CLERICALISMO VS SPERANZA
La speranza è questa virtù cristiana che noi abbiamo come un gran
dono del Signore e che ci fa vedere lontano, oltre i problemi, i dolori, le
difficoltà, oltre i nostri peccati”. Ci fa “vedere la bellezza di Dio”:
“Quando
io mi trovo con una persona che ha questa virtù della speranza ed è in un
momento brutto della sua vita – sia una malattia sia una preoccupazione per un
figlio o una figlia o qualcuno della famiglia sia qualsiasi cosa – ma ha questa
virtù, in mezzo al dolore ha l’occhio penetrante, ha la libertà di vedere
oltre, sempre oltre. E questa è la speranza. E questa è la profezia che oggi la
Chiesa ci dona: ci vuole donne e uomini di speranza, anche in mezzo a dei
problemi. La speranza apre orizzonti, la speranza è libera, non è schiava,
sempre trova un posto per arrangiare una situazione”.
Nel Vangelo, ci sono i
capi dei sacerdoti che chiedono a Gesù con quale autorità agisca: “Non hanno
orizzonti, sono uomini chiusi nei loro calcoli, schiavi delle proprie rigidità.
E i calcoli umani chiudono il cuore, chiudono la libertà, mentre la speranza ci
fa leggeri:
Quanto bella è la libertà, la magnanimità, la speranza di un uomo e
una donna di Chiesa. Invece, quanto brutta e quanto male fa la rigidità di una
donna o di un uomo di Chiesa, la rigidità clericale, che non ha speranza. In
quest’Anno della Misericordia, ci sono queste due strade: chi ha speranza nella
misericordia di Dio e sa che Dio è Padre; Dio perdona sempre, ma tutto; oltre
il deserto c’è l’abbraccio del Padre, il perdono. E, anche, ci sono quelli che
si rifugiano nella propria schiavitù, nella propria rigidità, e non sanno nulla
della misericordia di Dio. Questi erano dottori, avevano studiato, ma la loro
scienza non li ha salvati.
A Buenos Aires, durante una Messa per i malati nel
1992, stavo confessando ormai da molte ore, quando è arrivata una donna molto
anziana, ottantenne, con gli occhi che vedevano oltre, questi occhi pieni di
speranza. E io ho detto: ‘Nonna, lei viene a confessarsi?’. Perché io mi stavo alzando.
‘Sì’. ‘Ma lei non ha peccati’. E lei m’ha detto: ‘Padre, tutti ne abbiamo’.
‘Ma, forse il Signore non li perdona?’. ‘Dio perdona tutto!’, m’ha detto. Dio
perdona tutto. ‘E come lo sa?’, ho chiesto. ‘Perché se Dio non perdonasse
tutto, il mondo non esisterebbe’. Davanti a queste due persone - il
libero, la speranza, quello che ti porta la misericordia di Dio e il chiuso, il
legalista, proprio l’egoista, lo schiavo delle proprie rigidità – ricordiamo
questa lezione che questa anziana ottantenne – era portoghese – mi ha dato: Dio
perdona tutto, soltanto aspetta che tu ti avvicini”. Io vivo da tanti anni con
questa speranza nel cuore ... perché Gesù che io conosco non condanna ma
è amore puro ed io confido sempre in lui malgrado la mia piccolezza
i miei peccati i miei limiti le miei scelte sbagliate. Anche se nessuno
vuole ascoltarmi ... (Papa Francesco, Omelia a Santa Marta, 14 dicembre 2015)
PERSECUZIONE
Anche la folla della passione adotta a occhi
chiusi le accuse generiche contro Gesù. Per lei, Gesù diventa subito quella
causa suscettibile di intervento correttivo – la crocifissione – che tutti gli
amanti del pensiero magico si mettono a cercare al minimo segno di disordine
nel loro piccolo mondo. I persecutori credono sempre nell’eccellenza della loro
causa, ma in realtà “odiano senza causa”. E questa assenza di causa nell’accusa
(“ad causam”) i persecutori non la vedono mai. Bisogna dunque prendersela con
questa illusione, se vogliamo liberare tutti questi poveretti dalla loro
prigione invisibile, dall’oscuro sotterraneo dove marciscono, e che sembra loro
il più splendido dei palazzi. (Rene Girard)
SCHIAVE BAMBINE
E’ una calda sera d’estate. La
città dorme sogni tranquilli. Il grande atrio della stazione è semideserto. Nella penombra dei lampioni
si nascondono delle giovani ragazze che aspettano clienti facoltosi. Alle 3 del
mattino una di loro si accascia al suolo, trema. “E’ l’unica possibilità che
hai di salvarti” le aveva detto un’amica, anche lei minorenne e costretta a
lavorare sui marciapiedi. Benedetta segue il consiglio e finge un malore.
Chiude gli occhi e si lascia andare. Qualcuno si accorge di lei. Quando riapre
gli occhi è in ospedale: forse non ha mai provato così tanta paura in vita sua. La sua madame abita a pochi isolati da li, bisogna
allontanarsi presto, i “protettori” la stanno cercando. La speranza
si accende quando in quella stanza entra Katia, una volontaria. Benedetta è
sotto le coperte, raggomitolata. “Quanti anni hai?” domanda la donna. Un sussulto,
uno sguardo profondo e una semplice risposta: “19”. Katia ha imparato il
nigeriano dalle ragazze che ospita fin dal 2008 in un centro d’accoglienza. Sa
bene che nulla può avvicinare un cuore ferito quanto qualche parola detta nella
lingua madre. Benedetta esce dall’ospedale e sale in
macchina. In poco più di due ore è fuori dal suo inferno. Nel
viaggio il raccontare diventa una liberazione. La mamma l’aveva abbandonata
pochi giorni dopo la sua nascita. A prendersi cura di lei è il padre che aveva
già sei figli. In realtà, non ha 19 anni, ma 13. Quando ne aveva 10, il
fratello maggiore le dice che presto partirà per l’Italia. Viene sottoposta ad
un rito voodoo: uno stregone prepara un feticcio con i capelli, il sangue e i
peli pubici della piccola. Uno schiaffo all’innocenza. Durante il rituale la
ragazza si impegna anche a pagare migliaia di euro. Inizia così un lungo
viaggio che durerà dieci mesi, durante i quali, diverse volte, viene violentata
da molti uomini: un triste anticipo di ciò che sarà costretta a subire in
Italia. Dopo un pericoloso viaggio di una settimana, a
bordo di un barcone fatiscente, approda a Lampedusa. Viene subito intercettata dai protettori di
Madame; Benedetta prova a ribellarsi ma viene picchiata con violenza fino a
quando non comprende di non avere nessun’altra possibilità. (Interris)
UOMINI E
CANI (IN PROVETTA)
Nati in America i primi cani in provetta. Sono sette cuccioli
di beagle e cocker spaniel, godono di buona salute e la tecnica con
cui sono stati ottenuti potrebbe aiutare a tutelare le specie di
canidi minacciate di estinzione. Secondo gli esperti si tratta di
«una via interessante anche per l’uomo, considerando che l’essere
umano condivide con il cane ben 350 malattie ereditarie: circa
il doppio rispetto a quelle che ha in comune con altre specie».
Pubblicato sulla rivista Plos One, l’esperimento è stato condotto
presso l’Istituto Baker per la salute animale della Cornell
University. I sette cuccioli, nati da 19 embrioni impiantati, sono il
risultato di una nuova tecnica che combina la tradizionale
fecondazione artificiale con la riscrittura del Dna (La Stampa).
VERDURA
Mangiare lattuga è tre volte più dannoso per
l'ambiente che mangiare pancetta. Stesso discorso per melanzane, cetrioli e
sedano, meno ecosostenibili della carne di pollo e di maiale. A parità di
calorie, infatti, la loro produzione consuma più acqua ed energia, producendo
più gas serra. E' quanto dimostrano i ricercatori della Carnegie Mellon
University di Pittsburgh, in Pennsylvania. Le loro stime, pubblicate sulla
rivista Environment Systems and Decisions, dimostrano infatti che le diete
vegetariane e quelle più salutiste (che privilegiano frutta, verdura e pesce)
hanno un impatto ambientale più pesante rispetto a quanto ipotizzato finora.
Prendendo in esame le tipiche abitudini a tavola degli americani, i ricercatori
hanno provato a calcolare le risorse necessarie per la produzione, il
trasporto, la vendita e la conservazione casalinga dei prodotti alimentari, in
termini di acqua, consumo energetico ed emissione di gas serra. Quindi
hanno provato a rifare i conti, per vedere cosa potrebbe accadere seguendo le
raccomandazioni per una dieta più sana elaborate dal Dipartimento
dell'agricoltura degli Stati Uniti (Usda): un maggior consumo di frutta,
verdura, latticini e pesce finirebbe con l'aumentare i consumi energetici del
38%, mentre l'acqua utilizzata salirebbe del 10% e le emissioni di gas serra
del 6%.''C'è una complessa relazione tra alimentazione e ambiente'', spiega la
ricercatrice Michelle Tom, dottoranda in ingegneria civile e ambientale. ''Ciò
che è buono per la nostra salute - aggiunge - non è sempre buono per l'ambiente
ed è importante che ne siano consapevoli quei decisori che elaborano le linee
guida per l'alimentazione''. (Ansa)
PRESEPE
Il Presepe è il Mondo. Dio fece il Presepe del
Mondo perché suo Figlio un giorno vi abitasse. L’uomo, creando il presepe,
ricrea se stesso e scopre l’essenza di quel mondo che è chiamato ad abitare,
coltivandolo e custodendolo. (Alessandro D’Avenia. Avvenire)
IL PASTORE ADDORMENTATO
Vorrei soffermarmi su altri due pastori del
presepe siciliano, posto che nei personaggi del presepe è l’uomo di tutti i
tempi che si rivela, con i suoi pregi e i suoi difetti. Così troviamo adagiato
da qualche parte il pastore addormentato, detto Susi
Pasturi (susirisi è il verbo siciliano che indica lo svegliarsi e
levarsi), e ben dritto da qualche altra il cosiddetto Sbaundatu/Scantatu
ra stidda, il pastore a bocca aperta che guarda o indica la Stella, colto
da una meraviglia incontenibile (in altre tradizioni è un personaggio femminile
di nomeMeraviglia). Mi piace pensare a questi due personaggi come a uno
solo, colto in due momenti diversi. Il sonno tranquillo del primo, meritato
riposo notturno di chi ha lavorato tutto il giorno e che proprio in quel riposo
cerca la cura di una vita spesso piena di dolore, noia, ripetitività, quella
che il pastore di Leopardi conosceva bene: «Se tu parlar sapessi, io chiederei:
/ Dimmi: perché giacendo /A bell’agio, ozioso, / S’appaga ogni animale; / Me,
s’io giaccio in riposo, il tedio assale?». Il pastore dormiente sa che quel
riposo non basta mai, gli manca sempre qualcosa capace di riempire di
meraviglia la vita, di gioia e di riposo il lavoro stesso, tanto da risolvere
il grande enigma dell’esistenza: esiste qualcosa capace di rendere il lavoro
riposo, la fatica gioia, le ore del giorno pace? Quel pastore ci
rappresenta quando vorremmo fuggire dall’agone del mondo che si è fatto troppo
arduo, quando nel cuore non c’è pace, l’amore degli altri non ci raggiunge, e
ci sentiamo soli anche in mezzo alla folla. Gli altri ci toccano, ma la nostra
parte più intima non è toccata dalla grazia, dalla bellezza, dalla gioia.
Meglio dormire e aspettare il sonno eterno («poi stanco si riposa in su la
sera: / Altro mai non ispera», rincara Leopardi), morire o dormire? Entrambe
sono esperienze che si fanno in orizzontale, dormire ci prepara alla
posizione definitiva. Eppure nella notte oscura del nostro cuore, della nostra
vita quotidiana può levarsi una stella, una novità, una notizia che rinnova
tutto, che accende una speranza dentro la paura. (Alessandro D’Avenia.
Avvenire)
IL PASTORE STUPITO
Ai primordi della letteratura occidentale Omero ci regala una delle sue più belle similitudini, che sembrano descrivere il nostro pastore 'spaventato', 'meravigliato', dalle stelle: «Come quando le stelle nel cielo, intorno alla luna che splende, / appaiono in pieno fulgore, mentre l’aria è senza vento; / e si profilano tutte le rupi e le cime dei colli e le valli; / e uno spazio immenso si apre sotto la volta del cielo, / e si vedono tutte le stelle, e gioisce il pastore in cuor suo» ( Iliade, VIII, 555-560). Il pastore trova un motivo per essere verticale, attraverso la gioia del cuore, provocata dalla meraviglia del dispiegarsi del firmamento, si sente chiamato a essere verticale, c’è una forza di gravità che spinge al contrario, chiama verso l’alto, riempie di bellezza la fatica quotidiana. Non è forse quello che Dio fa sperimentare ad Abramo, quando lo invita a uscire dalla sua tenda per mettersi in viaggio, gli dice: «Esci fuori, guarda il cielo». La sua discendenza sarà superiore al numero delle stelle. Abramo viene risvegliato dal suo sonno, dal suo ristretto giro di cose e chiamato a una pienezza nuova, a testimonianza della quale Dio gli mostra il cielo stellato, nulla più («E quando miro in cielo arder le stelle; /Dico fra me pensando: /A che tante facelle»?). Allora il pastore Abramo si mette in viaggio, la volta celeste lo invita al volo, non folle e non frutto di semplice immaginazione: «Forse s’avess’io l’ale / Da volar su le nubi, / E noverar le stelle ad una ad una... / Più felice sarei, dolce mia greggia, / Più felice sarei, candida luna». Quel 'forse' viene messo da parte e si fa certezza, il pastore si sveglia e veglia, attende qualcosa e diventa attento, attenzione e attesa hanno la stessa radice, si mette in cerca dei segnali che facciano scoprire l’antidoto al tedio, alla noia, alla fatica, che diano senso anche alla fatica, alla noia e al tedio. La vita del pastore è rinnovata da dentro e costantemente, il piccolo diventa immenso. (Alessandro D’Avenia. Avvenire)
STELLE DI NATALE
L’avvento è l’annuale occasione che ci è data per scoprire il segreto delle stelle, vero fondamento (firmamento vuol dire questo) della gioia stabile del cuore, promessa scritta nelle cose: c’è una Stella in arrivo, per cui vale la pena essere verticali. E riposare è necessario solo per essere più pronti al cammino del giorno dopo. Camminare e riposare saranno un unico gesto festivo, e la ferita della noia, del tedio, della paura, della stanchezza, si rimarginerà poco a poco, grazie alla Stella. E sapere definitivamente che non «è funesto a chi nasce il dì natale». (Alessandro D’Avenia. Avvenire)
L’avvento è l’annuale occasione che ci è data per scoprire il segreto delle stelle, vero fondamento (firmamento vuol dire questo) della gioia stabile del cuore, promessa scritta nelle cose: c’è una Stella in arrivo, per cui vale la pena essere verticali. E riposare è necessario solo per essere più pronti al cammino del giorno dopo. Camminare e riposare saranno un unico gesto festivo, e la ferita della noia, del tedio, della paura, della stanchezza, si rimarginerà poco a poco, grazie alla Stella. E sapere definitivamente che non «è funesto a chi nasce il dì natale». (Alessandro D’Avenia. Avvenire)
NEUTRALIZZARE
Di tutti gli strumenti e tecniche immaginati per
educare alla “cittadinanza”, arginare i conflitti, neutralizzare certi
cosiddetti “ideali divisivi” (come per esempio la ricerca di “Ragione” e
“Verità” con la maiuscola), individuare una “religione civile” in funzione
coesiva della società, il “politicamente corretto” è il tentativo più
universalmente riuscito e strutturato. Il politicamente corretto non è solo la neolingua orwelliana che
divide selettivamente ciò che si può pensare (in privato) e dire
(pubblicamente) da ciò che è tabù. È una vera e propria “religione” che,
attraverso mezzi di comunicazione, scuole, accademie, istituzioni, plasma gli
esseri heideggerianamente “gettati” nel mondo globalizzato. Con quale
risultato? Il disordine e la violenza dominanti dovrebbero già darci un’idea
del fallimento a cui è pervenuto, dopo la caduta del Muro, il più grande
progetto di riscrittura del mondo secondo utopia. Ci troviamo di fronte a
nient’altro che a un’evoluzione del nichilismo. Ancora una volta, dopo i
“cimiteri sotto la luna” del secolo scorso, il tentativo di produrre
“cristianesimo dall’esterno”, cioè una civiltà universale con “codici” nel
cristianesimo ma ignorante o addirittura rinnegante Cristo, ottiene esattamente
il contrario degli ideali di pace, giustizia, tolleranza eccetera,
diuturnamente quanto utopisticamente affermati, sbandierati, martellati in ogni
piega della società. Eppure, non sono forse gli stessi ideali introdotti
nel mondo da Lui, “la Tigre”, secondo Eliot, “Buona Novella” che aprì uno
squarcio di speranza sotto un cielo cupo, dominato da poteri disperati e
divinità crudeli? Purtroppo, la chiesa universale di Cristo-senza-Cristo non è
una realtà storica, una compagnia tra uomini, un’esperienza di vita. Purtoppo è
solo un teatro idiota, pieno di tecniche e strumenti, e che non significa
nulla. (Luigi Amicone. Tempi.it)
RIVOLUZIONI
Il sociologo Giuliano Guzzo ha
giustamente ricordato alcune analogie tra il Regime del
Terrore francese e il terrore moderno promosso dall’ISIS. La decapitazione a
cui assistiamo oggi, promossa dagli uomini del Califfato, conobbe infatti
notevole diffusione proprio durante gli anni della Rivoluzione francese (18.000
decapitati almeno, al ribasso). Un altro parallelo è la distruzione delle
opere d’arte e la discriminazione delle donne: ricordiamo che
l’avvocato Sylvain Marechal (1750-1803), illuminista, propose nel 1801, durante
la Rivoluzione, di vietare alle donne di imparare a leggere, e la stessa
autrice della “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”,
Olympe De Gouges, venne decapitata per «per aver dimenticato le
virtù che convenivano al suo sesso».
Il celebre storico Pierre Chaunu, professore
di Storia Moderna alla Sorbonne e membro dell’Institut de France ha spiegato che la considerazione altamente positiva da parte dei
nostri intellettuali (anticattolici, in gran parte) verso il passato della
Francia, «è una visione della storia assolutamente falsa, scritta da
vincitori o comunque, in larga misura, da ricercatori con spiccate simpatie per
l’ideologia rivoluzionaria. La rivoluzione è stata, in tutti i campi, una
regressione della nazione». Fortunatamente, molti coraggiosi studiosi «hanno
mostrato l’ampiezza straordinaria dei massacri compiuti sotto la
Rivoluzione. Se si sommano le perdite della guerra e le perdite anteriori, si
arriva per un Paese di 27 milioni di abitanti qual’era allora la Francia ad un
totale che è nell’ordine di milioni. Sono perdite notevolissime, ancora
maggiori di quelle subite dalla Francia nella Prima Guerra Mondiale. Per tutte
queste ragioni, il bilancio della Rivoluzione è largamente negativo». Il mondo
senza Rivoluzione francese sarebbe «molto migliore». Perfino Vito
Mancuso, ha riconosciuto: «nei dieci
anni della sua durata (1789-1799) si registra un numero di vittime variamente
stimato dagli storici ma comunque enorme, visto che nei diciassette mesi del
Terrore tra il 1793 e il 1794 si ebbero centomila vittime, una media di quasi
200 morti al giorno. E tutto questo nel nome di “liberté, égalité fraternité”».
Altro che Liberté, Égalité e Fraternité. A
proposito di questo motto, la nota scrittrice Rosetta Loy, autrice “della
memoria” per i suoi libri di denuncia contro la tragedia dell’Olocausto, ha commentato pochi giorni fa: «questa triade ha perso buona
parte del suo valore quando i loro propinatori nel XIX secolo hanno rivolto i
loro interessi verso gli altri continenti; e dimenticando Liberté, Fraternitè,
Egalité, hanno brutalmente sfruttato le popolazioni che li abitavano
da millenni. A volte in maniera orrenda e inaccettabile».
Mentre, ha proseguito Chaunu, «la libertà
non è caduta dal cielo con la Rivoluzione, si è costruita nel nostro Paese
attraverso i contadini del Medio Evo, coi Comuni, con il Parlamento, con
tutta la costituzione giuridica: ebbene, occorre il coraggio di dirlo, lo Stato
di diritto nel quale viviamo attualmente non è figlio della Rivoluzione, è
figlio della storia, di San Luigi come di Luigi XVI. Tutti i principi che si
trovano nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino erano già formulati,
più o meno intelligentemente nella dichiarazione di Jefferson del 1783, e non
sono altro che principi giudeo-cristiani. Che tutti gli uomini sono liberi
è un principio del Deuteronomio». (http://www.uccronline.it/)
ARTE CONTEMPORANEA
Hanno visto una donna
sanguinante, ferita da un'arma da taglio, ma in un primo momento nessuno dei
visitatori dell'Art Basel di Miami si è davvero allarmato: «Credevamo fosse
un'installazione e che il sangue fosse finto» ha raccontato un testimone. Invece
il sangue era vero, e quella donna era stata accoltellata sul serio. È accaduto
ieri sera tra le sculture e i quadri esposti in una delle più importanti fiere
dell'arte contemporanea negli Stati Uniti. A sferrare il colpo era stata
un'altra donna. Né la vittima né colei che l'ha aggredita erano artisti: si è
trattato di una lite personale, presumibilmente tra due visitatrici
dell'esibizione. In quel momento all'Art Basel di Miami erano presenti molti
artisti e divi dello spettacolo, compresa l'attrice Katie Holmes, che però si
trovava in un'altra area e non si è neppure accorta dell'incidente. (Il
Messaggero)
PAURA DA SMARTPHONE
Alla lunga lista di effetti
collaterali, effettivi o presunti, associati agli smartphone
– dall’alienarsi dal mondo a perdere
il sonno a causa degli schermi luminosi – si è
aggiunto da tempo quello della cattiva postura mantenuta mentre si
consulta il cellulare, e dei riflessi che questa può avere sul nostro umore.
Sul New York Times Amy Cuddy dell’università di Harvardscrive che gli smartphone “stanno
trasformando la nostra postura, contorcendo i nostri corpi in quello che il
fisioterapista neozelandese Steve August definisce iGobba (‘iHunch’)”. Una
posizione innaturale che viene assunta più volte al giorno, tante quante sono
le volte che controlliamo il telefono, e che può avere conseguenze per la
nostra salute e per come ci sentiamo. In media la testa di un adulto pesa
tra i 4,5 e i 5 chilogrammi. Quando incliniamo la testa in avanti di 60
gradi – come si fa quando si legge qualcosa sullo smartphone – il
peso cui viene sottoposto il collo è pari a circa 27 chilogrammi. August dice
che trent’anni fa iniziò a trattare un numero crescente di pazienti con la
gobba: di solito persone anziane che in decenni di postura scorretta dovuta ad
attività come la lettura e la scrittura avevano sviluppano la deformazione. Il
problema è che ora lo stesso fenomeno inizia a essere osservato tra gli
adolescenti, che manifestano quindi molto precocemente un inarcamento anomalo
della schiena dovuto alla postura sbagliata. Cuddy spiega che il problema
non è solamente di tipo meccanico. Inconsapevolmente, infatti, tendiamo a inarcarci
su noi stessi quando siamo impauriti o ci sentiamo inermi. Diversi studi hanno
mostrato come una postura di questo tipo sia diffusa tra le persone che
soffrono di depressione, per esempio. Nel 2010 una ricerca
scientifica condotta in Brasile ha notato che le
persone depresse tendono a piegare in avanti il collo, a tenere le spalle in
dentro e le braccia verso la parte centrale del corpo.
Il fatto è che in alcune
circostanze è la postura stessa a causare, o amplificare, il proprio stato
emotivo. In un esperimento condotto presso l’Università di Auckland, Nuova Zelanda, a un
gruppo di volontari è stato chiesto di “stare dritti sulla sedia”, come
dicevano le nonne, o di assumere una posizione più accasciata e ripiegata a sé
stessi, rispondendo poi ad alcune domande di un finto colloquio di lavoro. Nel
complesso, i volontari cui era stato chiesto di assumere la postura tipica
delle persone depresse hanno dimostrato di avere meno stima verso loro
stessi e di essere più impauriti e pessimisti. Al contrario, quelli con una
corretta postura hanno mostrato di reggere meglio lo stress.
Un altro studio, questa
volta condotto dalla Università di Hildesheim, Germania, ha
evidenziato come la postura possa influire sulla nostra memoria. A un gruppo di
persone con depressione sono state sottoposte liste di parole positive e
negative, da leggere mantenendo una postura adeguata o richiusa su se stessi. I
depressi ingobbiti hanno ricordato in media più parole negative. Un precedente
studio condotto in Giappone, invece, aveva dimostrato che gli alunni cui era
stato richiesto di svolgere un compito mantenendo una postura corretta avevano
svolto in media un lavoro migliore, rispetto agli altri.
Sulla base di queste
esperienze Cuddy ha predisposto un test, nel quale a ogni partecipante veniva
offerto di interagire per 5 minuti con uno smartphone, un tablet, un laptop o
un classico computer da scrivania. I ricercatori hanno poi misurato quanto
tempo passava, dalla fine dei cinque minuti, prima che ogni partecipante
chiedesse se poteva allontanarsi, visto che il test era terminato. Cuddy dice
che a seconda delle dimensioni del dispositivo la reazione dei
partecipanti – che consisteva nel farsi coraggio e chiedergli se se
ne potesse andare – è cambiata sensibilmente: “Ciò suggerisce che la
posizione ingobbita, quella che assumiamo quando usiamo i nostri smartphone, ci
rende meno determinati, riducendo la probabilità di farci avanti quando la
situazione lo richiede”.
Più è piccolo lo schermo
del dispositivo, più ci si contorce per leggerlo e più aumenta l’influenza
della postura sull’umore. Cuddy spiega nell’articolo che molti di noi usano
ogni giorno smartphone e dispositivi simili per aumentare la loro efficienza e
produttività, ma in realtà un loro uso anche per brevi periodi di tempo
potrebbe sortire l’effetto contrario, riducendo la propria determinazione. (Il
Post)
LA RADICE (CHANNUKKAH)
“Il Signore faccia
splendere il Suo volto verso di te e usi grazia nei tuoi confronti”. Il secondo
verso della benedizione sacerdotale (Numeri 6:25) è una possibile allusione ai
lumi di Chanukkah. La luce che splende dal volto divino non è altro che la
“luce nascosta” che emana dai lumi di Chanukkah e il termine “wichunnekkà-usi
grazia nei tuoi confronti” ha in sé la stessa radice della festa. Inoltre, nel
brano della Torah che in genere si legge nello Shabbat di Chanukkah (Miketz),
quando Giuseppe rivede il fratello Beniamino dice: “Il Signore yochnekhà-ti
faccia grazia, figlio mio” (Genesi 43:29). Nel senso, ti conceda la grazia
della saggezza. Ecco perché nei giorni di Chanukkah acquisiamo il merito di una
porzione maggiore di saggezza, capacità necessaria per saper distinguere la
giusta luce. Specialmente in un periodo di presenza di tante luci estranee. (Adolfo
Locci, rabbino capo di Padova. Moked.it)