Qisheng e Bao Tong, ex segretario personale e amico dell’ex Segretario comunista Zhao Ziyang, epurato per essersi opposto al massacro di piazza Tiananmen.
Diversi altri attivisti sono tenuti sotto sorveglianza o costretti ai domiciliari (v. AsiaNews.it, 13/10/2010 Il Nobel a Liu Xiaobo e la repressione contro gli altri dissidenti). A Pechino, oggi, la polizia piantona l’abitazione dello scrittore Yu Jie e quella dell’attivista per i diritti umani Zhang Hui. Altri, inclusi nella lista del Chinese Human Rights Defender, preferiscono non essere citati.

“Grande gioia” per il card. Zen a Shanghai, per la prima volta dopo 6 anni

di Zhen Yuan
Il vescovo emerito di Hong Kong visita la sede dell’Expo, dove incontra il vescovo Jin Luxian e il suo ausiliare, mons. Xing Wenzhi, che ha studiato nello stesso seminario del cardinale, quello del santuario mariano di Sheshan. L’incontro fra i vescovi “condizionato dal terribile sistema cinese”. Il ricordo di Liu Xiaobo.

Hong Kong (AsiaNews) – Il vescovo emerito di Hong Kong, card. Joseph Zen Ze-kiun, ha visitato in maniera “pubblica” Shanghai l’11 e il 12 ottobre scorso. Per la prima volta dopo sei anni, il porporato ha potuto recarsi nella sua terra di orogine. Una visita “piena di gioia” per il presule, che ha visitato l’Expo ed è andato a trovare il vescovo della città, il 95enne mons. Aloysius Jin Luxian, e il suo ausiliare mons. Joseph Xing Wenzhi.

Entrambi i presuli sono proprio di Shanghai: il card. Zen sottolinea ad AsiaNews che il secondo, 47 anni, “ha studiato nel seminario di Sheshan, quello dove ho studiato anche io”. Sheshan si trova alla periferia di Shanghai e ospita il santuario mariano più importante della Cina.

“Aver incontrato dopo tanti anni due fratelli nel Signore – ha detto il card. Zen adAsiaNews – mi ha dato una grande gioia”. Tuttavia, scrive il vescovo del Territorio, “ricordando l’incontro con questi due fratelli mi fa pensare a una mosca nella pomata. Siamo grandi amici, ma sapevamo che c’erano parole che non potevano essere pronunciate e argomenti ‘sensibili’ che non potevano essere affrontati, perché il ‘sistema’ non lo vuole”.

Questo sistema, scrive ancora il vescovo, “è terribile! È divenuto un muro nei cuori delle persone e un lucchetto sopra le loro bocche. Non siamo forse adulti patrioti? Ma non possiamo parlare degli affari nazionali. Non siamo forse leader cattolici? Ma non possiamo discutere delle prospettive della Chiesa”.

In conclusione, mons. Zen si è chiesto “quando il popolo cinese potrà avere la libertà di aprire il proprio cuore e dire la verità” e ha chiesto al Signore di dare anche alla gente di Chiesa “la forza spirituale di Liu Xiaobo, vincitore del premio Nobel per la pace”.


Liu Xiaobo, il Nobel giusto

Onore ai giurati di Oslo che non hanno accettato il ricatto cinese

di Nicoletta Tiliacos

Onore al merito dei giurati del Nobel per la Pace, che dopo una lunga serie di scelte politicamente corrette hanno premiato ieri il dissidente cinese Liu Xiaobo, per il quale ieri il presidente americano Obama, oltre alla Francia e alla Germania hanno chiesto la liberazione.
Cinquantatré anni, scrittore, tra i principali promotori di Carta 08, manifesto per la democrazia in Cina, condannato a undici anni di detenzione per “istigazione alla sovversione” il giorno di Natale del 2009, nella speranza che la notizia passasse inosservata sulla stampa internazionale. In precedenza, dopo Tienanmen, Liu Xiaobo aveva passato venti mesi in prigione, e nel 1996 era stato condannato a tre anni di campo di rieducazione al lavoro. Onore al merito del comitato per il Nobel, dunque, anche perché la scelta di Liu Xiaobo arriva nonostante le fortissime pressioni contrarie di Pechino, che aveva promesso gelo nelle relazioni con la Norvegia se il comitato avesse confermato l’orientamento trapelato nelle scorse settimane.
Pechino ha subito convocato l’ambasciatore della Norvegia e il ministro degli Esteri cinese, che ha definito il premio al dissidente “un’oscenità”, ha ribadito che “Liu Xiaobo è un criminale condannato dal sistema giudiziario cinese perché ha infranto le leggi”. La polizia ha intanto l’incarico di pattugliare la casa di Liu Xiaobo, per impedire che la moglie possa essere intervistata (lo ha fatto la Bbc, prima di essere interrotta). Nella motivazione del Nobel, si fa riferimento all’articolo 35 della Costituzione cinese, il quale “stabilisce che i cittadini godono delle libertà di associazione, di assemblea, di manifestazione e di discorso”. Libertà di carta straccia, che “in realtà non vengono messe in pratica”. Per oltre vent’anni, “Liu è stato un grande difensore dell’applicazione di questi diritti”. Con Carta 08 (che si richiama al famoso manifesto della dissidenza cecoslovacca: non a caso a proporre Liu Xiaobo per il Nobel è stato l’ex presidente ceco Václav Havel, promotore di Charta ’77), egli “ha costantemente sottolineato questi diritti violati dalla Cina.
La campagna per il rispetto e l’applicazione dei diritti umani fondamentali è stata portata avanti da tanti cinesi e Liu è diventato il simbolo principale di questa lotta”. Carta 08 chiede il riconoscimento della libertà e di valori come “l’integrità, dignità, libertà di ogni persona”. Diritti milioni di volte calpestati nella Cina lanciata nella corsa alla ricchezza, che unisce sfruttamento senza limiti e abissale disprezzo per la vita umana. E’ la Cina dei campi di rieducazione, dei manicomi per i dissidenti, degli aborti forzati per chi viola la regola del figlio unico, della limitazione della libertà religiosa, di stampa, di espressione. Se la comunità degli attivisti democratici cinesi saluta con gioia e speranza il Nobel al dissidente, all’occidente tocca ora onorare quella scelta.

«Il Foglio» dell'8 ottobre 2010

CINA Il “successo” e i fallimenti della legge sul figlio unico

di Bernardo Cervellera
La famigerata legge ha 30 anni. Ha fermato la nascita di almeno 400 milioni di bambini. È fonte di violenze, aborti, sterilizzazioni forzate, ingiustizie. E mostra i suoi problemi: l’invecchiamento della popolazione; la mancanza di manodopera; lo squilibrio fra maschi e femmine.

Roma (AsiaNews) - La legge cinese del figlio-unico ha ormai 30 anni. Essa è stata varata nello stesso periodo in cui Deng Xiaoping lanciava le quattro modernizzazioni, che hanno permesso al Paese di fare passi da gigante nello sviluppo economico. Secondo i capi del Partito il controllo sulla popolazione è l’ennesimo “successo” della Cina e come tale viene sbandierato in tutti i congressi internazionali.
La legge del figlio unico ha infatti bloccato la nascita di 400 milioni di bambini e ha permesso un maggiore arricchimento delle famiglie, una riduzione delle spese statali sulla sanità e gli alloggi, una programmazione del futuro con meno incognite. Eppure non sono poche le voci in Cina che definiscono la legge del figlio unico un vero fallimento che mostra ormai le sue crepe.
La legge proibisce alle coppie di avere più di un figlio (ne possono avere 2 le famiglie contadine se la prima è femmina, oppure le minoranze etniche) e punisce con gravi sanzioni pecuniarie e discriminazioni sul lavoro chi viola il divieto. Grazie a un’organizzazione capillare che si basa sul controllo di oltre 80 milioni di impiegati, ad ogni provincia, città, villaggio viene fissata una quota annuale di nuove nascite. Per rispettare la quota i rappresentanti dell’Ufficio per la popolazione ricorrono ad aborti forzati (anche al nono mese), sterilizzazione delle donne e dei maschi, enormi multe fino a uno-due anni di salari annuali per chi ha un secondo figlio. La storia della Cina contemporanea è piena di racconti terribili di bambini soffocati appena nati perché fuori della quota; di genitori torturati perché impossibilitati a pagare la multa; di rapimenti di donne per costringerle alla sterilizzazione.
Il governo cinese si difende dicendo che ormai esso “convince” a non avere più di un figlio, con incentivi economici e che la legge non è più imposta con la forza. Ma le cronache smentiscono. Solo un mese fa AsiaNews ha pubblicato la notizia che una donna di 23 anni, Li Hongmei, è stata rapita e portata di forza all’ospedale per la sterilizzazione. La sua colpa è avere avuto una bambina fuori delle quote fissate. Secondo il China Daily, in Cina si praticano ogni anno – ed è una stima per difetto – almeno 13 milioni di aborti, tutti in funzione della contraccezione. Chai Ling, l’eroina di piazza Tiananmen, ora rifugiata negli Stati Uniti e divenuta cristiana, ha definito i frutti della legge del figlio unico “un massacro di Tiananmen” quotidiano.
A questa va aggiunta una piaga conseguente: la preferenza per il figlio maschio – soprattutto per i contadini – che porta spesso i genitori a praticare l’aborto selettivo contro i feti femminili. L’Organizzazione mondiale della sanità ha calcolato che dagli anni ’80 almeno 20 milioni di donne sono scomparse dalla Cina, invertendo la proporzione fra maschi e femmine, tanto da far aprire un nuovo ramo di commercio: acquistare spose-bambine, rapire e vendere donne, ecc. Vi è perfino un traffico di donne dalla Nordcorea, che vengono smerciate in Cina per soddisfare i sogni matrimoniali e sessuali dei locali.
Che la legge dei figlio unico sia un lento suicidio della popolazione è ormai evidente a molti: essa comincia a minare le fondamenta la crescita economica cinese. Anzitutto perché la popolazione invecchia in modo molto veloce. Secondo il ministro del Lavoro e quello della Sicurezza sociale, entro il 2030 il 23% della popolazione avrà più di 60 anni. Si tratta di 351 milioni di nuovi pensionati, che andranno a gravare sulle casse dello Stato. Di conseguenza, aumenterà anche la percentuale del numero di cittadini non lavoratori a carico degli altri. Al momento, il rapporto è di 3 lavoratori per 1 pensionato; fra 20 anni, arriverà a 2 per 1; nel 1975 la proporzione era di 7,7 a 1.
Ma ci sono problemi anche per la manodopera, che in un Paese da 1 miliardo e 300 milioni di abitanti inizia a scarseggiare. Finora lo sviluppo cinese si è basato sulle fiumane di giovani provenienti dalle campagne, pronti a lavorare per pochi euro al mese. Ma ormai i giovani scarseggiano e le fabbriche fanno fatica a raccogliere operai. Ciò è sentito soprattutto nella “cinta d’oro” della provincia del Guangdong (la più industrializzata) e nella ricca Shanghai. Proprio per questo i deputati di Canton e Shanghai continuano a chiedere di cambiare la legge, per permettere alle coppie di avere almeno due figli.
Alcune voci ancora non confermate dicono che il governo voglia lanciare un progetto pilota in cinque province in cui togliere la legge e studiare gli effetti. Finora però, a tutte le richieste di scienziati e demografi, Pechino ha sempre risposto esaltando il grande successo di aver privato la vita a 400 milioni di persone.