DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

15 DICEMBRE 2015












CLERICALISMO VS SPERANZA

La speranza è questa virtù cristiana che noi abbiamo come un gran dono del Signore e che ci fa vedere lontano, oltre i problemi, i dolori, le difficoltà, oltre i nostri peccati”. Ci fa “vedere la bellezza di Dio”:
“Quando io mi trovo con una persona che ha questa virtù della speranza ed è in un momento brutto della sua vita – sia una malattia sia una preoccupazione per un figlio o una figlia o qualcuno della famiglia sia qualsiasi cosa – ma ha questa virtù, in mezzo al dolore ha l’occhio penetrante, ha la libertà di vedere oltre, sempre oltre. E questa è la speranza. E questa è la profezia che oggi la Chiesa ci dona: ci vuole donne e uomini di speranza, anche in mezzo a dei problemi. La speranza apre orizzonti, la speranza è libera, non è schiava, sempre trova un posto per arrangiare una situazione”.
Nel Vangelo, ci sono i capi dei sacerdoti che chiedono a Gesù con quale autorità agisca: “Non hanno orizzonti, sono uomini chiusi nei loro calcoli, schiavi delle proprie rigidità. E i calcoli umani chiudono il cuore, chiudono la libertà, mentre la speranza ci fa leggeri:
Quanto bella è la libertà, la magnanimità, la speranza di un uomo e una donna di Chiesa. Invece, quanto brutta e quanto male fa la rigidità di una donna o di un uomo di Chiesa, la rigidità clericale, che non ha speranza. In quest’Anno della Misericordia, ci sono queste due strade: chi ha speranza nella misericordia di Dio e sa che Dio è Padre; Dio perdona sempre, ma tutto; oltre il deserto c’è l’abbraccio del Padre, il perdono. E, anche, ci sono quelli che si rifugiano nella propria schiavitù, nella propria rigidità, e non sanno nulla della misericordia di Dio. Questi erano dottori, avevano studiato, ma la loro scienza non li ha salvati.
A Buenos Aires, durante una Messa per i malati nel 1992, stavo confessando ormai da molte ore, quando è arrivata una donna molto anziana, ottantenne, con gli occhi che vedevano oltre, questi occhi pieni di speranza. E io ho detto: ‘Nonna, lei viene a confessarsi?’. Perché io mi stavo alzando. ‘Sì’. ‘Ma lei non ha peccati’. E lei m’ha detto: ‘Padre, tutti ne abbiamo’. ‘Ma, forse il Signore non li perdona?’. ‘Dio perdona tutto!’, m’ha detto. Dio perdona tutto. ‘E come lo sa?’, ho chiesto. ‘Perché se Dio non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe’. Davanti a queste due persone -  il libero, la speranza, quello che ti porta la misericordia di Dio e il chiuso, il legalista, proprio l’egoista, lo schiavo delle proprie rigidità – ricordiamo questa lezione che questa anziana ottantenne – era portoghese – mi ha dato: Dio perdona tutto, soltanto aspetta che tu ti avvicini”. Io vivo da tanti anni con questa speranza nel cuore ... perché Gesù che io conosco non condanna ma è  amore puro ed io confido sempre in lui  malgrado la mia piccolezza  i miei peccati i miei limiti  le miei scelte sbagliate. Anche se nessuno vuole ascoltarmi ... (Papa Francesco, Omelia a Santa Marta, 14 dicembre 2015)


PERSECUZIONE

Anche la folla della passione adotta a occhi chiusi le accuse generiche contro Gesù. Per lei, Gesù diventa subito quella causa suscettibile di intervento correttivo – la crocifissione – che tutti gli amanti del pensiero magico si mettono a cercare al minimo segno di disordine nel loro piccolo mondo. I persecutori credono sempre nell’eccellenza della loro causa, ma in realtà “odiano senza causa”. E questa assenza di causa nell’accusa (“ad causam”) i persecutori non la vedono mai. Bisogna dunque prendersela con questa illusione, se vogliamo liberare tutti questi poveretti dalla loro prigione invisibile, dall’oscuro sotterraneo dove marciscono, e che sembra loro il più splendido dei palazzi. (Rene Girard)


SCHIAVE BAMBINE

E’ una calda sera d’estate. La città dorme sogni tranquilli. Il grande atrio della stazione è semideserto. Nella penombra dei lampioni si nascondono delle giovani ragazze che aspettano clienti facoltosi. Alle 3 del mattino una di loro si accascia al suolo, trema. “E’ l’unica possibilità che hai di salvarti” le aveva detto un’amica, anche lei minorenne e costretta a lavorare sui marciapiedi. Benedetta segue il consiglio e finge un malore. Chiude gli occhi e si lascia andare. Qualcuno si accorge di lei. Quando riapre gli occhi è in ospedale: forse non ha mai provato così tanta paura in vita sua. La sua madame abita a pochi isolati da li, bisogna allontanarsi presto, i “protettori” la stanno cercando. La speranza si accende quando in quella stanza entra Katia, una volontaria. Benedetta è sotto le coperte, raggomitolata. “Quanti anni hai?” domanda la donna. Un sussulto, uno sguardo profondo e una semplice risposta: “19”. Katia ha imparato il nigeriano dalle ragazze che ospita fin dal 2008 in un centro d’accoglienza. Sa bene che nulla può avvicinare un cuore ferito quanto qualche parola detta nella lingua madre. Benedetta esce dall’ospedale e sale in macchina. In poco più di due ore è fuori dal suo inferno. Nel viaggio il raccontare diventa una liberazione. La mamma l’aveva abbandonata pochi giorni dopo la sua nascita. A prendersi cura di lei è il padre che aveva già sei figli. In realtà, non ha 19 anni, ma 13. Quando ne aveva 10, il fratello maggiore le dice che presto partirà per l’Italia. Viene sottoposta ad un rito voodoo: uno stregone prepara un feticcio con i capelli, il sangue e i peli pubici della piccola. Uno schiaffo all’innocenza. Durante il rituale la ragazza si impegna anche a pagare migliaia di euro. Inizia così un lungo viaggio che durerà dieci mesi, durante i quali, diverse volte, viene violentata da molti uomini: un triste anticipo di ciò che sarà costretta a subire in Italia. Dopo un pericoloso viaggio di una settimana, a bordo di un barcone fatiscente, approda a Lampedusa. Viene subito intercettata dai protettori di Madame; Benedetta prova a ribellarsi ma viene picchiata con violenza fino a quando non comprende di non avere nessun’altra possibilità. (Interris)


UOMINI E CANI (IN PROVETTA)

Nati in America i primi cani in provetta. Sono sette cuccioli di beagle e cocker spaniel, godono di buona salute e la tecnica con cui sono stati ottenuti potrebbe aiutare a tutelare le specie di canidi minacciate di estinzione. Secondo gli esperti si tratta di «una via interessante anche per l’uomo, considerando che l’essere umano condivide con il cane ben 350 malattie ereditarie: circa il doppio rispetto a quelle che ha in comune con altre specie». Pubblicato sulla rivista Plos One, l’esperimento è stato condotto presso l’Istituto Baker per la salute animale della Cornell University. I sette cuccioli, nati da 19 embrioni impiantati, sono il risultato di una nuova tecnica che combina la tradizionale fecondazione artificiale con la riscrittura del Dna (La Stampa).


VERDURA 

Mangiare lattuga è tre volte più dannoso per l'ambiente che mangiare pancetta. Stesso discorso per melanzane, cetrioli e sedano, meno ecosostenibili della carne di pollo e di maiale. A parità di calorie, infatti, la loro produzione consuma più acqua ed energia, producendo più gas serra. E' quanto dimostrano i ricercatori della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, in Pennsylvania. Le loro stime, pubblicate sulla rivista Environment Systems and Decisions, dimostrano infatti che le diete vegetariane e quelle più salutiste (che privilegiano frutta, verdura e pesce) hanno un impatto ambientale più pesante rispetto a quanto ipotizzato finora. Prendendo in esame le tipiche abitudini a tavola degli americani, i ricercatori hanno provato a calcolare le risorse necessarie per la produzione, il trasporto, la vendita e la conservazione casalinga dei prodotti alimentari, in termini di acqua, consumo energetico ed emissione di gas serra. Quindi hanno provato a rifare i conti, per vedere cosa potrebbe accadere seguendo le raccomandazioni per una dieta più sana elaborate dal Dipartimento dell'agricoltura degli Stati Uniti (Usda): un maggior consumo di frutta, verdura, latticini e pesce finirebbe con l'aumentare i consumi energetici del 38%, mentre l'acqua utilizzata salirebbe del 10% e le emissioni di gas serra del 6%.''C'è una complessa relazione tra alimentazione e ambiente'', spiega la ricercatrice Michelle Tom, dottoranda in ingegneria civile e ambientale. ''Ciò che è buono per la nostra salute - aggiunge - non è sempre buono per l'ambiente ed è importante che ne siano consapevoli quei decisori che elaborano le linee guida per l'alimentazione''. (Ansa)


PRESEPE

Il Presepe è il Mondo. Dio fece il Presepe del Mondo perché suo Figlio un giorno vi abitasse. L’uomo, creando il presepe, ricrea se stesso e scopre l’essenza di quel mondo che è chiamato ad abitare, coltivandolo e custodendolo. (Alessandro D’Avenia. Avvenire)


IL PASTORE ADDORMENTATO

Vorrei soffermarmi su altri due pastori del presepe siciliano, posto che nei personaggi del presepe è l’uomo di tutti i tempi che si rivela, con i suoi pregi e i suoi difetti. Così troviamo adagiato da qualche parte il pastore addormentato, detto Susi Pasturi (susirisi è il verbo siciliano che indica lo svegliarsi e levarsi), e ben dritto da qualche altra il cosiddetto Sbaundatu/Scantatu ra stidda, il pastore a bocca aperta che guarda o indica la Stella, colto da una meraviglia incontenibile (in altre tradizioni è un personaggio femminile di nomeMeraviglia). Mi piace pensare a questi due personaggi come a uno solo, colto in due momenti diversi. Il sonno tranquillo del primo, meritato riposo notturno di chi ha lavorato tutto il giorno e che proprio in quel riposo cerca la cura di una vita spesso piena di dolore, noia, ripetitività, quella che il pastore di Leopardi conosceva bene: «Se tu parlar sapessi, io chiederei: / Dimmi: perché giacendo /A bell’agio, ozioso, / S’appaga ogni animale; / Me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?». Il pastore dormiente sa che quel riposo non basta mai, gli manca sempre qualcosa capace di riempire di meraviglia la vita, di gioia e di riposo il lavoro stesso, tanto da risolvere il grande enigma dell’esistenza: esiste qualcosa capace di rendere il lavoro riposo, la fatica gioia, le ore del giorno pace? Quel pastore ci rappresenta quando vorremmo fuggire dall’agone del mondo che si è fatto troppo arduo, quando nel cuore non c’è pace, l’amore degli altri non ci raggiunge, e ci sentiamo soli anche in mezzo alla folla. Gli altri ci toccano, ma la nostra parte più intima non è toccata dalla grazia, dalla bellezza, dalla gioia. Meglio dormire e aspettare il sonno eterno («poi stanco si riposa in su la sera: / Altro mai non ispera», rincara Leopardi), morire o dormire? Entrambe sono esperienze che si fanno in orizzontale, dormire ci prepara alla posizione definitiva. Eppure nella notte oscura del nostro cuore, della nostra vita quotidiana può levarsi una stella, una novità, una notizia che rinnova tutto, che accende una speranza dentro la paura. (Alessandro D’Avenia. Avvenire)


IL PASTORE STUPITO

Ai primordi della letteratura occidentale Omero ci regala una delle sue più belle similitudini, che sembrano descrivere il nostro pastore 'spaventato', 'meravigliato', dalle stelle: «Come quando le stelle nel cielo, intorno alla luna che splende, / appaiono in pieno fulgore, mentre l’aria è senza vento; / e si profilano tutte le rupi e le cime dei colli e le valli; / e uno spazio immenso si apre sotto la volta del cielo, / e si vedono tutte le stelle, e gioisce il pastore in cuor suo» ( Iliade, VIII, 555-560). Il pastore trova un motivo per essere verticale, attraverso la gioia del cuore, provocata dalla meraviglia del dispiegarsi del firmamento, si sente chiamato a essere verticale, c’è una forza di gravità che spinge al contrario, chiama verso l’alto, riempie di bellezza la fatica quotidiana. Non è forse quello che Dio fa sperimentare ad Abramo, quando lo invita a uscire dalla sua tenda per mettersi in viaggio, gli dice: «Esci fuori, guarda il cielo». La sua discendenza sarà superiore al numero delle stelle. Abramo viene risvegliato dal suo sonno, dal suo ristretto giro di cose e chiamato a una pienezza nuova, a testimonianza della quale Dio gli mostra il cielo stellato, nulla più («E quando miro in cielo arder le stelle; /Dico fra me pensando: /A che tante facelle»?). Allora il pastore Abramo si mette in viaggio, la volta celeste lo invita al volo, non folle e non frutto di semplice immaginazione: «Forse s’avess’io l’ale / Da volar su le nubi, / E noverar le stelle ad una ad una... / Più felice sarei, dolce mia greggia, / Più felice sarei, candida luna». Quel 'forse' viene messo da parte e si fa certezza, il pastore si sveglia e veglia, attende qualcosa e diventa attento, attenzione e attesa hanno la stessa radice, si mette in cerca dei segnali che facciano scoprire l’antidoto al tedio, alla noia, alla fatica, che diano senso anche alla fatica, alla noia e al tedio. La vita del pastore è rinnovata da dentro e costantemente, il piccolo diventa immenso.  (Alessandro D’Avenia. Avvenire)


STELLE DI NATALE

L’avvento è l’annuale occasione che ci è data per scoprire il segreto delle stelle, vero fondamento (firmamento vuol dire questo) della gioia stabile del cuore, promessa scritta nelle cose: c’è una Stella in arrivo, per cui vale la pena essere verticali. E riposare è necessario solo per essere più pronti al cammino del giorno dopo. Camminare e riposare saranno un unico gesto festivo, e la ferita della noia, del tedio, della paura, della stanchezza, si rimarginerà poco a poco, grazie alla Stella. E sapere definitivamente che non «è funesto a chi nasce il dì natale». (Alessandro D’Avenia. Avvenire)


NEUTRALIZZARE

Di tutti gli strumenti e tecniche immaginati per educare alla “cittadinanza”, arginare i conflitti, neutralizzare certi cosiddetti “ideali divisivi” (come per esempio la ricerca di “Ragione” e “Verità” con la maiuscola), individuare una “religione civile” in funzione coesiva della società, il “politicamente corretto” è il tentativo più universalmente riuscito e strutturato. Il politicamente corretto non è solo la neolingua orwelliana che divide selettivamente ciò che si può pensare (in privato) e dire (pubblicamente) da ciò che è tabù. È una vera e propria “religione” che, attraverso mezzi di comunicazione, scuole, accademie, istituzioni, plasma gli esseri heideggerianamente “gettati” nel mondo globalizzato. Con quale risultato? Il disordine e la violenza dominanti dovrebbero già darci un’idea del fallimento a cui è pervenuto, dopo la caduta del Muro, il più grande progetto di riscrittura del mondo secondo utopia. Ci troviamo di fronte a nient’altro che a un’evoluzione del nichilismo. Ancora una volta, dopo i “cimiteri sotto la luna” del secolo scorso, il tentativo di produrre “cristianesimo dall’esterno”, cioè una civiltà universale con “codici” nel cristianesimo ma ignorante o addirittura rinnegante Cristo, ottiene esattamente il contrario degli ideali di pace, giustizia, tolleranza eccetera, diuturnamente quanto utopisticamente affermati, sbandierati, martellati in ogni piega della società. Eppure, non sono forse gli stessi ideali introdotti nel mondo da Lui, “la Tigre”, secondo Eliot, “Buona Novella” che aprì uno squarcio di speranza sotto un cielo cupo, dominato da poteri disperati e divinità crudeli? Purtroppo, la chiesa universale di Cristo-senza-Cristo non è una realtà storica, una compagnia tra uomini, un’esperienza di vita. Purtoppo è solo un teatro idiota, pieno di tecniche e strumenti, e che non significa nulla. (Luigi Amicone. Tempi.it)


RIVOLUZIONI 

Il sociologo Giuliano Guzzo ha giustamente ricordato alcune analogie tra il Regime del Terrore francese e il terrore moderno promosso dall’ISIS. La decapitazione a cui assistiamo oggi, promossa dagli uomini del Califfato, conobbe infatti notevole diffusione proprio durante gli anni della Rivoluzione francese (18.000 decapitati almeno, al ribasso). Un altro parallelo è la distruzione delle opere d’arte e la discriminazione delle donne: ricordiamo che l’avvocato Sylvain Marechal (1750-1803), illuminista, propose nel 1801, durante la Rivoluzione, di vietare alle donne di imparare a leggere, e la stessa autrice della “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”, Olympe De Gouges, venne decapitata per «per aver dimenticato le virtù che convenivano al suo sesso».
Il celebre storico Pierre Chaunu, professore di Storia Moderna alla Sorbonne e membro dell’Institut de France ha spiegato che la considerazione altamente positiva da parte dei nostri intellettuali (anticattolici, in gran parte) verso il passato della Francia, «è una visione della storia assolutamente falsa, scritta da vincitori o comunque, in larga misura, da ricercatori con spiccate simpatie per l’ideologia rivoluzionaria. La rivoluzione è stata, in tutti i campi, una regressione della nazione». Fortunatamente, molti coraggiosi studiosi «hanno mostrato l’ampiezza straordinaria dei massacri compiuti sotto la Rivoluzione. Se si sommano le perdite della guerra e le perdite anteriori, si arriva per un Paese di 27 milioni di abitanti qual’era allora la Francia ad un totale che è nell’ordine di milioni. Sono perdite notevolissime, ancora maggiori di quelle subite dalla Francia nella Prima Guerra Mondiale. Per tutte queste ragioni, il bilancio della Rivoluzione è largamente negativo». Il mondo senza Rivoluzione francese sarebbe «molto migliore». Perfino Vito Mancuso, ha riconosciuto: «nei dieci anni della sua durata (1789-1799) si registra un numero di vittime variamente stimato dagli storici ma comunque enorme, visto che nei diciassette mesi del Terrore tra il 1793 e il 1794 si ebbero centomila vittime, una media di quasi 200 morti al giorno. E tutto questo nel nome di “liberté, égalité fraternité”».
Altro che Liberté, Égalité e Fraternité. A proposito di questo motto, la nota scrittrice Rosetta Loy, autrice “della memoria” per i suoi libri di denuncia contro la tragedia dell’Olocausto, ha commentato pochi giorni fa: «questa triade ha perso buona parte del suo valore quando i loro propinatori nel XIX secolo hanno rivolto i loro interessi verso gli altri continenti; e dimenticando Liberté, Fraternitè, Egalité, hanno brutalmente sfruttato le popolazioni che li abitavano da millenni. A volte in maniera orrenda e inaccettabile».
Mentre, ha proseguito Chaunu, «la libertà non è caduta dal cielo con la Rivoluzione, si è costruita nel nostro Paese attraverso i contadini del Medio Evo, coi Comuni, con il Parlamento, con tutta la costituzione giuridica: ebbene, occorre il coraggio di dirlo, lo Stato di diritto nel quale viviamo attualmente non è figlio della Rivoluzione, è figlio della storia, di San Luigi come di Luigi XVI. Tutti i principi che si trovano nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino erano già formulati, più o meno intelligentemente nella dichiarazione di Jefferson del 1783, e non sono altro che principi giudeo-cristiani. Che tutti gli uomini sono liberi è un principio del Deuteronomio». (http://www.uccronline.it/)


ARTE CONTEMPORANEA

Hanno visto una donna sanguinante, ferita da un'arma da taglio, ma in un primo momento nessuno dei visitatori dell'Art Basel di Miami si è davvero allarmato: «Credevamo fosse un'installazione e che il sangue fosse finto» ha raccontato un testimone. Invece il sangue era vero, e quella donna era stata accoltellata sul serio. È accaduto ieri sera tra le sculture e i quadri esposti in una delle più importanti fiere dell'arte contemporanea negli Stati Uniti. A sferrare il colpo era stata un'altra donna. Né la vittima né colei che l'ha aggredita erano artisti: si è trattato di una lite personale, presumibilmente tra due visitatrici dell'esibizione. In quel momento all'Art Basel di Miami erano presenti molti artisti e divi dello spettacolo, compresa l'attrice Katie Holmes, che però si trovava in un'altra area e non si è neppure accorta dell'incidente. (Il Messaggero)


PAURA DA SMARTPHONE 

Alla lunga lista di effetti collaterali, effettivi o presunti, associati agli smartphone – dall’alienarsi dal mondo a perdere il sonno a causa degli schermi luminosi – si è aggiunto da tempo quello della cattiva postura mantenuta mentre si consulta il cellulare, e dei riflessi che questa può avere sul nostro umore. Sul New York Times Amy Cuddy dell’università di Harvardscrive che gli smartphone “stanno trasformando la nostra postura, contorcendo i nostri corpi in quello che il fisioterapista neozelandese Steve August definisce iGobba (‘iHunch’)”. Una posizione innaturale che viene assunta più volte al giorno, tante quante sono le volte che controlliamo il telefono, e che può avere conseguenze per la nostra salute e per come ci sentiamo. In media la testa di un adulto pesa tra i 4,5 e i 5 chilogrammi. Quando incliniamo la testa in avanti di 60 gradi – come si fa quando si legge qualcosa sullo smartphone – il peso cui viene sottoposto il collo è pari a circa 27 chilogrammi. August dice che trent’anni fa iniziò a trattare un numero crescente di pazienti con la gobba: di solito persone anziane che in decenni di postura scorretta dovuta ad attività come la lettura e la scrittura avevano sviluppano la deformazione. Il problema è che ora lo stesso fenomeno inizia a essere osservato tra gli adolescenti, che manifestano quindi molto precocemente un inarcamento anomalo della schiena dovuto alla postura sbagliata. Cuddy spiega che il problema non è solamente di tipo meccanico. Inconsapevolmente, infatti, tendiamo a inarcarci su noi stessi quando siamo impauriti o ci sentiamo inermi. Diversi studi hanno mostrato come una postura di questo tipo sia diffusa tra le persone che soffrono di depressione, per esempio. Nel 2010 una ricerca scientifica condotta in Brasile ha notato che le persone depresse tendono a piegare in avanti il collo, a tenere le spalle in dentro e le braccia verso la parte centrale del corpo.
Il fatto è che in alcune circostanze è la postura stessa a causare, o amplificare, il proprio stato emotivo. In un esperimento condotto presso l’Università di Auckland, Nuova Zelanda, a un gruppo di volontari è stato chiesto di “stare dritti sulla sedia”, come dicevano le nonne, o di assumere una posizione più accasciata e ripiegata a sé stessi, rispondendo poi ad alcune domande di un finto colloquio di lavoro. Nel complesso, i volontari cui era stato chiesto di assumere la postura tipica delle persone depresse hanno dimostrato di avere meno stima verso loro stessi e di essere più impauriti e pessimisti. Al contrario, quelli con una corretta postura hanno mostrato di reggere meglio lo stress.
Un altro studio, questa volta condotto dalla Università di Hildesheim, Germania, ha evidenziato come la postura possa influire sulla nostra memoria. A un gruppo di persone con depressione sono state sottoposte liste di parole positive e negative, da leggere mantenendo una postura adeguata o richiusa su se stessi. I depressi ingobbiti hanno ricordato in media più parole negative. Un precedente studio condotto in Giappone, invece, aveva dimostrato che gli alunni cui era stato richiesto di svolgere un compito mantenendo una postura corretta avevano svolto in media un lavoro migliore, rispetto agli altri.
Sulla base di queste esperienze Cuddy ha predisposto un test, nel quale a ogni partecipante veniva offerto di interagire per 5 minuti con uno smartphone, un tablet, un laptop o un classico computer da scrivania. I ricercatori hanno poi misurato quanto tempo passava, dalla fine dei cinque minuti, prima che ogni partecipante chiedesse se poteva allontanarsi, visto che il test era terminato. Cuddy dice che a seconda delle dimensioni del dispositivo la reazione dei partecipanti – che consisteva nel farsi coraggio e chiedergli se se ne potesse andare – è cambiata sensibilmente: “Ciò suggerisce che la posizione ingobbita, quella che assumiamo quando usiamo i nostri smartphone, ci rende meno determinati, riducendo la probabilità di farci avanti quando la situazione lo richiede”.
Più è piccolo lo schermo del dispositivo, più ci si contorce per leggerlo e più aumenta l’influenza della postura sull’umore. Cuddy spiega nell’articolo che molti di noi usano ogni giorno smartphone e dispositivi simili per aumentare la loro efficienza e produttività, ma in realtà un loro uso anche per brevi periodi di tempo potrebbe sortire l’effetto contrario, riducendo la propria determinazione. (Il Post)


LA RADICE (CHANNUKKAH)

“Il Signore faccia splendere il Suo volto verso di te e usi grazia nei tuoi confronti”. Il secondo verso della benedizione sacerdotale (Numeri 6:25) è una possibile allusione ai lumi di Chanukkah. La luce che splende dal volto divino non è altro che la “luce nascosta” che emana dai lumi di Chanukkah e il termine “wichunnekkà-usi grazia nei tuoi confronti” ha in sé la stessa radice della festa. Inoltre, nel brano della Torah che in genere si legge nello Shabbat di Chanukkah (Miketz), quando Giuseppe rivede il fratello Beniamino dice: “Il Signore yochnekhà-ti faccia grazia, figlio mio” (Genesi 43:29). Nel senso, ti conceda la grazia della saggezza. Ecco perché nei giorni di Chanukkah acquisiamo il merito di una porzione maggiore di saggezza, capacità necessaria per saper distinguere la giusta luce. Specialmente in un periodo di presenza di tante luci estranee. (Adolfo Locci, rabbino capo di Padova. Moked.it)