DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Papa Francesco: Occorre avere il coraggio di fare una pastorale evangelizzatrice audace e senza timori



DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO INTERNAZIONALE
DELLA PASTORALE DELLE GRANDI CITTÀ
Sala del Concistoro
Giovedì, 27 novembre 2014




Nella Evangelii gaudium ho voluto richiamare l’attenzione sulla pastorale urbana, ma senza opposizione con la pastorale rurale. Questa è un’ottima occasione per approfondire sfide e possibili orizzonti di una pastorale urbana. Sfide, cioè luoghi in cui Dio ci sta chiamando; orizzonti, cioè aspetti ai quali credo che dovremmo prestare speciale attenzione. 

Prima, forse la più difficile: attuare un cambiamento nella nostra mentalità pastorale. Si deve cambiare!

Nella città abbiamo bisogno di altre “mappe”, altri paradigmi, che ci aiutino a riposizionare i nostri pensieri e i nostri atteggiamenti. Non possiamo rimanere disorientati, perché tale sconcerto ci porta a sbagliare strada, anzitutto noi stessi, ma poi confonde il popolo di Dio e quello che cercano con cuore sincero la Vita, la Verità e il Senso.

Veniamo da una pratica pastorale secolare, in cui la Chiesa era l’unico referente della cultura. E’ vero, è la nostra eredità. Come autentica Maestra, essa ha sentito la responsabilità di delineare e di imporre, non solo le forme culturali, ma anche i valori, e più profondamente di tracciare l’immaginario personale e collettivo, vale a dire le storie, i cardini a cui le persone si appoggiano per trovare i significati ultimi e le risposte alle loro domande vitali.

Ma non siamo più in quell’epoca. E’ passata. Non siamo nella cristianità, non più. Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati. Abbiamo pertanto bisogno di un cambiamento di mentalità pastorale, ma non di una “pastorale relativista” – no, questo no - che per voler esser presente nella “cucina culturale” perde l’orizzonte evangelico, lasciando l’uomo affidato a sé stesso ed emancipato dalla mano di Dio. No, questo no. Questa è la strada relativista, la più comoda. Questo non si potrebbe chiamare pastorale! Chi fa così non ha vero interesse per l’uomo, ma lo lascia in balìa di due pericoli ugualmente gravi: gli nascondono Gesù e la verità sull’uomo stesso. E nascondere Gesù e la verità sull’uomo sono pericoli gravi! Strada che porta l’uomo alla solitudine della morte (cfr Evangelii gaudium, 93-97).

Occorre avere il coraggio di fare una pastorale evangelizzatrice audace e senza timori, perché l’uomo, la donna, le famiglie e i vari gruppi che abitano la città aspettano da noi, e ne hanno bisogno per la loro vita, la Buona Notizia che è Gesù e il suo Vangelo. Tante volte sento dire che si prova vergogna ad esporsi. Dobbiamo lavorare per non avere vergogna o ritrosia nell’annunciare Gesù Cristo; cercare il come… Questo è un lavoro-chiave.

 Si tratta allora di acquisire un dialogo pastorale senza relativismi, che non negozia la propria identità cristiana, ma che vuole raggiungere il cuore dell’altro, degli altri diversi da noi, e lì seminare il Vangelo.

Dio abita nella città. Bisogna andare a cercarlo e fermarsi là dove Lui sta operando. So che non è la stessa cosa nei diversi Continenti, ma dobbiamo scoprire, nella religiosità dei nostri popoli, l’autentico substrato religioso, che in molti casi è cristiano e cattolico. Non in tutti: ci sono religiosità non cristiane. Ma occorre andare lì, al nucleo. Non possiamo misconoscere né disprezzare tale esperienza di Dio che, pur essendo a volte dispersa o mescolata, chiede di essere scoperta e non costruita. Lì ci sono i semina Verbi seminati dallo Spirito del Signore. Non è bene fare valutazioni affrettate e generiche del tipo: “Questa è solo un’espressione di religiosità naturale”. No, questo non si può dire! Da lì possiamo cominciare il dialogo evangelizzatore, come fece Gesù con la Samaritana e sicuramente con molti altri al di là della Galilea. E per il dialogo evangelizzatore è necessaria la coscienza della propria identità cristiana e anche l’empatia con l’altra persona. Questo credo che l’ho detto a voi, ai vescovi dell’Asia, no? Quell’empatia per trovare nella religiosità questo substrato.

Uscire e facilitare

Si tratta di una vera trasformazione ecclesiale. Tutto pensato in chiave di missione. Un cambiamento di mentalità: dal ricevere all’uscire, dall’aspettare che vengano all’andare a cercarli. E per me questo è chiave!

Uscire per incontrare Dio che abita nella città e nei poveri. Uscire per incontrarsi, per ascoltare, per benedire, per camminare con la gente. E facilitare l’incontro con il Signore. Rendere accessibile il sacramento del Battesimo. Chiese aperte. Segreterie con orari per le persone che lavorano. Catechesi adatte nei contenuti e negli orari della città.

Ci riesce più facile far crescere la fede che aiutarla a nascere. Penso che dobbiamo continuare ad approfondire quei cambiamenti necessari nelle nostre varie catechesi, sostanzialmente nelle nostre forme pedagogiche, affinché i contenuti siano meglio compresi, ma al tempo stesso ci occorre imparare a risvegliare nei nostri interlocutori la curiosità e l’interesse per Gesù Cristo. Questa curiosità ha un santo patrono: è Zaccheo. Chiediamo a lui che ci aiuti a risvegliarla. E poi invitare ad aderire a Lui e a seguirlo. Dobbiamo imparare a suscitare la fede. Suscitare la fede! E poi non andare di qua, di là… No! Seminare! Se la fede incomincia c’è lo Spirito che poi farà sì che questa persona torni da me o torni dall’altro a chiedere un passo in più, un passo in più… Ma suscitare la fede.

La Chiesa samaritana. Esserci.

Si tratta di un cambiamento nel senso della testimonianza. Nella pastorale urbana, la qualità sarà data dalla capacità di testimonianza della Chiesa e di ogni cristiano. Papa Benedetto, quando ha detto che la Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione, parlava di questo. La testimonianza che attrae, che fa incuriosire la gente.

Qui sta la chiave. Con la testimonianza possiamo incidere nei nuclei più profondi, là dove nasce la cultura. Attraverso la testimonianza la Chiesa semina il granello di senape, ma lo fa nel cuore stesso delle culture che si stanno generando nelle città. La testimonianza concreta di misericordia e tenerezza che cerca di essere presente nelle periferie esistenziali e povere, agisce direttamente sugli immaginari sociali, generando orientamento e senso per la vita della città.

In tutto questo è molto importante il protagonismo dei laici e degli stessi poveri. E anche la libertà del laico, perché quello ci imprigiona, che non fa spalancare le porte è la malattia del clericalismo. E’ uno dei problemi più gravi.